Riflessioni sullo scrivere gay

F. Gnerre e G. P. Leonardi, Noi e gli altri. Riflessioni sullo scrivere gay, Milano, Il Dito e La Luna, 2007


Considerando la data di pubblicazione del volume, non più recentissimo, non intendiamo proporre in questa sede una vera e propria recensione quanto, per l'appunto, delle riflessioni sull'influenza che l'identità sessuale di un autore può esercitare sulla sua produzione letteraria e sul ruolo che ha svolto, e può ancora svolgere, una "letteratura gay". Sulla scia di un'analoga iniziativa di Giovanni Dall'Orto del 1987, Noi e gli altri raccoglie una serie di interviste a scrittori di varia nazionalità, ma in larga misura italiani e americani, accomunati dal fatto di essere omosessuali e di aver rappresentato l'omosessualità nelle loro opere. Proprio un raffronto tra la realtà italiana e quella americana costituisce il fil rouge di questa raccolta nonchè uno degli aspetti maggiormente sviluppati nell'Introduzione, che mette in luce come gli Stati Uniti, patria di Stonewall, abbiano conosciuto, nel corso degli anni '70, un vero e proprio sviluppo della "letteratura gay", anche militante, in particolare nella forma del coming out novel, mentre in Italia, terra del "patto" non scritto tra Stato e omosessuali, secondo i termini dello stesso Giovanni Dall'Orto, questo non sembra essere avvenuto. Nel nostro Paese sarà Pier Vittorio Tondelli, negli anni '80, l'autore di riferimento per quanto riguarda una rappresentazione "moderna" dell'omosessualità, che con lui diventa un tema letterario senza però che le si permetta di uscire dall'ambito della letteratura.

Un ostacolo allo sviluppo di una "letteratura gay" paragonabile a quella americana può essere stato dovuto, secondo Edmund White, ad un'"idea di universalità" (p. 146) propria dell'Europa in generale, in virtù della quale non esistono scrittori ebrei, neri o gay ma esclusivamente scrittori tout court, come se ulteriori specificazioni rappresentassero in qualche modo una sottrazione del valore letterario dell'autore stesso. Per cui, se dal punto di vista della ricezione persino i sostenitori di Proust persistono nel passare sotto silenzio l'omosessualità, seppur notoria, del loro autore, dal punto di vista della creazione è diffuso in molti scrittori il timore che la tematica gay possa precludere loro fasce di pubblico non prettamente LGBT. È quanto sostiene, per esempio, Marco Mancassola, che esprime il desiderio di stare, certo, "nello scaffale della letteratura gay" (p. 113), ma se possibile anche negli altri. A patto però, verrebbe da puntualizzare facendo riferimento, in questo caso, all'intervista a Ken Harvey, che non si cerchi di assecondare troppo il gusto del pubblico eterosessuale tramite rappresentazioni stereotipate, accentuando ad esempio "l'aspetto comico e un po' clownesco oppure relegando il gay nel ruolo del migliore amico" (p. 185). Matteo B. Bianchi, che con Generations of love del 1999 ha saputo trattare la tematica omosessuale con naturalezza riuscendo peraltro nella non facile impresa di raggiungere un pubblico di vaste dimensioni, evoca invece il rischio della "discriminazione al contrario", quella dell'autore gay costretto, paradossalmente, ad "occuparsi ogni volta di questioni gay" (p. 90), trovandosi così mutilato della propria libertà espressiva.

In autori appartenenti a generazioni precedenti si osserva invece un rifiuto non solo della "specializzazione" in letteratura, ma più in generale della "ghettizzazione" cui va incontro una comunità omosessuale organizzata : "noi omosessuali non saremo mai amati", sostiene Gian Piero Bona (p. 170), oramai ultraottantenne e fautore di un'idea di "omosessualità mitica" che molto ha a che fare con la filosofia antica e molto poco con quella "democrazia borghese" (ibid.) con cui il movimento si illude di poter dialogare. Non solo una vera comunicazione con la società dei "normali" è, per questi autori, impossibile, ma il rendersi identificabili come gruppo omogeneo non può che tradursi in una maggiore vulnerabilità di fronte agli attacchi dei nemici di turno. Le idee in materia di letteratura "gay" non possono quindi prescindere da una valutazione delle politiche messe in atto dal mondo LGBT.

Insieme al tema dell'universalità della scrittura, un altro nodo ricorre con frequenza, stavolta, nelle interviste agli autori americani, quello relativo ai rapporti tra la letteratura cosiddetta gay e i queer studies, tanto in voga nelle università statunitensi. Dalle risposte che sono state fornite, sembra di evincere che tali rapporti siano, se non inesistenti, quantomeno irrilevanti, nel senso che si tratta di due "mondi" che, pur nel reciproco rispetto, parlano linguaggi diversi e proprio per questo difficilmente entrano in comunicazione tra loro. Dal punto di vista di uno scrittore come David Leavitt sarebbe anzi un errore pensare di dedicarsi agli studi gay e lesbici prescindendo dalla lettura di grandi autori come Wilde o Forster, fondamentali per la comprensione della realtà e della storia LGBT (p. 178).

Dalla letteratura "gay" (scritta dai gay sui gay ma non esclusivamente per i gay), e dai romanzi in particolare, c'è senz'altro molto da imparare, e questo vale, beninteso, anche per gli etero. L'obiettivo che si prefigge un Alex Sanchez è infatti duplice : da un lato dare ai propri giovani lettori omosessuali "quella piccola spinta necessaria per affrontare il coming out" (p. 203), dall'altro aiutare i ragazzi etero "a comprendere cosa significa essere veramente omosessuali" (p. 205). Una funzione terapeutica è quella indicata da Gilberto Severini, secondo il quale la letteratura può "tentare (dico tentare) di medicare" l'infelicità di chi si scopre omosessuale (p. 118), grazie ai meccanismi dell'identificazione che si innescano, in generale, attraverso la lettura di opere letterarie di qualità, capaci di cogliere l'essenza stessa dell'umano, ma con maggiore facilità quando l'argomento tocca le corde più profonde della sensibilità di un gruppo minoritario poco avvezzo a sentir parlare di sè in termini non stereotipati.

Quali prospettive per il presente? Quale spazio può occupare e quale ruolo può svolgere la letteratura gay in un'epoca come la nostra, segnata, da un lato, dall'emergere di nuovi mezzi di comunicazione e, dall'altro, dalla chiusura, almeno in Italia, di numerose storiche librerie specializzate? Alla funzione educativa della letteratura, cui faceva riferimento Alex Sanchez, molti scrittori non hanno certo rinunciato : basti l'esempio del romanzo d'esordio di Gabriele Sannino, Non sono un alieno, che riprende con esiti piuttosto felici la formula vincente di Generations of love di Matteo B. Bianchi con intenti però più scopertamente didattici (pensiamo in particolare al passaggio dedicato al tema del gay pride). Sempre molto sentito sembra inoltre il bisogno di colmare un vuoto nella rappresentazione veritiera della vita delle minoranze sessuali, che troppe volte i media, e marcatamente la televisione, continuano a dipingere con i colori della caricatura. Così, un'autrice come Paola Guazzo riesce, nel suo romanzo sperimentale Un mito, a suo modo, in ciò che alla televisione è precluso, e cioè nel renderci partecipi, da dentro, delle dinamiche proprie all'universo lesbico, innovando peraltro notevolmente sul piano dell'espressione e svincolandosi dal modello inflazionato dell'autobiografia pura per ridare spazio, ma "a modo suo", al piacere della narrazione. Molte strade restano quindi da esplorare, e molto può e deve ancora essere fatto per cercare di resistere in questa nostra "democrazia borghese", se non per ambire ad agire su di essa, ed è quasi superfluo osservare che il grosso della partita, oramai, si giocherà in rete.


Daniele Speziari

NEL BOSCO DEGLI ELFI GAY

Si chiamano Faeries. Sono omosessuali radicali che vivono in comunità, lontano dai centri abitati, e sono profondamente antisistema. Usano il corpo e il sesso come strumento di conoscenza dell'altro

venerdì 15 ottobre 2010 , da L'Espresso

Il movimento nacque negli anni Settanta in America. E solo ora sta sbarcando in Europa. Italia compresa. Sono i novelli Pan, ninfi e ninfe dei tempi moderni. C'è Lopi, la bambola vivente che suona nel bosco. C'è Weasel che sfoggia il corno e indossa le pelli del piccolo mammifero da cui ha mutuato il nome. C'è Iunce di drappi vestita. E c'è la sirenetta lesbica in coppia con il mago barbuto, che emula le fattezze di Albus Silente, prodigioso preside di Harry Potter. Un agricoltore zappa la terra coperto solo dei suoi tatuaggi. Una Drag Queen ha sostituito il palcoscenico con una capanna di legno. Ecco i Faeries, "fatine del bosco" che invadono il terzo millennio snobbando caos, frenesie e reti telematiche. Con una particolarità: sono tutti omosessuali, questi spiritelli terreni. I moderni elfi gay, che nel gergo di oggi si chiamerebbero "queer", si sentono in qualche modo i discendenti spirituali delle streghe arse sui roghi negli anni bui del Medioevo: uomini e donne che hanno scelto di allontanarsi dal quotidiano ed erigere un santuario sull'altare della natura. Vivono insieme, lontano dalla società organizzata, rifiutano la cultura metropolitana dell'omosessualità e ribaltano il senso spregiativo che parole come "fatina", o "frocio", hanno rappresentato per decenni nella cultura gay. Scegliendo il corpo e il sesso come strumento di conoscenza dell'altro.

Negli Stati Uniti sono un movimento antisistema, germogliato dall'onda hippy a fine anni Settanta e ormai diffuso in tutto il Paese. Ma la "vita feerica" sta lentamente contagiando anche l'Italia, dopo avere invaso il Nord Europa, dall'Inghilterra alla Francia. Per ora nel nostro Paese non ci sono i cosiddetti "santuari", come chiamano i villaggi nascosti nelle grandi pianure americane o sorti attorno a vecchi edifici dismessi e lontani dalle città. Eppure dentro queste comunità s'affacciano sempre più spesso anche gay, lesbiche e trans che cercano un'identità nuova fuori dal nostro Paese. Si danno nomi di fantasia. Scelgono maschere e abiti da Mardi Gras. Il nudo non è trasgressione e tanto meno peccato, è condizione di dialogo fra corpi e menti: "Fra noi Faeries io e tu diventa io e io: entrambi. Si vive in comunità, che possono essere piccoli gruppi di amici che si ritrovano a casa di qualcuno o intere comunità che affittano o comprano grandi terreni per trasformarli in aree sacre permanenti", racconta a "L'espresso" uno di loro. È un globetrotter di 47 anni, originario di Roma, che si fa chiamare Isildur, come il re dei Numenoreani ne "Il Signore degli Anelli". Somiglia molto ai protagonisti dei grandi raduni radical del centro America: "Ci conosciamo attraverso il sesso, camminiamo nudi nel bosco o ci travestiamo. Tutti i vestiti sono travestimenti, dallo smoking al costume sciamanico. Indossiamo spesso maschere o ci coloriamo il volto. Per noi il trucco ha un valore sacro, l'ornamento del viso e del corpo sono forme di comunicazione con il divino che ci circonda".

Alla pop art e alle provocazioni gay di Andy Warhol rispondono con la controcultura pagana. Proprio quella che, secondo uno dei loro antesignani, Arthur Evans, è sopravvissuta al trionfo del cristianesimo in Europa nascondendosi per secoli ai margini della società. Suona come un manifesto dei sobborghi della conoscenza che si ribellano al global: "Siamo una rete di omosessuali, artisti, lavoratori, abitanti delle città in fuga che sentono la cultura gay, lesbica e transessuale come una comunità distinta, separata dalla società di massa, con una nostra spiritualità, un nostro modo di essere. Dobbiamo unirci e diventare un grande popolo, recuperare l'equilibrio perduto della più ampia comunità umana del pianeta", scrive Joey Cain che cura la newesletter mensile del Nomeus Wolf Creek Sanctuary. Ma i Faeries non hanno un capo, né eleggono un leader. Ognuno di loro è divino e parla per se stesso. Si uniscono per darsi aiuto reciproco, mescolando gioco, amore, pensiero e sesso come strada verso una nuova forma di conoscenza degli esseri umani. In quei villaggi si lavora la terra, si mangia e si dorme insieme, senza un impiego, senza debiti e senza violenza. Spinti solo da un profondo rispetto per la "terra madre" che unisce religioni e culture diverse: buddismo e protestantesimo, new age ed ebraismo, islam e wicca, sciamanesimo fino al cattolicesimo. Al dogma sostituiscono una comune visione della vita, proprio come ha fatto Isildur, che racconta di avere raggiunto addirittura La Mecca dei Faeries: il Montagna Short Sanctuary nel Tennessee e il Faerie Camp destiny nel Vermont. È lì che vengono ospitati i grandi raduni mondiali, dove migliaia di omosessuali e lesbiche che hanno scelto la Faerie Life si danno appuntamento. Qualcuno ci rimane per mesi o anni, altri solo per pochi giorni. Ci si dedica alla creazione del "cerchio sacro", al passaggio del talismano, ai riti di danza estatica come il Kali Fire per cacciare dall'esistenza il superfluo, ciò che non è davvero necessario e desiderato.

Tutto cominciò nel 1979 quando un tale di nome Harry Hay, assieme al suo compagno, invitò la comunità gay degli Stati Uniti a una riflessione sul senso spirituale della propria condizione, lanciando la prima conferenza spiriturale di Radical Faeries. La sua visione era forse la più semplice e antica: il ritorno alla natura, la celebrazione delle stagioni, dei solstizi e degli equinozi, il recupero dei rituali dei nativi americani come appunto il "cerchio". E così oggi quel minuscolo Circolo Faerie è diventato internazionale e, dai radical americani, sta sgorgando una vera e propria cultura eurofaery, come è stata ribattezzata dallo studioso Federico Campagna. Nel Vecchio continente arrivarono nel 1995, sull'isola di Tersehellreng al largo dell'Olanda. Ma non è mai stato un tentativo di emulazione degli americani. "Il fatto che in Europa non si parli una lingua comune, ad esempio, crea spazi di comunicazione molto ampi e dà un senso profondo all'essere europei, basato sulle differenze e non sull'omologazione come invece spinge a fare la politica", raccontano Lappi e Shokti del gruppo Albione. In Italia per ora c'è solo un riverbero di tutto questo. Anche se Isildur scommette che la cultura feerica dilagherà e presto sorgerà un santuario: "È più difficile perché c'è l'ostacolo della cultura cattolica che, a differenza di quella protestante, non è un humus favorevole", spiega. L'altra muraglia è la cultura gay: "Ha modelli sempre più basati sulla bellezza, l'eterna giovinezza e il sesso sempre e comunque. La scena gay italiana chiede questo, mentre noi cerchiamo un rapporto naturale fra i corpi. E seguiamo il coniglio bianco".