La scala di Dorothy Riddle dell'eterosessismo

Ho pensato che questa scala dell'eterosessismo/omofobia/bifobia/transfobia meritasse di essere tradotta; il documento non contiene un test che misuri gli atteggiamenti, ma la divisione che propone mi pare convincente e facile da applicare. Fedra
*** Atteggiamenti negativi ***
Repulsione: omosessualità, bisessualità e transessualità [transgenderism] sono considerati "crimini contro natura". Le persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali (LGBT) sono considerate malate, pazze, immorali, peccatrici, malvage, ecc. e qualsiasi cosa è giustificabile per cambiarle (per esempio, la prigione, l'ospedalizzazione, la terapia comportamentale negativa - la cosiddetta "terapia avversiva"), compresa la scossa elettrica.
Pietà: eterosessualismo [heterosexual chauvinism]. L'eterosessualità è ritenuta più matura ed assolutamente preferibile. Ogni possibilità di diventare eterosessuale dovrebbe essere incoraggiata. Le persone che sembrano "nate così" meritano solo pietà, e dovrebbero attendere una "cura".
Tolleranza: omosessualità, bisessualità e transessualità sono solo delle "fasi" dello sviluppo adolescenziale che molte persone attraversano, e da cui la maggior parte delle persone "escono maturando". Gli LGBT sono meno maturi degli etero e dovrebbero essere trattati con la protettività e l'indulgenza che si adopera con i bimbi. Agli LGBT non si devono dare posizioni di autorità perché stanno attardandosi in comportamenti da adolescenti.
Accettazione: "accettazione" significa che c'è qualcosa che non va nella persona da accettare. Frasi come: "Tu non sei una persona omosessuale, ma solo una persona", oppure: "Quello che fai a letto è affar tuo" e: "Va bene, purché tu non lo esibisca [flaunt]" implicano tutte un doppio standard, perché le persone eterosessuali non hanno niente da nascondere delle loro identità sessuali o di genere. Poiché "esibire" può includere qualsiasi comportamento che renda edotte le persone della propria sessualità od identità di genere, l'accettazione ignora il dolore dell'invisibilità e lo stress del tenersi tutto dentro [closet behavior].
*** Atteggiamenti positivi ***
Sostegno: agire per salvaguardare i diritti degli LGBT. Queste persone potrebbero provar disagio per gli LGBT, ma si rendono conto del clima e delle discriminazioni.
Ammirazione: riconoscere che per essere LGBT nella nostra società ci vuol fegato [strength]. L'ammirazione mostra volontà di guardarsi davvero dentro e lavorare sui propri atteggiamenti omofobici/eterosessisti/bifobici/transfobici.
Apprezzamento: apprezzare la diversità delle persone e percepire gli LGBT come valide parti di questa diversità. L'apprezzamento mostra disponibilità a combattere l'omofobia/eterosessismo/bifobia/transfobia in sé e negli altri.
*** Atteggiamento ottimale ***
Nutrimento: riconoscere che gli LGBT sono indispensabili alla nostra società, vede gli LGBT con genuino affetto e piacere [delight], e comprende la disponibilità ad essere alleati e difensori degli LGBT.


Raffaele Ladu

Recensione: Mary Gail Frawley-O'Dea, Virginia Goldner, Atti impuri. La piaga dell'abuso sessuale nella Chiesa cattolica

Mary Gail Frawley-O'Dea, Virginia Goldner
Atti impuri. La piaga dell'abuso sessuale nella Chiesa cattolica
Raffaello Cortina Editore 2008

Quest'utile libro è una raccolta di saggi scritti da membri del clero (non 
tutti cattolici), psicoterapeuti, e perfino alcune vittime di abuso sessuale 
ad opera di sacerdoti cristiani.

Due utili cose si imparano innanzitutto leggendolo: il primo è che la parola 
pedofilia è inappropriata per descrivere questi abusi, dacché il pedofilo 
vero e proprio ha interesse sessuale solo per i bambini - e non si conoscono 
cure per lui. La maggior parte degli abusi ad opera di preti si ha verso 
preadolescenti, ed ha altre motivazioni, in parte esacerbate dalla struttura 
interna della chiesa cattolica.

Un'altra cosa che è bene sapere è che, sebbene la maggior parte delle 
vittime sia di sesso maschile, ciò non vuol dire che chi ne abusa sia 
omosessuale. E' un'accusa stantia, quella che siano i preti omosessuali a 
compiere gli abusi, ma non regge ad alcuna indagine, né da parte degli 
psichiatri, né da parte degli inquirenti.

Secondo la maggior parte degli autori del libro, il celibato ecclesiastico 
ha molte responsabilità, ma non per il motivo che verrebbe in mente ad un 
autore di cinepanettoni, bensì perché ha fatto bloccare la maturazione 
affettiva dei sacerdoti al momento in cui sono entrati in seminario.

La maggior parte delle vittime hanno pressappoco l'età in cui il loro 
abusatore ha abbracciato lo stato clericale - nella vittima spesso 
l'abusatore vede un riflesso di se stesso, e gli attribuisce i sentimenti ed 
i desideri che prova lui, anche se non sono certamente quelli che prova il 
ragazzino che è la sua vittima.

Non è necessario descrivere le conseguenze dell'abuso sessuale su un minore: 
oltre a questo libro, molti altri ne hanno parlato; trattandosi inoltre di 
un'esperienza ahinoi alquanto diffusa, è abbastanza probabile che alcuni dei 
miei lettori lo abbiano provato in prima persona.

Dico solo che, poiché il sacerdote rappresenta la paternità di Dio, ed in 
molti contesti sociali degradati il sacerdote si trova ad essere un padre 
sostitutivo più presente di quello biologico. L'abuso da parte di un 
sacerdote assume perciò le caratteristiche di un incesto, specialmente in 
chi davvero crede in Dio.

Paradossalmente, in questi casi la fede moltiplica il trauma anziché 
diminuirlo, ed anche quando la vittima è adulta il danno è notevole.

Un'altra caratteristica della chiesa cattolica è la separazione tra lo stato 
clericale e lo stato laicale, teologicamente motivata, ma che ha due 
spiacevoli conseguenze. La prima è che attira verso il sacerdozio, un 
compito prestigioso svolto spesso in gran solitudine, molte persone con seri 
disturbi narcisistici, ovvero con scarsa empatia e notevoli difficoltà nelle 
relazioni sociali. Queste persone possono trasformarsi in abusatori, e lo 
screening dei candidati al sacerdozio spesso è stato inadeguato.

La seconda e più grave conseguenza è che la prima reazione di una comunità 
cristiana di fronte all'accusa di abuso sessuale è il negare anche 
l'evidenza e fare quadrato intorno al prete, considerato più prezioso di 
ogni altra cosa. Questo, ad onor del vero, non accade solo nella chiesa 
cattolica - nel libro si mostra che accade anche nelle comunità 
episcopaliane, che hanno una teologia simile a quella cattolica, ma non la 
sua gerarchia.

Nel caso della chiesa cattolica, i tentativi delle gerarchie nazionali e 
vaticane di insabbiare i casi sono ormai abbastanza noti, ed il libro fa una 
considerazione assai sgradevole: secondo gli autori, dopo il 1984 i casi di 
abuso sessuale sembrano diminuiti.

Lo screening è migliorato, la sorveglianza è più attenta, i sacerdoti 
abusatori vengono messi subito in grado di non nuocere, oppure ... visto che 
ci vogliono molti anni prima che le vittime di abusi aprano la bocca, 
semplicemente non è passato abbastanza tempo per saperlo?

Il principale rimedio proposto è l'abolizione del celibato, anche se non 
risolverà il problema definitivamente, visto che anche tra i ministri del 
culto protestanti, ortodossi, ebrei e mussulmani, che di regola sono 
sposati, capitano cose di questo genere.



Raffaele Ladu

Recensione: Francesco Remotti, Contro natura. Una lettera al papa.

Francesco Remotti
Contro natura. Una lettera al Papa
Laterza 2008

Il libro si può così riassumere: chi vuol fare l'antropologo non deve dar retta a Ratzinger.

La religione cristiana e quella mussulmana infatti basano la loro pretesa di universalità, ovvero di essere ognuna la religione valida per l'intero genere umano, sull'assunto che i loro precetti coincidono con ciò che ordina la natura umana - per cui la persona che abbraccia una di queste due religioni vivrebbe nel modo più naturale possibile.

Ma Remotti ha buon gioco a confutare questa pretesa sia nel campo teorico che nel campo empirico. Nel campo teorico, fa notare che coloro che si ostinano a cercare la natura umana universale sepolta sotto i costumi particolari di un tempo ed un luogo dati si trovano nell'impossibilità di stabilire quale sia questa natura - non possono essere sicuri che quella che appare loro la natura umana non sia in realtà un costume particolare, che sembra naturale ed universale solo a causa dell'abitudine.

Inoltre, mentre chi non ha quest'ossessione può tranquillamente tollerare costumi diversi dai propri, chi vuole porsi al servizio della natura umana così intesa diventa facilmente intollerante, in quanto si ritiene investito di fare trionfare ciò che è eterno su ciò che è caduco, l'universale sul particolare.

Remotti avverte che ci sono intolleranti più sofisticati, come Hegel ed i suoi discepoli, i quali non cercano verità e strutture sociali eterne, ma sono convinti di conoscere le leggi che eternamente guidano l'evoluzione storica, e di poter perciò stabilire una gerarchia di verità e strutture sociali. Qui la ricerca di qualcosa di immutabile si è solo alzata di livello, ed anche qui si giunge facilmente all'intolleranza.

La disputa tra i sostenitori della natura e quella del costume è antica - Remotti la fa risalire a Pascal (sostenitore del costume) ed a Cartesio (sostenitore della natura). Mi permetto di aggiungere che alla fine del '600 Hume aveva espresso quella che in seguito sarebbe stata chiamata "Legge di Hume", ovvero che da una frase con il verbo "essere" non si può derivarne una con il verbo "dovere". Quindi, anche se si stabilisse com'è fatta una cosa in natura (la frase con il verbo "essere"), questo non ci direbbe comunque come dobbiamo agire (la frase con il verbo "dovere").

Passando dal campo teorico a quello empirico, il campo in cui più si parla di "natura" è quello delle politiche familiari, complice anche l'infelice formulazione del primo comma dell'Articolo 29 della Costituzione Italiana:


"La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio."
In realtà, le famiglie nel mondo sono di così tanti tipi diversi (e non mancano i casi in cui i coniugi possono essere tutti del medesimo sesso) che gli antropologi hanno rinunciato a darne una definizione unitaria valida per ogni tempo e luogo - e Remotti avverte che gli esempi del suo libro non sono affatto esaurienti!

La soluzione che propone Remotti è quella di ispirarsi a Wittgenstein, il quale riteneva lecito descrivere un concetto sulla base di esempi tra i quali si riconosce "una somiglianza di famiglia", anziché dandone una definizione formale, che potrebbe dimostrarsi troppo restrittiva.

Allo stesso modo, l'antropologo deve rinunciare all'idea di definire una volta per tutte cos'è una famiglia, e dire che numerose formazioni sociali vengono da noi comprese nel concetto di "famiglia". Chi si riempie la bocca con le parole "famiglia naturale" non sa quello che dice e spera che non lo sappia chi l* ascolta.

Inoltre, Remotti insiste anche sul concetto di "autopoiesi", cioè del "farsi da sé". La struttura biologica non solo dell'uomo, ma anche di molti animali, è fortemente influenzata dalla cultura (l'esempio meno traumatico è dato dalla plasticità cerebrale), per cui non solo è sbagliato pensare che esista una natura umana immutabile, ma si può dire anche che ogni persona è frutto delle proprie scelte (il punto di vista dello psicologo), e pure che ogni società produce i suoi uomini e le sue donne (il punto di vista dell'antropologo).

I riti di passaggio che hanno molte società servono appunto a rendere esplicito il ruolo della società nel produrre le sue donne ed i suoi uomini; questo fenomeno può avere anche il suo lato sinistro, in quanto i regimi dittatoriali del '900 vollero creare l'"uomo nuovo", ma c'è una differenza tra l'opera delle dittature e l'opera del rispetto.

La dittatura non ha riguardo alcuno per gli individui, ed è convinta che il suo modello di "uomo nuovo" sia perfetto; le altre società si rendono invece conto che il modello a cui si ispirano è criticabile e perfettibile, ed in esse l'individuo negozia ciò che diverrà - non è chiuso in un ruolo immutabile.

Dopo aver mostrato che ispirarsi ad una presunta natura umana nella vita sociale è impossibile (e per nostra fortuna), Remotti esamina brevemente la struttura della chiesa cattolica e della "Sacra Famiglia" che avrebbe dato vita terrena al suo fondatore.

Non ci vuol molto a notare che la "Sacra Famiglia" è molto, molto insolita, e che la chiesa ambisce al monopolio di ciò che è eterno, anche nelle società di questo mondo. Secondo Remotti, la preferenza della chiesa per la famiglia nucleare è dovuta proprio alla fragilità e transitorietà di questo tipo di famiglia, mentre altre organizzazioni familiari possono durare come e più della casa reale giapponese, e rivaleggiare quindi con l'eternità dell'organizzazione ecclesiastica.

La diffidenza delle legislazioni moderne verso i patrimoni che non hanno mai occasione di dividersi ha quindi la sua fonte di ispirazione nel cristianesimo, così come molte altre caratteristiche della modernità.

Raffaele Ladu

Recensione: Eva Cantarella, Dammi mille baci. Veri uomini e vere donne nell'antica Roma.


Il libro indaga sui ruoli di genere nell'antica Roma. L'80% del contenuto si ritrova già nel libro "Secondo natura", già recensito qui, senza però le note bibliografiche di quest'ultimo; il resto sono considerazioni sull'amore eterosessuale nell'antica Roma (ed una decina di "casi celebri") che nell'altro libro sarebbero stati fuori tema.
La scelta tra i due libri va affidata al gusto personale: chi vuole la trattazione quasi accademica preferirà "Secondo natura"; chi si accontenta di un taglio divulgativo, senza apprezzabile perdita di precisione, preferirà "Dammi mille baci".
Ma un paragrafo di questo libro vale da solo il suo prezzo: Augusto era estremamente preoccupato della moralità pubblica, e promulgò la "Lex Julia", che avocava il giudizio e la punizione delle adultere dal "paterfamilias" alla magistratura.
Per giunta, mentre nel precedente ordinamento solo il "paterfamilias" poteva decidere se procedere, ora qualsiasi cittadino poteva denunciare le adultere al magistrato; di contro, mentre il "paterfamilias" poteva condannare l'adultera alla morte per fame, il magistrato poteva al massimo condannare adultera ed amante all'esilio.
Cosa fecero molte donne romane? Poiché la legge non puniva le prostitute matricolate, e le ruffiane altrettanto matricolate, queste donne andarono a farsi registrare come tali - si trattava in buona parte di matrone altolocate che erano abituate ad una vita sessuale molto libera, e potevano permettersi questo genere di sberleffo al potere costituito. Volendo, la si può considerare la più importante manifestazione femminista del mondo antico.
Preciso che le parole "veri uomini e vere donne" del sottotitolo vanno intese in senso ironico - Eva Cantarella ha voluto far notare come i ruoli di genere (lei li chiama "ruoli sessuali", ma il suo libro non parla solo del comportamento sessuale) siano in realtà dipendenti dalla cultura - come mostra il confronto tra le somiglianze e le differenze nel modo in cui essi sono intesi nella Roma antica e nell'Italia moderna.


Raffaele Ladu

Recensione: Eva Cantarela, Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico.

Eva Cantarella
Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico.
BUR 2008 (3^ Edizione)


Il libro non è nuovissimo (la prima edizione è del 1988 e nel 2006 è stato aggiornato semplicemente aggiungendo un'appendice), ma comunque interessantissimo, tantopiù che, quando si parla di omosessualità nel mondo occidentale, è inevitabile far riferimento al mondo greco e romano.

Se attualmente l'omosessualità maschile e quella femminile vengono equiparate dal punto di vista sociale e giuridico, dacché uomini e donne sono titolari di eguali diritti, nel mondo classico ce se ne guardava bene.

Eva Cantarella comincia infatti spiegando che nella società greca più antica, quella che precedette la nascita della polis, e di cui rendono testimonianza i poemi omerici e le liriche più antiche, l'omosessualità maschile aveva un valore iniziatico, e veniva perciò socialmente regolamentata.

L'ideale era che un uomo adulto corteggiasse e seducesse infine un fanciullo adolescente (età tra i 12-17 anni); il rapporto che si creava non doveva essere soltanto erotico (in cui l'adulto era attivo ed il fanciullo passivo), ma anche pedagogico - in quanto l'adulto si faceva carico di iniziare il giovane alla vita ed al ruolo di cittadino.

All'uscita dall'adolescenza si trovava al giovane una moglie, ma era lecito se non raccomandato che il giovane adulto da iniziato divenisse iniziatore, ovvero trovasse dei fanciulli da amare (diciamo pure così) come lui era stato amato.

Raramente un rapporto omosessuale nato così durava oltre l'ingresso del più giovane nella vita adulta, anche se la storia ci ha tramandato notevoli eccezioni - la più bella mi è parsa la storia del drammaturgo Euripide con Agatone, che durò finché Euripide ebbe 72 anni ed Agatone 40.

La legge evitava di interferire troppo, salvo che in caso di violenza ed in altri due: cercava di impedire che i ragazzi frequentassero persone indegne (e rischiassero di esserne sedotti, perché in un caso del genere il rapporto diventava diseducativo), e vietava al maschio che si era prostituito di rivolgersi ad un'assemblea legislativa o giudiziaria, perché per denaro aveva rinunciato al ruolo maschile attivo, indispensabile per esercitare tutti i diritti di cittadino.

Ma verso il tramonto della civiltà greca classica, queste regole sociali ebbero sempre meno presa, e sempre più spesso i rapporti "pederastici" erano puramente passionali e scarsamente educativi. Questo provocò la reazione di Aristofane nel teatro, e di Platone nella filosofia, che cercarono di indurre i loro concittadini a ridare l'antico significato a questi rapporti.

Oltretutto, le gravi perdite dovute alla Guerra del Peloponneso resero prioritario l'incremento demografico, con conseguente svalutazione delle relazioni omosessuali, in quanto improduttive da questo punto di vista.

Per quanto riguarda le donne, ci fu un periodo, testimoniato dalle liriche di Saffo, in cui l'omosessualità femminile ebbe un valore iniziatico non dissimile da quello che aveva tra i maschi: allora infatti le donne non erano state ancora chiuse nel "gineceo" (le stanze della casa loro riservate), ed una donna che aspirasse ad un buon matrimonio doveva dimostrarsi colta e di buone maniere.

Le ragazze venivano perciò inviate nei "thiasoi", una specie di collegi in cui coltivavano la loro istruzione e la loro femminilità; in essi erano molto comuni i rapporti omosessuali tra le coetanee oppure tra le alunne e la loro maestra, che hanno ispirato alcune delle più belle liriche greche.

Oltre alle poesie di Saffo, va ricordato un "partenio" di Alcmane: questi era un maschio, ma gli fu chiesto di scrivere un canto nuziale adattandolo ad un matrimonio tra due alunne di un "thiasos", anziché tra un uomo ed una donna; il matrimonio non aveva valore legale, ma simboleggiava lo stretto legame che si era creato tra le ragazze, e che le loro amiche volentieri riconoscevano.

Non è un caso che le poesie di Saffo vengano universalmente apprezzate come poesie d'amore, anche da chi non apprezza l'omosessualità: meno socialmente vincolata dell'omosessualità maschile, e della stessa eterosessualità, l'omosessualità femminile fu forse l'unico orientamento sessuale che nella Grecia più antica permise al sentimento che chiamiamo amore di svilupparsi.

Il fatto che nella polis greca, nata dopo Saffo, le donne fossero chiuse in casa e confinate in un ruolo esclusivamente riproduttivo, portò alla fine dei "thiasoi" ed all'impoverimento delle relazioni sociali e sentimentali. L'omosessualità femminile divenne una cosa equivoca praticata solo di nascosto.

Nell'antica Roma le cose andavano abbastanza diversamente: il ruolo sessuale maschile romano è stato efficacemente sintetizzato come "virilità da stupro". Il paterfamilias romano poteva possedere carnalmente la moglie, le ancelle ed anche gli schiavi - purché suoi e non altrui.

Diverso era il caso dei concittadini romani: il cives romanus non doveva lasciarsi sodomizzare, ed incorreva nei rigori della legge chi acconsentiva, così come colui che violentava un cittadino romano.

Un curioso caso era quello dei liberti, cioè degli ex-schiavi. La legge imponeva loro di sostenere il loro patrono (cioè l'ex-padrone) che non potesse più procurarsi da vivere, come se fossero stati loro figli; ma imponeva anche quello che ai figli non si può chiedere - ovvero che lo soddisfacessero sessualmente.

A coloro che studiano stenografia si ricorda che essa fu inventata da un liberto di Cicerone chiamato Tirone, ma non sempre si dice loro che Cicerone lo lodava nelle sue lettere in modo inequivocabile - e forse questo diede un contributo decisivo al suo affrancamento.

Questo semplice quadro venne complicato però dall'influenza della cultura greca, che indusse molti adulti romani a stabilire con dei ragazzini romani anch'essi (e quindi protetti dalla legge) rapporti molto simili a quelli che usavano in Grecia - in cui il più vecchio corteggiava un ragazzino proponendosi a lui non solo come amante, ma anche come mentore.

Un esempio ben noto lo mostrano le poesie del poeta veronese Catullo dedicate a Giovenzio; ed anche gli elegiaci Tibullo e Properzio dedicarono i loro versi ai loro amanti. Ma anche a Roma il degrado sociale trovò un facile capro espiatorio nel diffondersi di un'omosessualità che non si conformava più al modello della "virilità da stupro" della Roma più antica, e di cui efficace testimonianza sono le satire di Marziale e Giovenale.

Se Cesare, Augusto ed i loro successori poterono facilmente conciliare successi militari (sinonimo di virilità), conquiste di donne, ed occasionali relazioni omosessuali in cui ricoprivano un ruolo passivo, e Nerone poté addirittura celebrare un matrimonio omosessuale con un certo Sporo (per carità di patria non parliamo di Caligola), con Costante e Costanzo la situazione cominciò a cambiare.

Nel 342 essi emanarono una costituzione che vietava agli uomini di prostituirsi nei bordelli, e la costituzione fu confermata nel 390 da Valentiniano, Arcadio e Teodosio, che previdero il rogo per i trasgressori.

Ma la condanna definitiva di tutti i comportamenti omosessuali maschili giunse solo con Giustiniano nel 533, per diretta influenza del cristianesimo.

E' stato notato - ed Eva Cantarella ne discute a lungo nel libro - che il cristianesimo poté affermarsi a Roma perché la sua morale sessuale assomigliava molto a quella che i romani avevano spontaneamente adottato, secondo la quale il sesso doveva essere praticato con moderazione e solo a scopo procreativo.

Ciononostante, senza il cristianesimo non sarebbe stato possibile per Giustiniano rovesciare la tradizione romana in materia di omosessualità maschile.

Per quanto riguarda quella femminile, i romani non ebbero la loro Saffo, e quello che ne sappiamo lo conosciamo solo dalle testimonianze maschili - fortemente prevenute perché il ruolo maschile romano prevedeva che fossero gli uomini soli a dare piacere. Le donne che a questo monopolio si sottraevano non venivano punite, ma socialmente ostracizzate, e l'omosessualità femminile veniva rappresentata come cosa equivoca praticata da donne "poco di buono".

Ritenere l'età classica il paradiso delle persone omosessuali sembra quindi, a giudizio di Eva Cantarella, poco più che un mito.



Raffaele Ladu

Recensione: Francesco Remotti, L'ossessione identitaria


Il libro attacca in modo feroce il concetto di "identità" usato nelle scienze sociali e nel linguaggio politico. Mi perdonerete se rielaboro le argomentazioni del libro in modo personale.

La parola nasce nella metafisica, cioè la branca della filosofia che studia le leggi del pensiero, premessa indispensabile allo studio della realtà, ed in essa indica che una cosa è uguale a se stessa.

Ma ci possiamo aspettare che un gruppo sociale rimanga uguale a se stesso col passare del tempo, allo stesso modo in cui x rimane uguale ad x in matematica?

No. Se non altro perché la mortalità umana impone di avvicendare i membri del gruppo, ed anche le persone cambiano col tempo, tant'è vero che alcuni filosofi citati da Remotti (Pascal, Locke, Hume) hanno messo in dubbio che si possa parlare di identità individuale - aggiungo che il buddismo ha elaborato un'interessante dottrina del "non sé" che è diventata popolare presso alcune scuole psicoterapeutiche.

Ma il filosofo preferito di Remotti è Hegel, che riteneva la nozione di "identità" una tautologia, cioè una verità così ovvia da non dare alcuna informazione, ed ha scritto interessanti pagine sul "riconoscimento".

Ogni persona o gruppo sociale ha bisogno di "riconoscersi" ai suoi occhi ed a quelli degli altri, e per questo ha bisogno di dotarsi di caratteristiche distintive, spesso ispirate all'ambiente esterno. Il "riconoscimento" è la premessa per negoziare con altre persone o gruppi ciò di cui si ha bisogno - beni materiali come il cibo, beni immateriali come la cultura, libertà e diritti.

Il vantaggio della nozione di "riconoscimento" è che invita tutti a rendersi conto che le caratteristiche distintive sono state adottate per scelta, e come tutte le scelte possono essere rimesse in discussione; se invece si parla di "identità", si dà a queste caratteristiche il carattere dell'essenzialità - ovvero, non possono essere in alcun modo mutate senza distruggere il gruppo.

L'esperienza mostra invece che la maggior parte dei gruppi sociali continuano ad essere "riconosciuti" come tali anche quando caratteristiche ritenute essenziali mutano o scompaiono - la storia del popolo ebraico è un esempio molto istruttivo, e già in epoca talmudica ce se ne era resi conto.


C'è un divertente racconto nel Talmud (Menachot 29b) di come Mosè viaggia di 15 secoli avanti nel tempo, si ritrova tra gli alunni di Rav 'Aqiva, uno dei più grandi rabbini della storia, e non capisce quello che sta dicendo. Non per problemi di lingua, ma perché quello che insegna 'Aqiva è diversissimo da quello che insegnò Mosè.

Era così cambiata la legge ebraica in tutto quel tempo! Ma quando un allievo chiede ad 'Aqiva: "Questa norma da dove viene?" ed il maestro risponde: "E' stata rivelata a Mosè sul Sinai", Mosè si tranquillizza (anche se quella norma gli è sconosciuta), perché il richiamo a lui è rimasto come segno distintivo del popolo ebraico.

Parlare di "identità" è quindi ingiustificato dal punto di vista empirico; inoltre questo concetto viene spesso usato in malafede, ovvero per creare esclusione.

Se un gruppo sociale dichiara certe caratteristiche come parte della sua identità, si dà implicitamente licenza di escludere senza appello tutti coloro che tali caratteristiche non condividono.

Se si tratta di un club privato, non fa gran danno (anche se è un club da cui è bene tenersi alla larga); se il gruppo sociale invece è l'insieme dei cittadini di un paese, o addirittura dei suoi abitanti, il danno può essere molto grave.

Secondo Remotti, si è cominciato a parlare tanto a sproposito di "identità" quando sono fallite molte ideologie e filosofie che propugnavano una visione universale del mondo e senza distinzioni tra le persone; le persone hanno reagito cercando pretesti per rifiutare di riconoscere in un altro essere umano il proprio simile, e l'uso della parola "identità" ne è l'esempio migliore.

La parola "identità" spacca le società in tanti piccoli gruppi che non riescono a negoziare nulla, perché dichiarare che una caratteristica fa parte della propria identità significa ritenerla irrinunciabile ed immodificabile; significa anche rifiutarsi di confrontarla e discuterla, rendendone impossibile uno studio serio - più si allarga il novero delle caratteristiche "identitarie", più si restringe il campo della libera ricerca.

Se a questa caratteristica sono anche associate risorse economiche (come ad esempio la possibilità di acquisire la cittadinanza, o di godere di sovvenzioni statali), l'"identità" diventa un pretesto elegante e brutale come un ufficiale nazista per negarle.

Remotti ritiene che la parola "identità" debba essere espunta dal vocabolario dell'antropologo, e che i gruppi sociali debbano lottare non per essa, ma per il "riconoscimento" - una cosa molto più pragmatica, duttile ed onesta.


Raffaele Ladu

Una rilettura di Genesi 18

Molti lettori hanno fin troppi motivi di risentimento verso la Bibbia, ma vorrei proporvi una rilettura, più ebraica che cristiana, di Genesi 18.

E' il capitolo biblico in cui si pongono le premesse per la distruzione delle città di Sodoma e Gomorra; l'interpretazione cristiana tradizionale ha identificato il peccato degli abitanti di Sodoma nell'omosessualità, ma in Ezechiele 16:49 è scritto: "Ecco, questa fu l'iniquità di tua sorella Sòdoma: essa e le sue figlie avevano superbia, ingordigia, ozio indolente, ma non stesero la mano al povero e all'indigente:" (traduzione CEI).

L'esegesi rabbinica ha insistito molto su questo motivo: il problema non era l'omosessualità, ma la mancanza di generosità ed ospitalità; le violenze sessuali descritte nella Genesi non avevano il movente nella lussuria, ma erano una forma di mobbing ante litteram il cui scopo era quello di scacciare gli stranieri ed impedire loro di immigrare a Sodoma.

Leggendo la Bibbia si nota che, quando ad Abramo verrà chiesto di immolare Isacco sul Monte Moria, lui obbedirà senza esitazioni; ma quando lui sente dire che cosa l'Eterno ha in serbo per Sodoma e Gomorra, non ci sta. Non può impedire all'Onnipotente di fare quello che vuole, ma non rinunzia a denunciare l'ingiustizia di quello che Lui sta per fare, e cerca di negoziare una via d'uscita per gli abitanti delle città.

L'esegesi rabbinica ama ricamare sull'inizio di Genesi 18, in cui Abramo sta davanti alla propria tenda e gli vengono incontro tre persone (la Trinità secondo l'esegesi cristiana, Dio con due angeli secondo quella rabbinica): secondo gli ebrei, Abramo era convalescente perché si era fatto circoncidere alla veneranda età di 99 anni, e quello era il giorno più caldo di tutta la storia del mondo; eppure, cocciuto, Abramo stette davanti alla tenda pronto ad offrire ospitalità ai viandanti che ne avessero avuto bisogno.

Uno stile di vita agli antipodi di quello degli abitanti di Sodoma e Gomorra, che non volevano dare nulla a nessuno; Abramo, perciò, avrebbe potuto infischiarsene del destino di chi il suo stile di vita non condivideva – eppure volle rischiare l'ira di Dio per salvarli.

Ed anche ad insistere a ritenere l'omosessualità il peccato capitale degli abitanti di Sodoma e Gomorra, si tratterebbe comunque di uno stile di vita agli antipodi di quello di Abramo, eterosessuale briccone (per non dir pappone), ma sposato con una donna e senza evidenti pulsioni omosessuali. Eppure questo non gli impedisce di essere solidale con Sodoma e Gomorra, ed il titolo di "padre delle nazioni" se lo guadagna proprio cercando di salvare persone estremamente diverse da lui.

Ma la lezione più importante di questo brano è che la fede (sarebbe meglio dire in questo caso "fiducia", in ebraico "emunà") in Dio non è un buon motivo per lasciare che in suo nome si commettano ingiustizie. A questo gioco Abramo non ci sta.



Raffaele Ladu