Sui prenomi


L'articolo non è un trattato filosofico, ma una risposta a caldo ad una sentenza che non mi è piaciuta, che potete leggere qui e si può così riassumere: dei genitori emigrati hanno trascritto il nome francese della loro figlioletta, Andrée, come Andrea – ed il tribunale di Mantova ha dichiarato che questo non si poteva fare perché (in Italia) Andrea è un nome maschile, e non si può perciò dare ad una bambina perché “non indica la corretta sessualità” (così dice l’occhiello del titolo).

Non ho potuto fare a meno di collegare codesta sentenza al nefasto decreto nazista dell’agosto 1938 in cui si individuava una lista di nomi ebraici (tra cui “Hamor”, che in ebraico vuol dire “Asino”, e perciò era stato inserito solo per disprezzo), e si imponeva agli ebrei tedeschi il cui nome non appariva nella lista ad aggiungere “Israel” o “Sara” entro il 1 Gennaio 1939.

La sentenza ed il decreto si ispirano alla medesima logica: il nome deve manifestare un’essenza esattamente come l’etichetta indicare il principio attivo di un farmaco – ed il nome che, per commissione (nel caso dei genitori di Andrée) od omissione (nel caso degli ebrei perseguitati dai nazisti [1]), indica un’essenza della persona diversa da quella  “reale”, è una frode esattamente come un’etichetta che non indica quale principio attivo è presente ed in che dose.

Il problema è che le persone non si preparano in laboratorio, né la loro “essenza” è rilevabile con un’analisi chimica; il nome spesso viene usato per imporre un programma di vita ad una persona, e l’esempio meno raccomandabile è dato dalle “candele della memoria” di cui parla la psicoanalista israeliana Dina Wardi in questo libro: dei genitori che non hanno elaborato il lutto per la morte di una o più persone care (Dina Wardi lavora con i superstiti della Shoah, ma l’esempio è generalizzabile) sono tentati di farle rivivere nei loro figli, imponendo loro i nomi delle persone care, e pretendendo che essi non solo ne tramandino la memoria (come si fa normalmente), ma le reincarnino.

Il nome qui non è più un’etichetta che indica il principio attivo del farmaco, ma una ricetta per la sua preparazione; e gli scompensi che nascono quando si pretende che una persona viva al posto di un’altra (o di altre) sono particolarmente evidenti tra i pazienti di Dina Wardi, ma non limitati ad essi. Un caso simile è quello di David Reimer, che fu obbligato a vivere da femmina quando avrebbe voluto vivere da maschio – si cercò di preparare un prodotto per cui mancavano gli ingredienti.

Sono atteggiamenti abbastanza comuni, purtroppo; ma un altro atteggiamento comune suggerisce un ottimo rimedio.

In Italia molti maschietti hanno per secondo prenome “Maria” – ciò significa che non si vuole che essi reincarnino la Madonna, ma che siano sotto la sua protezione, e siano virtuosi come lei; per un motivo analogo molte donne ebree hanno tra i loro prenomi "Ester", la regina del coming-out; nei paesi mussulmani il prenome maschile più diffuso è “Mahmud” – perché i genitori vogliono che il loro figlio sia degno di lui; molte ragazze palestinesi hanno il nome di una città, che è quella da cui è stata esiliata od è fuggita la famiglia durante la Guerra d’Indipendenza o Nakba – perché i genitori vogliono che non si dimentichi da dove vengono; e l’attribuire ai propri figli il nome dei propri congiunti può essere inteso come l’augurio che siano degni di loro.

In tutti questi esempi (salvo forse quello delle ragazze palestinesi) il nome non indica un’essenza, ma una relazione che si vuole stabilire tra il figlio e delle persone con particolari qualità: la Madonna, Ester, Maometto, una città, i parenti. Non si chiede più al nome di dichiarare quello che una persona è, ma con chi o cosa si vuole che entri in rapporto.

E’ una logica postmoderna: l’identità non si basa più su un’essenza “obbiettivamente riscontrabile” (espressa dal pisello nel caso dei maschietti, fatto in un modo per gli etero ed in un altro per i gay, secondo il lombrosiano Giuseppe Falco [2], e dal naso nei sogni degli antisemiti, convinti che il gentile avesse un naso e l'ebreo un altro [3]), ma sulle relazioni che si stabiliscono.

Lascio ai giuristi stabilire se la sentenza mantovana è riformabile, ma faccio notare che il presupposto che il nome debba indicare inequivocabilmente se il latore è maschio o femmina ha poco senso anche dal punto di vista “moderno”: in Israele sono molto comuni i nomi “unisex” (Yarden, Yam, Yona, Simha, Liel, Shaiel, Gal, Agam, ecc. – ringrazio la mia amica Bianca per avermene fornito la lista parziale, a cui aggiungo Zohar), e non sono un problema per nessuno!

Per non parlare del fatto che in molti casi è vietato prendere in considerazione il sesso anagrafico di una persona, e nei casi in cui sia necessario conoscerlo, esso viene esplicitamente richiesto e non si chiede a nessuno di congetturare a partire dal suo prenome!

Nessuno può dire: “Si chiamava Andrea, la credevo un uomo, mi ha fregato!”

Raffaele Ladu



[1] Osservate che secondo la logica nazista, gli ariani non avevano bisogno di aggiungere al loro prenome “Hermann” o “Luise” – è la medesima logica per cui nella nostra società eterosessista chi è etero non ha bisogno di dichiararlo, perché incarna la persona “normale”, ed al suo confronto gli altri sono “anormali”, e tocca a loro “distinguersi”.

L'invito a discriminare non sta solo nell'"outing" imposto dalla legge, ma anche nell'individuare un'identità "normale" (gli ariani) alla quale contrapporre quelle "anormali" (gli ebrei, per cominciare).
[3] E' ovvio che il naso non distingue nessuno – tant’è vero che gli antisemiti hanno dovuto imporre agli ebrei lo “sciamanno” o la “stella gialla”; ma mi serviva un secondo grezzo esempio della logica di chi ritiene che il corpo debba manifestare l’essenza di una persona, e quando non riesce a trovare un dettaglio somatico rilevante, lo inventa.

Va inoltre aggiunto che secondo David Hirsch, citato da Matthew Biberman, l’epoca postmoderna comincia proprio con la Shoah, che portando alle estreme conseguenze gli assunti della modernità, ne ha rivelato le aporie.

Moderna è la logica sia della criticabile sentenza italiana che del nefasto decreto nazista, postmoderna la soluzione che propongo.

Hillary Clinton: "I diritti gay sono diritti umani"

http://radicali.it/20111209/hillary-clinton-diritti-gay-sono-diritti-umani-certi-diritti-pubblica-testo-integrale-itali

Hillary Clinton: 'i diritti gay sono diritti umani'.
Certi Diritti pubblica il testo integrale in italiano del discorso del Segretario di Stato americano per la giornata mondiale dei diritti umani

L'Associazione Radicale Certi Diritti ha tradotto il testo integrale dell’intervento del Segretario di Stato del Governo degli Stati Uniti, Hillary Clinton, tenuto il 6 dicembre a Ginevra alla più grande Conferenza mondiale mai organizzata dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNCHR), in occasione della giornata mondiale dei Diritti Umani alla quale hanno partecipato  oltre  145 paesi.
La  Ministra degli Esteri dell’Amministrazione Obama ha fatto un intervento di portata storica riguardo la difesa e la tutela dei diritti delle persone Lgbt sostenendo che: “I Diritti dei gay sono Diritti Umani”.
"Buona sera, lasciatemi esprimere il mio grande onore e piacere per essere qui. Voglio ringraziare il direttore generale Tokayev e la signora Wyden oltre agli altri ministri, ambasciatori, eccellenze e partner delle Nazioni Unite. Questo fine settimana celebreremo la giornata mondiale dei diritti umani, l’anniversario di una delle grandi conquiste dell’ultimo secolo.

Nel 1947, i delegati di sei continenti si sono impegnati a stilare una dichiarazione che affermasse le libertà e i diritti fondamentali delle persone ovunque esse vivessero. Nel secondo dopoguerra, molte nazioni sostennero una dichiarazione di questo tipo per aiutare a prevenire future atrocità e proteggere l’umanità e la dignità insita in ogni persona. E così i delegati si misero al lavoro. Discussero, scrissero, rividero, riscrissero per migliaia di ore. Incorporarono suggerimenti e revisioni proposte da governi, organizzazioni, e individui di tutto il mondo.

Alle tre del mattino del 10 dicembre 1948, dopo circa due anni di lavoro e un’ultima notte di dibattito, il Presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite mise in votazione il testo finale. 48 nazioni votarono a favore, 8 si astennero, nessuna votò contro: la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani fu adottata. Essa proclamava una semplice e potente idea: tutti gli esseri umani sono nati liberi e uguali nella loro dignità e nei loro diritti. Con la dichiarazione si è chiarito che i diritti non sono conferiti dai governi, ma appartengono a tutte le persone dalla nascita. Non importa in che paese viviamo, chi sono i nostri leader e persino chi siamo. In quanto umani, abbiamo diritti. E poiché abbiamo diritti, i governi devono proteggerli.

Nei 63 anni da quando la dichiarazione fu adottata, molte nazioni hanno fatto grandi progressi nel fare dei diritti umani una realtà. Passo dopo passo, le barriere che un tempo impedivano alle persone di godere a pieno delle loro libertà, della loro dignità e della loro umanità sono cadute. In molti luoghi, leggi razziste sono state eliminate, pratiche sociali e legali che relegavano le donne a uno status di seconda classe sono state abolite, la possibilità per le minoranze religiose di praticare la loro fede liberamente è stata garantita.

Nella maggior parte dei casi, tali progressi non furono conseguiti con facilità. Molte persone lottarono, si organizzarono e protestarono nelle pubbliche piazze e in luoghi più privati non solo per cambiare le leggi, ma anche le coscienze. E grazie al lavoro di generazioni, per milioni di individui le cui vite erano vessate dall’ingiustizia è ora possibile vivere più liberamente e partecipare pienamente alla vita politica, economica e sociale delle loro comunità.

Come tutti sapete, c’è ancora molto da fare per assicurare quell’impegno, quella realtà, quel progresso per tutti. Oggi vorrei parlare del lavoro che abbiamo ancora da fare per proteggere un gruppo di persone i cui diritti umani sono ancora negati in troppe parti del mondo. Sono una minoranza invisibile. Sono arrestati, picchiati, terrorizzati e persino condannati a morte. Molti sono trattati con disprezzo e violenza dai loro concittadini mentre le autorità che dovrebbero proteggerli guardano altrove o, troppo spesso, contribuiscono ad abusarli. E’ negata loro l’opportunità di lavorare e ricevere un’adeguata istruzione, sono costretti ad abbandonare le loro case e i loro paesi o a reprimere e negare chi sono per proteggersi dal pericolo.
Parlo di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali, esseri umani nati liberi, eguali e con la medesima dignità degli altri, persone con il diritto di rivendicare ciò. Questa è una delle rimanenti sfide del nostro tempo per implementare i diritti umani di tutti. Parlo di questo argomento sapendo che il mio stesso paese è ben lontano dalla perfezione in tema di diritti umani per le persone LGBT. Sino al 2003 l’omosessualità era ancora un crimine in alcuni Stati. Molti americani LGBT hanno sofferto violenze e molestie nelle loro vite e per alcuni, inclusi molti giovani, il bullismo e l’esclusione sono esperienze quotidiane. Quindi noi, come tutte le nazioni, abbiamo molto lavoro da fare per proteggere i diritti umani.

So bene che questa è una questione molto sensibile per molti e che gli ostacoli sulla via della protezione dei diritti umani delle persone LGBT sono radicati in profonde credenze personali, politiche, culturali e religiose. Pertanto vengo a voi con profondo rispetto, comprensione e umiltà. Anche se il progresso su questo fronte non è facile, non possiamo evitare di agire prontamente. In questo spirito voglio parlare delle questioni difficili e importanti che dobbiamo affrontare insieme per raggiungere un consenso globale attorno al riconoscimento dei diritti umani delle persone LGBT ovunque esse si trovino.

La prima questione va direttamente al cuore del problema. Qualcuno ha sostenuto che i diritti gay e i diritti umani sono cose distinte, ma in verità sono la stessa medesima cosa. Certamente 60 anni fa i governi che hanno stilato e approvato la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani non pensarono a come essa potesse applicarsi alla comunità LGBT. Non pensavano neppure a come essa potesse applicarsi agli indigeni, ai bambini, ai disabili o altri gruppi marginalizzati. Eppure, negli scorsi 60 anni abbiamo riconosciuto che i membri di questi gruppi sono pienamente titolari di diritti e dignità poiché, come tutte le persone, essi condividono una comune umanità.

Questo riconoscimento non è occorso subito. Si è sviluppato nel tempo. Nel frattempo abbiamo capito che si trattava di onorare dei diritti che le persone hanno sempre avuto, piuttosto che creare diritti nuovi o speciali per loro. Come essere una donna, un membro di una minoranza etnica, religiosa o tribale, essere LGBT non rende meno umani. Ecco perché i diritti gay sono diritti umani e i diritti umani sono diritti gay.
Si violano i diritti umani quando si picchiano o uccidono persone a causa del loro orientamento sessuale o perché non si conformano alla norma culturale su come gli uomini e le donne dovrebbero apparire o comportarsi. Si violano i diritti umani quando i governi dichiarano illegale essere gay o non puniscono coloro che fanno del male alle persone gay. Si violano i diritti umani quando le donne lesbiche e transgender sono soggette ai cosiddetti stupri correttivi, o soggette a trattamenti ormonali forzati, o quando delle persone vengono uccise in seguito a incitamenti pubblici alla violenza contro i gay o quando sono costretti a scappare dai propri paesi e cercare asilo in altri Stati per salvare la propria vita. E si violano i diritti umani quando l’accesso a farmaci salva vita viene negato sulla base dell’orientamento sessuale, o un eguale accesso alla giustizia viene negato sulla base dell’orientamento sessuale, o gli spazi pubblici sono proibiti ai gay. Non importa il nostro aspetto, da dove veniamo, chi siamo, siamo tutti egualmente titolari dei nostri diritti umani e della nostra dignità.

La seconda questione è se l’omosessualità è tipica di una certa parte del mondo. Alcuni sembrano credere che sia un fenomeno occidentale e che perciò fuori dall’Occidente sia possibile rigettarla. In realtà i gay nascono e appartengono ad ogni società del mondo. Sono di tutte le età, di tutte le razze e di tutte le etnie; sono dottori e insegnanti, contadini e banchieri, soldati e atleti; e a prescindere dal fatto che lo sappiamo o lo riconosciamo, sono la nostra famiglia, i nostri amici, i nostri vicini.

Essere gay non è un’invenzione occidentale; è una realtà umana. E proteggere i diritti umani di tutti, etero o omosessuali, non è qualcosa che fanno solo i governi occidentali. La costituzione sudafricana, scritta dopo l’Apartheid, protegge l’uguaglianza di tutti i cittadini, inclusi quelli gay. In Colombia e Argentina, anche i diritti gay sono legalmente protetti. In Nepal, la corte costituzionale ha sentenziato che i cittadini LGBT devono avere eguali diritti. Il governo della Mongolia ha preso l’impegno di varare una nuova legislazione che affronti le discriminazioni patite dai gay.

Ora, alcuni ritengono che proteggere i diritti umani della comunità LGBT sia un lusso che solo le nazioni ricche possono permettersi. Ma in effetti, in tutti i paesi, la non protezione di questi diritti ha dei costi in termini di vite etero e omosessuali perse a causa di malattie e violenze, di silenziamento di voci e visioni che avrebbero rafforzato le comunità, in termini di idee mai concretizzate da imprenditori che casualmente sono gay. Si pagano dei costi ogni volta che un gruppo è trattato peggio degli altri, siano essi donne, minoranze etniche, religiose o LGBT. L’ex presidente del Botswana, Mogae, ha recentemente sottolineato che finché le persone LGBT sono tenute nell’ombra, non potrà esserci un efficace programma di sanità pubblica contro l’AIDS. Beh, questo è vero che per altre sfide.

La terza e forse più difficile questione viene sollevata quando si citano valori religiosi o culturali come ragioni per violare o non proteggere i diritti umani dei cittadini LGBT. Ciò non si differenzia molto dalle giustificazioni offerte per giustificare pratiche violente contro le donne come l’omicidio d’onore, l’arsione delle vedove e le mutilazioni genitali femminili. Alcuni continuano a difendere tali pratiche in quanto parte di una tradizione culturale. Ma la violenza contro le donne non è culturale, è criminale. Ugualmente con la schiavitù, ciò che una volta era giustificato dalla sanzione divina è oggi giustamente ritenuto un immorale violazione dei diritti umani.

In ognuno di questi casi, abbiamo imparato che nessuna pratica o tradizione è superiore ai diritti umani che appartengono a tutti noi. E questo è vero anche per la violenza inflitta alle persone LGBT, la criminalizzazione del loro status o comportamento, l’espulsione dalle loro famiglie o comunità, l’accettazione tacita o esplicita delle loro uccisioni.

Certamente, vale la pena notare che raramente le tradizioni e gli insegnamenti religiosi o culturali sono in conflitto con la protezione dei diritti umani. Ovviamente, la nostra religione e la nostra cultura sono fonti di compassione e ispirazione verso esseri umani come noi. Non solo coloro che giustificavano la schiavitù si appoggiavano alla religione, anche coloro che cercavano di abolirla lo facevano. Teniamo a mente che il nostro impegno a difendere la libertà di religione e la dignità delle persone LGBT hanno la medesima radice. Per molti di noi il credo e la pratica religiosa è una risorsa vitale di significato e identità fondamentale per ciò che siamo come persone. Ugualmente, per la maggior parte di noi, i legami d’amore e famigliari che abbiamo forgiato sono altrettanto vitali fonti di significato e identità. Prendersi cura degli altri è un’espressione di ciò che significa essere pienamente umani. E’ perché l’esperienza umana è universale che i diritti umani sono universali e attraversano tutte le religioni e le culture.

La quarta questione è ciò che la storia ci insegna circa il modo in cui progredire verso eguali diritti per tutti. Il progresso origina da una discussione onesta. Ci sono coloro che dicono e credono che tutti i gay sono pedofili, che l’omosessualità è una malattia che può essere curata o che i gay reclutano altri per farli diventare a loro volta gay. Bene. Queste nozioni sono semplicemente non vere. E’ anche difficile che spariscano se coloro che le promuovono o accettano vengono ignorati piuttosto che invitati a condividere le loro paure. Nessuno ha mai abbandonato una convinzione perché è stato costretto a farlo.

I diritti umani universali includono la libertà d’espressione e quella di pensiero, anche se le nostre parole o pensieri denigrano l’umanità degli altri. Tuttavia, mentre siamo tutti liberi di credere ciò che riteniamo, non possiamo fare tutto ciò che vogliamo, non in un mondo in cui si proteggono i diritti umani di tutti.
Raggiungere una piena comprensione di queste cose richiede più di un discorso. Richiede una conversazione. Anzi, richiede una costellazione di conversazioni in luoghi piccoli e grandi. E richiede la volontà di vedere nelle più aspre differenze di visione una ragione per cominciare a conversare, non per evitare di farlo.

Ma il progresso deriva dal cambiamento delle leggi. In molti posti, incluso il mio stesso paese, la protezione legale ha preceduto, non seguito, un più ampio riconoscimento dei diritti. Le leggi hanno un effetto istruttivo. Le leggi che discriminano convalidano altri tipi di discriminazione. Le leggi che richiedono eguale protezione rinforzano l’imperativo morale dell'uguaglianza. In pratica, spesso le leggi devono cambiare prima che la paura del cambiamento venga meno.

Molti nel mio paese pesavano che il presidente Truman stesse facendo un grave errore quando ordinò la de-segregazione razziale delle nostre forze armate. Si affermava che ciò avrebbe minato la coesione delle unità combattenti. E fu solo dopo che la decisione venne implementata che ci accorgemmo come essa rafforzò il nostro tessuto sociale in modi che neppure i sostenitori di quella politica avevano previsto. Ugualmente, alcuni nel mio paese ritenevano che la cessazione del “Don't Ask, Don’t Tell” avrebbe avuto un effetto negativo sulle nostre forze armate. Oggi, il comandante dei Marines, che fu una delle voci più forti contro la revisione di questa politica, dice che le sue preoccupazioni erano infondate e che i Marines hanno accolto benissimo il cambiamento.

Infine, il progresso deriva dalla disponibilità di mettersi nei panni degli altri per un po’. Dobbiamo chiederci: “come mi sentirei se fosse un crimine amare la persona che amo? Come mi sentirei se fossi discriminato per una cosa di me che non posso cambiare?”. Questa sfida riguarda ciascuno di noi quando riflettiamo su convinzioni profonde, quando lavoriamo per essere tolleranti e rispettosi della dignità di tutti, e quando abbiamo umilmente a che fare con coloro i quali siamo in disaccordo nella speranza di creare una maggiore comprensione generale.

La quinta e ultima questione riguarda come possiamo fare la nostra parte per portare il mondo ad accogliere i diritti umani di tutti, anche delle persone LGBT. Sì, le persone LGBT devono contribuire guidando questi sforzi, come tanti già fanno. La loro conoscenza ed esperienza è impagabile e il loro coraggio inspiratore. Conosciamo i nomi di attivisti LGBT coraggiosi che hanno letteralmente dato le loro vite per questa causa e ce ne sono molti altri il cui nome non conosceremo mai. Ma spesso coloro ai quali si negano i diritti sono quelli con meno potere di ottenere i cambiamenti che cercano. Agendo da sole, le minoranze non potranno mai raggiungere la maggioranza necessaria al cambiamento politico.

Quando una parte dell’umanità viene rimossa, il resto di noi non può rimanere indifferente. Ogni volta che una barriera verso il progresso cade, ciò avviene grazie allo sforzo congiunto di coloro che stanno da entrambe le parti di essa. Nella lotta per i diritti alle donne, il sostegno degli uomini rimane cruciale. La battaglia per l’uguaglianza razziale è dipesa dal contributo di persone di tutte le etnie. Combattere l’islamofobia o l’antisemitismo è un compito per le persone di tutte le fedi. Lo stesso è vero per la lotta per l'uguaglianza.

Viceversa, quando vediamo la negazione e l’abuso di diritti umani e non agiamo, mandiamo il messaggio che ciò non comporta alcuna conseguenza e incentiviamo il perpetuare di tali abusi e negazioni. Ma quando agiamo, inviamo un potente messaggio morale. Qui a Ginevra, la comunità internazionale ha agito quest’anno per rafforzare il consenso globale attorno ai diritti umani delle persone LGBT. In marzo, al Consiglio per i Diritti Umani, 85 paesi hanno sostenuto una dichiarazione contro la criminalizzazione e le violenze motivate dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere.

Alla successiva sessione del Consiglio in giugno, il Sud Africa si fece promotore di una risoluzione sulla violenza contro le persone LGBT. La delegazione sudafricana parlò eloquentemente della propria esperienza e della propria lotta per l’eguaglianza di tutta l’umanità e della sua indivisibilità. Quando passò, divenne la prima risoluzione delle Nazioni Unite a riconoscere i diritti umani delle persone gay di tutto il mondo. Nell’Organizzazione degli Stati Americani quest’anno, la Commissione inter-americana sui Diritti Umani creò un’unità sui diritti delle persone LGBT, un passo verso ciò che speriamo sarà la creazione di una struttura più formale.

Ora, dobbiamo andare oltre e lavorare qui e in ogni regione del mondo per galvanizzare un maggiore supporto per i diritti umani della comunità LGBT. Ai leader di quei paesi dove le persone sono imprigionate, picchiate o condannate a morte perché gay, chiedo di considerare questo: per definizione leadership significa stare alla testa del proprio popolo quando è necessario. Significa difendere la dignità di tutti i propri cittadini e convincere gli atri a fare lo stesso. Significa anche assicurare che tutti i cittadini siano trattati come eguali dalla legge del proprio Stato perché, lasciatemi essere chiara - non sto dicendo che i gay non commettono crimini. Lo fanno, proprio come gli eterosessuali. E quando lo fanno devono rispondere dei loro atti, ma non dovrebbe mai essere un crimine il semplice fatto di essere gay.

Ai popoli di tutte le nazioni dico che sostenere i diritti umani è anche una vostra responsabilità. La vita dei gay è condizionata non solo dalle leggi, ma anche dal trattamento che ricevono ogni giorno dalle loro famiglie e dai loro vicini. Eleanor Roosevelt, che ha fatto così tanto per l’avanzamento dei diritti umani nel mondo, ha detto che questi diritti germogliano nei luoghi più vicini a casa - le strade dove vivono le persone, le scuole che frequentano, le industrie, fattorie e uffici dove lavorano. Questi luoghi sono il vostro campo d’azione. Le azioni che intraprendete e le idee che sostenete possono determinare se i diritti umani fioriranno dove vivete.
Infine, alle persone LGBT di tutto il mondo lasciatemi dire questo: ovunque viviate e qualunque siano le circostanze della vostra vita, sia che siate connessi ad una rete di supporto, sia che vi sentiate isolati e vulnerabili, sappiate che non siete soli. Ci sono persone in tutto il mondo che stanno lavorando duramente per sostenervi e mettere fine alle ingiustizie e ai pericoli che affrontate. Questo è certamente vero per il mio paese: avete un alleato negli Stati Uniti d’America e avete milioni di amici tra gli americani.

L’amministrazione Obama difende i diritti umani delle persone LGBT come parte della nostra più ampia politica sui diritti umani e come una priorità della nostra politica estera. Nelle nostre ambasciate, i nostri diplomatici stanno sollevando l’attenzione su casi e leggi specifici lavorando con vari partner per rafforzare la protezione dei diritti umani di tutti. A Washington, abbiamo creato una task force al Dipartimento di Stato per sostenere e coordinare questo lavoro. Nei prossimi mesi forniremo tutte le ambasciate di un kit di strumenti per migliorare i loro sforzi. Abbiamo anche creato un programma che offre sostegno di emergenza per i difensori dei diritti umani delle persone LGBT.

Questa mattina, a Washington, il Presidente Obama ha dato vita alla prima strategia governativa dedicata a combattere le violazioni dei diritti umani contro le persone LGBT all’estero. Dando seguito a precedenti sforzi fatti all’interno del Dipartimento di Stato e di tutto il governo, il Presidente ha ordinato a tutte le agenzie governative impegnate all’estero di combattere la criminalizzaizione dello stato e della condotta LGBT, di aumentare gli sforzi per proteggere vulnerabili rifugiati LGBT, di assicurarsi che la nostra assistenza estera promuova la protezione dei diritti LGBT, di coinvolgere le organizzazioni internazionali nella lotta contro le discriminazioni e di rispondere prontamente agli abusi contro le persone LGBT.
Sono anche felice di annunciare che stiamo lanciando un nuovo Fondo per l’eguaglianza globale che sosterrà il lavoro delle associazioni della società civile impegnate in tutto il mondo su queste questioni. Questo fondo le aiuterà a registrare dei fatti in modo da elaborare strategie più mirate, a imparare ad usare la legge come uno strumento a loro favore, a gestire il loro budget, a formare il loro personale, e a creare alleanze con e associazioni delle donne e altri gruppi impegnati sui diritti umani. Abbiamo stanziato più di 3 milioni di dollari per dar vita a questo fondo e speriamo che altri aggiungeranno il loro contributo.

Le donne e gli uomini che lottano per i diritti umani delle persone LGBT in luoghi ostili, alcuni dei quali sono qui con noi oggi, sono coraggiosi e meritano tutto l’aiuto che possiamo dar loro. Sappiamo che il cammino non sarà facile, una grande quantità di lavoro resta ancora da fare, ma molti di noi hanno visto direttamente quanto rapidamente i cambiamenti possano avvenire. Durante le nostre vite, l’atteggiamento verso le persone gay in molti posti è stato trasformato. Molte persone, me compresa, hanno negli anni approfondito le loro convinzione sul tema man mano che gli hanno dedicato maggiore attenzione, dialogato, partecipato a dibattiti e stabilito relazioni personali e professionali con persone gay.

Questa evoluzione è evidente in molti luoghi. Per sottolineare solo un esempio l’Alta Corte di Delhi ha decriminalizzato l’omosessualità in India due anni fa scrivendo, e cito: “se esiste un principio che può essere ritenuto permeante di tutta la costituzione indiana, questo è l’inclusività”. Non ho dubbi che il sostegno per i diritti umani LGBT continuerà a crescere perché per molti giovani questo è banale: tutte le persone meritano di essere trattate con dignità e vedere rispettati i propri diritti umani, a prescindere da chi sono o da chi amano.

C’è una frase che negli Stati Uniti invochiamo quando vogliamo spronare gli altri a sostenere i diritti umani: “Stai dalla parte giusta della storia”. La storia degli Stati Uniti è la storia di una nazione che ha ripetutamente lottato contro l’intolleranza e l’ineguaglianza. Abbiamo combattuto una guerra civile brutale sul tema della schiavitù. In tutto il paese milioni di persone si sono unite in campagne per riconoscere i diritti delle donne, dei popoli indigeni, delle minoranze etniche, dei bambini, delle persone con disabilità, degli immigrati, dei lavoratori e così via. E la marcia verso l’uguaglianza e la giustizia continua. Coloro che combattono per espandere la cerchia dei diritti umani erano e sono dalla parte giusta della storia e la storia li onora. Coloro che tentarono di restringere i diritti umani avevano torto e la storia mostra anche questo.

So che i pensieri che ho condiviso oggi coinvolgono questioni sulle quali le opinioni si stanno ancora evolvendo. Come è accaduto già molte volte, le varie opinioni convergeranno verso la verità, quella verità immutabile secondo la quale tutte le persone sono create libere e con uguali dignità e diritti. Siamo ancora una volta chiamati a rendere concrete le parole della Dichiarazione Universale. Rispondiamo a questa chiamata. Stiamo dalla parte giusta della storia, per la nostra gente, le nostre nazioni, le generazioni future, le cui vite saranno plasmate dal nostro lavoro di oggi. Mi rivolgo a voi con grande speranza e fiducia che a prescindere dalla lunghezza della strada che abbiamo davanti, la percorreremo insieme con successo. Grazie molte."

Fonte: http://www.certidiritti.it/certi-diritti-pubblica-la-traduzione-italiana-integrale-del-discorso-di-hillary-clinton-per-la-giornata-mondiale-dei-diritti-umani

Regole ai ricchi e diritti ai gay la svolta a sinistra di Obama



08 dicembre 2011 —   pagina 20   sezione: POLITICA ESTERA
NEW YORK - Una, due, tre cose di sinistra: Barack Obama non lo ferma più nessuno. Attacca l' 1% dell' oligarchia finanziaria, usando un linguaggio da Occupy Wall Street. Denuncia la fine del Sogno Americano vanificato dalle troppe diseguaglianze. Promette battaglia contro una destra che vuole «esentare i capitalisti dalle regole». "Svolta populista", intitolano all' unisono New York Times, Washington Post, Wall Street Journal. Il luogo conta: il discorso della sterzata radicale, il presidente ha scelto di farlo in una cittadina del Kansas dove 71 anni prima Roosevelt lanciò la prima crociata contro il capitalismo dei grandi monopoli. Lo segue a ruota il governatore democratico dello Stato di New York, Andrew Cuomo, che si rimangia la promessa elettorale di non alzare le tasse e vara invece una super-aliquota dell' 8,8% sui ricchi oltre i due milioni di reddito annuo (è un prelievo locale che si somma all' Irpef federale). Anche la politica estera riflette la nuova impronta "liberal", col Dipartimento di Stato che ordina a tutte le ambasciate Usa di appoggiare nel mondo intero i diritti dei gay. La campagna elettorale, a 11 mesi dalle presidenziali, imbocca una strada imprevista. Invece della solita rincorsa al centro per acchiappare gli elettori moderati e indecisi, accade il contrario: la polarizzazione si accentua. E Obama stavolta non si tira indietro, risfodera la grinta del 2008, con un "tocco di classe" in più: una requisitoria contro le diseguaglianze che hanno trasformato l' America in una società ferocemente ingiusta. «Il divario è giunto a livelli tali - denuncia il presidente- da rinnegare la promessa che sta al cuore dell' America: che questo è il luogo dove se ti dai da fare puoi riuscire». Perché questo sia vero «bisogna che ognuno giochi secondo le stesse regole» e invece un' élite oligarchica quelle regole le ha calpestate troppo spesso. O le ha ridisegnate a suo vantaggio, grazie al peso delle lobby del denaro che «stravolgono il nostro sistema politico». Obama si rivolge alla "middle class", quel termine inclusivo che qui negli Stati Uniti comprende oltre al ceto medio anchei colletti blu e quindi sta per "classi lavoratrici". E' il loro destino che si trova «a un bivio, un punto di rottura, perché è in gioco il fatto che l' America rimanga un paese dove chi lavora può mantenere una famiglia, comprarsi casa, assicurarsi una pensione». Tutti gli osservatori usano la parola "populista" per descrivere la svolta del Kansas. Sapendo che nella storia politica degli Stati Uniti il populismo non ha il connotato negativo che gli si dà in Europa. Qui c' è una forte tradizione di populismo di sinistra, che fornì anche la base di consenso per Franklin Delano Roosevelt nel suo New Deal contro la Grande Depressione. Non è un caso però se Obama si richiama all' altro Roosevelt, quello d' inizio Novecento che inaugurò le prime azioni antitrust: perché Ted era un repubblicano, e il suo precedente servea dimostrare quanto la destra attuale sia spostata su posizioni estremiste, fautrice di un iperliberismo che favorisce «solo l' 1%». Se la nuova strategia di Obama converge con alcuni degli slogan di Occupy Wall Street, la ragione è semplice: quel movimento ha raccolto nell' opinione pubblica simpatie vaste, ben oltre le attese, e ha spostato l' attenzione dal problema del debito a quello delle diseguaglianze. Paralizzato nella sua azione legislativa, con i repubblicani che avendo la maggioranza alla Camera bloccano la sua manovra da 450 miliardi per l' occupazione, Obama cerca di prendere il controllo sulla narrazione dello scontro: se nella campagna del 2012 riuscirà a dipingere i repubblicani come "il partito dell' 1%", le sue chance possono risalire. -
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE FEDERICO RAMPINI

Riapre il monumento funebre di Oscar Wilde al Père Lachaise di Parigi

È nuovamente visibile al pubblico dei pellegrini LGBT (ma non solo) il celebre monumento funebre dedicato alla memoria di Oscar Wilde, sepolto al cimitero Père Lachaise di Parigi, dove trascorse l'ultimo periodo della sua vita, ormai ridotta in frantumi dopo lo scandalo del processo per sodomia. Un periodo di chiusura si era reso necessario per procedere al restauro, o per meglio dire alla rimozione delle scritte e delle tracce di rossetto lasciate, con affetto certo ma anche con scarso senso civico, dai/dalle fans dello scrittore e drammaturgo irlandese. L'immagine che vedete rispecchia lo stato precedente al restauro. Lo scorso 30 novembre, in corrispondenza dell'anniversario della morte di Wilde (avvenuta nell'anno 1900), si è svolta l'inaugurazione e la riapertura ufficiale al pubblico, con la presenza straordinaria di Rupert Everett: il monumento è ora protetto da una teca di vetro, e su uno dei lati si legge una targa che invita al rispetto del luogo, nonché della memoria di questo grande della cultura mondiale.

Il vostro inviato da Parigi,

Daniele

Aids, la guerra dimenticata

http://roma.corriere.it/roma/notizie/cronaca/11_novembre_30/aids-percezione-dei-giovani-Giornata-Mondiale-1902363006632.shtml


IL PRIMO DICEMBRE LA XXIV GIORNATA MONDIALE

Aids, la guerra dimenticata dalle istituzioni
Troppi giovani non sanno cos'è l'Hiv

A vent'anni dalle ultime grandi campagne di informazione, oggi poco si fa per la prevenzione. Un malato su 4 non sa di esserlo. In Italia 1.191 casi. Contagio in crescita tra stranieri

Il nastro simbolo della lotta all'AidsIl nastro simbolo della lotta all'Aids
ROMA - Si celebra il primo dicembre la XXIV Giornata Mondiale per la lotta all’Aids. Ma la battaglia contro l'immunodeficienza da virus Hiv pare essere passata in secondo piano rispetto a tanti altri problemi sanitari. Eppure in Italia ci sono 165 mila «persone viventi con Hiv/Aids». All'occhio dei non esperti potrebbe sembrare che media e istituzioni abbiano «abbassato la guardia». Quel che è certo è che non si fa abbastanza per ricordare ai più giovani la minaccia dell'Hiv. E la percezione dei ragazzi riguardo all'Aids appare quantomeno sbiadita. Tanto che un sieropositivo su 4 non sa di esserlo, finchè la malattia si manifesta con virulenza: E allora è troppo tardi per limitare i danni: il contagio, in tempi in cui il preservativo nei rapporti sessuali viene di nuovo condierato da tanti under 20 un optional, è in aumento.
Ospedali: un reparto malattie infettive Ospedali: un reparto malattie infettive
DATI VECCHI DI 2 ANNI - Gli ultimi dati riguardanti l’Aids risalgono al 2009. Due anni fa, vennero raccolti pubblicati dall’Istituto Superiore di Sanità: documentavano i risultati della sorveglianza, a copertura nazionale, di nuovi casi di infezione da Hiv, attivata in 16 regioni o province italiane che rappresentano il 72,3% della popolazione residente.
Qualche numero: 1.191 nuovi casi di Aids in Italia, 4,5 nuovi casi ogni 100 mila residenti italiani e 22,2 nuovi casi ogni 100 mila stranieri residenti. Quasi il 60% nei nuovi infetti ha scoperto di aver contratto la malattia soltanto durante la fase conclamata. Un sieropositivo su 4 non sa di esserlo.
I ragazzi e l'Aids
di V. Altimari e G. Russo
CAMPAGNE ANNI '90 - La XXIV Giornata Mondiale per la lotta all’Aids si celebra in tutto il mondo con campagne di informazione e sensibilizzazione. In Italia ormai da qualche anno, si nota la mancanza di questo genere di iniziative, soprattutto sul fronte istituzionale. Si muovono le associazioni, consapevoli di quanto il problema sia ancora impellente, ma la voce dei ministeri è sempre più flebile.
Risalgono agli anni ’90 le campagne più incisive. Messaggi chiari sulla prevenzione arrivavano dai media, dalla distribuzione di opuscoli, da incontri nelle scuole e corsi di formazione. Le istituzioni mettevano mano ad una piaga sociale e cercavano di raggiungere la popolazione nel tentativo di non farla diventare una vera pandemia.
GUARDIA BASSA - «Sono circa 10 anni che la guardia si è abbassata – denuncia Andrea Berardicurti, da oltre 20 anni operatore di una Associazione, un combattente sul campo – come se questa malattia fosse debellata». Uno dei motivi di questa illusoria rassicurazione è la diminuzione dei casi di decesso. Grazie alle nuove terapie introdotte in Italia nel 1996, infatti, si è prolungata la sopravvivenza e ridotta la mortalità delle persone sieropositive. Questo fa pensare che il pericolo sia scongiurato, mentre nella realtà la diffusione del virus HIV aumenta in maniera preoccupante.
MENO MORTI, PIU' RISCHI - «I ragazzi che incontriamo noi del Circolo Mario Mieli, impegnato nella lotta all’Aids – continua Andrea – si sentono rassicurati proprio perché hanno sentito parlare di farmaci salvavita. Questo, poi, è aggravato dal fatto che l’uso del preservativo è ancora tabù, non se ne parla nelle scuole e, raramente, nelle famiglie». Meno morti ma più rischi, dunque. Indiscutibili i successi della medicina, ma troppo confusa la comunicazione e lontana la risoluzione del problema.
La campagna anti Aids del Circolo Mario MieliLa campagna anti Aids del Circolo Mario Mieli
MAMME INFORMATE - Daniele, anno di nascita 1990, ha una mamma preoccupata ed informata, lei ha assorbito le informazioni delle campagne di 20 anni fa ed oggi educa il figlio per un’attenta sessualità. Ma fuori casa? «I miei amici non usano il preservativo – sorride Daniele imbarazzato – costa troppo e non pensano al rischio».
Ludovico ha 17 anni, dalla scuola non ha ricevuto indicazioni, a casa neppure, il problema non sussiste. Il preservativo? No grazie, lui dice «Mi fido». Aurora va al liceo, ha 16 anni e la mamma l’ha preparata al pericolo delle malattie sessualmente trasmissibili, anticipando i futuri incontri sentimentali.
SPOT TELEVISIVI DIMENTICATI - Aurora però non ha memoria di spot televisivi, non le è mai capitato tra le mani un opuscolo e, probabilmente, quando vorrà saperne di più formerà la sua cultura online.
In un panorama di assenza delle istituzioni, la lotta all'Aids si fa sul Web o con le piccole iniziative private sul territorio, tra i giovani. Molte associazioni romane intraprendono progetti autofinanziati a favore della prevenzione e di sostegno verso le persone malate di Aids.
I condom di ContestaI condom di Contesta
DISTRIBUZIONE DI CONDOM - Per rompere il muro del silenzio ContestaRockHair, saloni di bellezza ad alto tasso di giovani, lancia «Aids is not Dead», una campagna di sensibilizzazione con la distribuzione di condom, per tutto il mese di dicembre. Ogni profilattico sarà venduto al valore simbolico di 1 euro, e l'intero ricavato sarà devoluto all'associazione onlus «Sieropositivo.it», per l'attività di informazione rivolta ai ragazzi delle scuole superiori. Ogni salone di Contesta, inoltre, avrà un distributore di caramelle che dispenserà le spillette «Aids is not Dead», il cui ricavato andrà alla stessa associazione.
LA NOTTE ANTI CONTAGIO - Il Circolo Mario Mieli, attraverso Muccassassina, appuntamento della notte che riunisce migliaia di giovani gay e non, il 2 dicembre dedica parte dell’incasso alla Cooperativa sociale «Gaia», che si occupa dell’assistenza domiciliare alle persone in Aids non autosufficienti. AnlAids prende parte al progetto del «Danish Center» che usa strumenti innovativi per la divulgazione. Attraverso il sito safesexdu.com si possono avere fare domande sulla malattia, il test, le vie di contagio e ricevere risposte anche sul proprio cellulare «Getting to zero», arrivare a zero (zero discriminazioni e zero morti), è lo slogan internazionale della Giornata di lotta contro l'Aids, sposato anche dalla Lila che muove azioni molteplici su tutto il territorio.
Doriana Torriero30 novembre 2011 | 20:39© RIPRODUZIONE RISERVATA

Bodhisattva di malaffare

Sto leggendo il libro Kuan-yin : The Chinese Transformation of Avalokiteśvara / Chün-fang Yü, che è veramente molto interessante; poiché in mezzo a tante pagine dotte ce ne sono alcune che ho trovato esilaranti (pp. 419-427), ho pensato di trattarne qui a parte.

Ho già scritto qui che nel pantheon buddista esiste una divinità transgender, chiamata Guanyin oppure Kuan-yin a seconda del sistema di traslitterazione usato, ed ho voluto comprare il libro (che usa la grafia Kuan-yin) per approfondire; penso di aver fatto bene perché, anche indipendentemente dall'interesse che Kuan-yin ha per un'associazione LGBT, il libro è una magnifica esposizione dello sviluppo del buddismo in Cina.

Ricordo che cos'è un bodhisattva: secondo il buddismo mahayana, la più alta forma di realizzazione spirituale non è il diventare un arhat (cioè una persona che, avendo raggiunto l'illuminazione, ne gode semplicemente i frutti uscendo dal samsara ed entrando nel nirvana), ma una persona che vuol condividere l'illuminazione con tutti gli esseri senzienti, e rimane perciò nel samsara per aiutarli a rinascere ad un livello superiore od illuminarli addirittura.

Questi è un bodhisattva, ed i semplici fedeli che da soli non ce la farebbero mai sanno di poter contare su di loro. Ed ai bodhisattva si attribuisce una grande versatilità e creatività nello scegliere gli "upaya = mezzi acconci" per illuminarli.

Sebbene il buddismo sia una religione ascetica, non ci sono limiti nella scelta degli "upaya"; e le scritture tantriche dicono dei bodhisattva che, una volta giunti al sunyata [ovvero, si sono resi conto che la distinzione soggetto-oggetto non ha senso], essi possono commettere qualsiasi cosa senza riportarne danno spirituale.

Per esempio, di Vimalakirti si dice che entrava nei bordelli e nei "cabaret" [la parola è dell'autrice] e commetteva pure i "cinque peccati mortali" (uccidere il padre, uccidere la madre, uccidere un arhat, far male ad un bodhisattva, creare divisioni nel sangha [comunità buddista]) senza che questo gli nuocesse; e dei mara [demoni] si dice che sono in realtà dei bodhisattva con una missione assai particolare, che giova comunque a chi cerca l'illuminazione.

Tra i "mezzi acconci" non manca il sesso - per questo ho tradotto "upaya" con "mezzi acconci", ben sapendo che talvolta diventano "mezzi sconci", ed il titolo che ho scelto, "Bodhisattva di malaffare", non è per niente gratuito.

Don Lorenzo Milani, nel libro Lettera a una professoressa, paragonò i maestri ai preti ed alle puttane, perché il loro compito era amare ed abbandonare - ed un simile paragone è preso molto sul serio dalle scritture buddiste.

La professoressa Reiko Ohnuma ha conseguito il suo dottorato in scienze religiose con una tesi sul "dono del corpo", che nel caso del buddismo può giungere all'automutilazione, ma contempla anche la prostituzione; di lei Chün-fang Yü cita queste parole a proposito di prostitute e bodhisattva:
Poiché entrambi rifuggono dal particolare amore di un coniuge e di una famiglia, essi sono liberi di offrire i loro doni a tutti egualmente. La differenza cruciale, ovviamente, è che la prostituta è spinta dall'avidità ed offre i suoi doni in scambio, mentre il bodhisattva è spinto dalla compassione ed offre i suoi doni per pura generosità. Eppure, sia la prostituta che il bodhisattva hanno una particolare spinta a sedurre e soddisfare i loro clienti, ed impiegano in modo efficace un'ampia varietà di diverse abilità volte a compiacere tutti i tipi di esseri. Infatti, nell'Upayakausalya Sutra (Sutra dell'abilità nei mezzi), l'insegnamento del dharma con mezzi acconci da parte del bodhisattva è esplicitamente confrontato con i diversi metodi con cui le prostitute spennano i loro clienti.
E sia i bodhisattva che le prostitute hanno la caratteristica di non discriminare e non respingere; il libro riporta diversi episodi in cui una prostituta si sarebbe rivelata dopo la morte un'incarnazione di Kuan-yin, che usava il suo corpo per portare gli uomini nel paradiso del dharma, non (solo) in quello dei sensi.

Ed infatti a codeste meretrici si attribuisce questa caratteristica: l'orgasmo che davano era definitivo - ovvero saziava per sempre ogni desiderio sessuale, facilitando l'ascesi in coloro che erano stati loro clienti.

Che nei propri desideri si celi l'illuminazione è un insegnamento reso famoso da Nichiren Daishonin, ma non è suo originale - si può trovare in tutto il buddismo mahayana; e l'uso del sesso come veicolo d'illuminazione è celebrato particolarmente nel buddismo tantrico.

Il libro riporta la storia di Avalokitesvara e Vinayaka (un'incarnazione del dio Ganesa): il loro padre Mahesvara aveva avuto la bellezza di 3000 figli, tra cui loro due; Avalokitesvara era a capo dei 1500 figli buoni, Vinayaka dei 1500 figli malvagi.

La vittoria dei buoni sui cattivi avvenne quando Avalokitesvara si unì a Vinayaka come "fratello maggiore con fratello minore, marito con moglie", e si tratta dell'unico rapporto esplicitamente omosessuale che ritrovo nel libro, anche se il culto di Avalokitesvara/Kuan-yin si prestava certo a delle ambiguità: per esempio, degli attori che recitavano en travesti si diceva che erano "belli come Kuan-yin".

Una storia simile è quella di "Huan-shi wang = Re del piacere", lontanissimo sia dall'ascesi che dal buddismo; ma Kuan-yin lo sedusse sotto forma di bella fanciulla e lo convertì al buddismo, facendone un protettore (giuro, non c'è il doppio senso!). Esiste un rito tantrico ispirato alla loro storia, ed essi sono spesso ritratti abbracciati, congiunti e sorridenti, come nella raffigurazione tibetana dello yab-yum, che vedete qui a sinistra.

Una versione meno salace di questa storia, ma che forse meglio spiega come una bella ragazza possa illuminare dei maschietti è quella della "moglie di Ma", detta anche la "Kuan-yin del canestro di pesci".

Costei era una bella pescivendola, tanto corteggiata da potersi permettere di dire ai suoi pretendenti che avrebbe sposato chi di loro fosse riuscito ad imparare a memoria in una sola notte il capitolo del Portale Universale del Sutra del Loto - ci riuscirono in venti.

In Cina un uomo poteva sposare più donne, ma una donna non poteva sposare più uomini - perciò la pescivendola alzò il tiro: avrebbe sposato chi fosse riuscito a memorizzare il Sutra del Diamante; ma ci riuscirono in più di dieci.

Allora lei disse che avrebbe impalmato chi avesse imparato in tre giorni il Sutra del Loto - ci riuscì solo il signor Ma, che lei sposò.

Ma ella morì prima che il matrimonio fosse consumato, ed un monaco di passaggio qualche giorno dopo disintegrò la carne intorno alle sue ossa, mostrando che erano incatenate da una catena d'oro - la donna era una bodhisattva (Kuan-yin, per l'appunto) che aveva usato la sua bellezza per portare i suoi pretendenti al buddismo.

Il curioso dettaglio del matrimonio non consumato mostra l'involuzione della società cinese nel periodo tra le dinastie T'ang (618-907), in cui la civiltà cinese raggiunse il suo apogeo, ed il tantrismo la massima diffusione in Cina, e Sung (960-1279), in cui inizia la decadenza di una civiltà ancora smagliante, manifestata anche dall'insistenza sulla continenza, di origine neo-confuciana, che fece cadere nel dimenticatoio le dottrine sull'affinità tra bodhicitta e meretricio.

Avrei forse potuto rendere più leggero questo articolo, evitando troppi riferimenti dotti - ma chi mi avrebbe salvato dall'accusa di aver portato scompiglio nel samgha accostando spudoratamente erotismo e buddismo? Non si può scrivere semplicemente che il vero bodhisattva è una gran puttana senza averlo prima dimostrato :-)

Per quanto riguarda la scarsità di racconti su Avalokitesvara/Kuan-yin a tema omosessuale, non è il caso di disperare: le aspettative dei fedeli condizionano la forma dei miracoli che vengono attestati, quindi è possibile che nel prossimo secolo si comincino a raccogliere racconti di questo tipo, se i/le seguaci LGBT di Kuan-yin trovano il coraggio di fare il loro bravo coming-out.

Raffaele Ladu