Le Vittime senza nome dell'Olocausto


Omosessuali, rom, disabili le vittime senza nome dell'Olocausto Eccidi dimenticati. 

Sperimentazioni a lungo negate, per lo più su bambini. Accanto agli ebrei, sono centinaia di migliaia le persone morte nei campi di sterminio nazisti Venerdì 27 Gennaio 2012 da la Repubblica in Approfondimenti
Aktion T4, Porrajmos e Omocausto. 
Hanno un nome, quelli che in molti definiscono gli Olocausti dimenticati. Disabili, rom e omosessuali sterminati durante gli anni del nazismo, grazie anche al ruolo svolto dai regimi fascisti collaborazionisti. Spesso non hanno più un volto e una voce, perché furono in pochi a sopravvivere ai folli piani di sterminio messi in atto da Hitler e a poter, quindi, trasmettere quella Memoria, fondamentale per tramandare le atrocità commesse dall'uomo. Anche la matematica dell'orrore, quella che dovrebbe documentare e far comprendere nella sua brutalità numerica, con le cifre delle persone morte, la portata di questo sterminio, deve fare i conti con documenti fatti sparire o con (è il caso dei rom) l'assenza di una tradizione scritta. Oppure, come avviene per i gay, con la negazione della loro omosessualità, anche dopo la liberazione dai campi di concentramento. Anche i Testimoni di Geova furono perseguitati, tra il 1933 e il 1945 (diecimila internati, prevalentemente tedeschi): a loro veniva anche offerta - invano - la possibilità di rinunciare al loro credo religioso, in cambio della libertà. Olocausti che - come hanno fatto notare, non senza qualche polemica, alcune associazioni - si è spesso cercato di dimenticare. E sono proprio le associazioni come l'Avi (per la tutela delle persone disabili), Arcigay e Gay Center, Opera Nomadi e Aizo (rom e sinti) ad aver organizzato, nella settimana della Memoria, alcuni eventi, in tutta Italia, per cercare di far conoscere, ad esempio, l'Aktion T4, il programma nazista di eutanasia che, in nome dell'igiene della razza cara ai nazisti, portò alla soppressione di almeno 70mila persone affette da malattie genetiche, inguaribili o da malformazioni fisiche. O l'Omocausto, che portò alla morte di almeno 7mila omosessuali nei campi di sterminio nazisti (oltre alle decine di migliaia di persone che vennero condannate sulla base del Paragrafo 175, quello che puniva gli atti e, persino, le fantasie omosessuali). E, infine, lo Porrajmos, che in lingua romaní indica la "devastazione": furono più di mezzo milione i rom e i sinti morti nei campi di sterminio. I piani di sterminio degli zingari vennero attuati non soltanto nei territori annessi dal dominio nazista, ma anche da parte dei governi collaborazionisti, come la Romania e la Jugoslavia, che furono, insieme alla Polonia, tra i principali teatri di questa persecuzione. Ad Auschwitz erano rinchiusi nel tristemente noto Zigeunerlager, ed erano contraddistinti dal triangolo marrone. Come Barbara Ritter, cecoslovacca rom, scomparsa due anni fa. Una delle poche persone a raccogliere la sua testimonianza, durante un incontro che si è tenuto a Ginevra, è stata Carla Osella, presidente dell'Aizo (Associazione Italiana Zingari Oggi). A lei ha raccontato della deportazione nel campo, nel reparto dell'"angelo della Morte", quel Josef Mengele noto per i suoi esperimenti medici e di eugenetica che svolse usando come cavie umane i deportati, anche bambini. "Barbara venne rinchiusa nel lager di Mengele, e qui sottoposta ad una serie di esperimenti. Le inocularono la malaria, per vedere se era in grado di guarire. Non morì, a differenza di tante persone, tutti bambini, che erano con lei", racconta Osella. "Uno dei racconti più atroci che mi fece, fu quello che vide per protagonista un bimbo, ad Auschwitz. Per tenere buoni i bambini, Mengele era solito dar loro della cioccolata. Un giorno prese uno di questi e, proprio di fronte a Barbara, gli sparò, senza alcuna apparente motivo". Barbara assistette anche a numerosi tentativi di ribellione, da parte dei rom, nei confronti dei soldati nazisti. "La Ritter si salvò, perché, dopo essere stata trasferita a Buchenwald, riuscì a fuggire, mentre chi era rimasto ad Auschwitz fu ucciso", ricorda ancora la presidente dell'associazione. Ma i racconti come questo sono pochi. "Non ho notizia, in Italia, di nessun rom sopravvissuto all'Olocausto, che sia ancora in vita - dice Massimo Converso, presidente dell'Opera Nomadi - E poi c'è il problema, a livello di trasmissione della memoria, dell'assenza di una tradizione scritta. I rom erano spesso analfabeti". Mezzo milione i morti certi, anche se di moltissimi zingari si è persa ogni traccia, senza che si possa dire con certezza che siano stati uccisi dai nazisti. E questo potrebbe spiegare perché altre stime parlino di un milione e mezzo di morti. In provincia di Viterbo, a Blera, ne vennero chiusi una cinquantina in un campo di concentramento repubblichino, sconosciuto ai più. "Dal settembre del 1943 al giugno del 1944", spiega Converso, che ieri, a Roma, ha preso parte alla tradizionale fiaccolata che ricorda i rom uccisi. Silvia Cutrera, a capo dell'Avi (associazione per la vita indipendente) è, invece, riuscita a intervistare il tedesco Friedrich Zawrel: classe 1929, venne internato nello "Am Spiegelgrund", un ricovero, a Vienna, per bambini "disturbati mentalmente", e che, sotto il Terzo Reich, fu trasformato in "centro dell'orrore". Era considerato affetto da comportamento deviato, perché figlio di un alcolizzato non in grado di prestare servizio militare: in più aveva anche marinato alcune lezioni, a scuola. "Ha personalmente assistito agli esperimenti condotti sui bambini, ricoverati insieme a lui - racconta la Cutrera - Non venivano uccisi, ma si somministravano loro farmaci, per vedere chi riusciva a vivere più a lungo oppure per studiare le loro reazioni. Anche lui fu costretto a prendere medicine letali". Dopo aver subito molestie e violenze, ha cercato di fuggire. Riacciuffato, è stato segregato per un anno in una cella di isolamento: è riuscito a salvarsi soltanto grazie all'aiuto di una infermiera. Rosa era, invece, il colore del triangolo che indicava, nei campi di concentramento, gli omosessuali. "Le stime sui morti, in questo caso, sono difficilissime - racconta Fabrizio Marrazzo, portavoce di Gay Center - perché molti non volevano ammettere di essere omosessuali. Altri vennero portati nei campi di concentramento per altri motivi e, quindi, la loro omosessualità non emergeva". "E' una storia cancellata, la loro", dice Porpora Marcasciano, presidente del MIT (movimento di identità transessuale), "anche per colpa di quel pudore cattolico che porta a censurare determinati argomenti. E bisogna considerare che molti gay erano anche deportati politici e non avevano alcuna intenzione di dichiarare il loro orientamento sessuale, anche una volta liberati". Tra i pochi - è forse l'unica, in Italia, a poter ancora ricordare quegli anni di persecuzioni - c'è la transessuale Lucy, che entrò nel campo di sterminio di Dachau come Luciano. E che, nel 2010, per la prima volta, è tornata a visitare il luogo dal quale è riuscita miracolosamente a salvarsi. Alcuni volti di omosessuali internati ad Auschwitz sono esposti, da giovedì, nell'ambito di una mostra, allestita a Roma, nella sede del Municipio XI, curata da Gay Center e Arcigay Roma, con il supporto della comunità ebraica di Roma e dell'Ucei. "Di Omocausto si è iniziato a discutere in Italia grazie a quegli studiosi, soprattutto tedeschi, che hanno sollevato il caso - osserva Aurelio Mancuso, presidente di Equality - Fino a non molto tempo fa, una ventina di anni fa, non si parlava affatto delle vittime omosessuali. C'erano anche difficoltà relative alle fonti e ai documenti". "Bisogna poi ricordare quelle centinaia di persone mandate al confino dal regime fascista - aggiunge Mancuso - e che, comunque, rientravano nelle persecuzioni dell'epoca contro gli omosessuali". Mancuso evidenzia anche il ruolo chiave svolto dalle comunità ebraiche italiane nel portare alla luce la questione dell'Omocausto: "Si è fatto molto lavoro comune, fondamentale per una memoria condivisa, e tanti rabbini si sono pronunciati in merito alle persecuzioni dei gay durante il periodo nazista". (di Marco Pasqua)

L'egoismo della famiglia


Sto leggendo il libro Sex after Fascism : Memory and Morality in Twentieth-Century Germany / Dagmar Herzog. – Princeton : Princeton University Press, 2005, che tratta della sessualità in Germania dal regime nazista ad oggi.

Alle pagine 59-60 l’autrice Dagmar Herzog scrive:
Infatti, la storica Gudrun Schwartz ha espresso costernazione per il contrasto tra la facilità con cui i nazisti riuscirono a rendere appetibili alla popolazione le loro politiche antiebraiche e le difficoltà che sembrano avere incontrato nel convincere la maggior parte dei tedeschi che il matrimonio e la fedeltà coniugale erano ideali antiquati.
Temo che la spiegazione sia semplicemente elementare: la morale sessuale delle religioni abramitiche rappresenta “l’egoismo della famiglia”, che potrebbe essere frantumata dalla libertà sessuale delle donne (che farebbe nascere dei dubbi sulla paternità della generazione successiva) e dal non generare (che negherebbe alla famiglia un futuro).

La politica sessuale e razziale nazista voleva aumentare la fecondità degli individui superiori (tipicamente, gli ariani), sterilizzare gli inferiori, e sopprimere i nemici del “Volk” di cui il regime si era dichiarato rappresentante – gli ebrei rientravano nell’ultima categoria; i gerarchi nazisti erano conseguenti: se si volevano più figli, occorreva più sesso (eterosessuale!), e per loro l’unica cosa che contava erano le qualità genetiche dei possibili genitori.

Un esempio di questa concezione l’ha data il discorso di Himmler sull’omosessualità che abbiamo pubblicato qui, in cui si trova questo brano:
Fatte tutte queste considerazioni, non ci si deve scordare che la Germania è purtroppo diventata un paese urbanizzato per due terzi. Il villaggio non conosce problema alcuno. Il villaggio ha una soluzione sana e naturale di tutti questi problemi. Là, malgrado il pastore e la morale cristiana, malgrado un sentimento religioso che si mantiene da secoli, il giovanotto va a bussare alla finestra della sua bella. Così si risolve il problema. Certo, ci sono dei figli illegittimi, alcune persone che nel villaggio si agitano; ed il pastore è contento di avere un nuovo argomento per il sermone. I ragazzi fanno esattamente come in passato e - non vi lasciate imbrogliare - come nei tempi più antichi della nostra storia. Tutta la teoria inventata per favorire la causa secondo cui la ragazza tedesca, se ha la sventura di non sposarsi che a ventisei o trent'anni, ha vissuto come una monaca fino a quell'età, è una favola. Di contro, le leggi sul sangue erano rigorose: nessun ragazzo e nessuna ragazza si dovevano compromettere con un sangue di minor valore. La severità a questo proposito era estrema. E si era altrettanto severi su un'altra cosa: la donna infedele era punita con la morte, perché un sangue straniero rischiava di entrare nella famiglia. 
Tutto questo era naturale a quell'epoca, l'ordine era sano e ragionevole, andava nel senso delle leggi naturali, e non in senso inverso come oggi.
Il discorso è del Febbraio 1937, ma nell’Ottobre 1938 Himmler emanò un ordine controfirmato da Hitler alle SS ed alla Polizia (era il capo di entrambe), citato alla pagina 51 del libro di Dagmar Herzog:
Aldilà dei limiti delle leggi e dei costumi borghesi, forse altrimenti tuttora necessari, ci sarà inoltre anche al di fuori del matrimonio un’importante responsabilità per le donne tedesche e le ragazze di buon sangue, da non prendere alla leggera, ma invece con profonda gravità, cioè il diventare le madri dei figli dei soldati che stanno andando al fronte e di cui solo il destino sa se torneranno o cadranno in battaglia per la Germania.
Questa politica sessual-razziale nazista andava ovviamente contro “l’egoismo della famiglia”, perché la maggior parte dei tedeschi vedeva nella famiglia e nei figli di cui erano sicuri di essere i padri la loro assicurazione per il futuro, anche se il regime aveva ben altre idee.

Gli ebrei non erano invece l’assicurazione sul futuro di nessuno che non fosse dei loro – se “l’egoismo della famiglia” è un sentimento elementare, ci vuole una bella sofisticazione mentale per capire che chi lascia che un regime politico tratti delle persone come “senza valore”, autorizza quel regime a trattare anche lui come “senza valore”.

Oltretutto, va detto che il regime nazista era un maestro nel lanciare il sasso e nascondere il braccio: accusava gli ebrei di essere nemici della famiglia, di propagare la dissolutezza, la contraccezione, il libero amore, l’aborto e la pederastia – ma, salvo l’aborto e l’omosessualità (contro i quali operava un’apposito ufficio della Gestapo), tutte queste cose le facevano anche i nazisti.

Oltretutto, anche i nazisti sapevano fare quello che fanno alcuni autori pornografici (no, io ho un altro stile :-)): riempire un’opera di scene di sesso fingendo però disgusto, condanna morale, deprecazione, invettive contro il depravato che può essersi messo in testa ed aver messo su carta o celluloide queste cose – il risultato è che il lettore è stuzzicato comunque, ma l'autore si lava però la coscienza; alcune delle pubblicazioni naziste mostrate da Dagmar Herzog facevano dei confronti abbastanza ridicoli del genere: “Guardate il nudo indecente che presentavano gli ebrei nei loro spettacoli” (seguivano le foto), e poi: “Guardate il nudo schietto e naturale di cui sono capaci le donne tedesche grazie a noi!” (seguivano altrettante foto).

Nudi femminili nazisti
Fu notato che il soggetto più ritratto dagli artisti nazisti, dopo i paesaggi, erano i nudi femminili (ma non mancavano i maschietti, aggiungo io, ritratti in modo più … realistico che nella statuaria greca, anche se si dava ad intendere che dovevano essere visti non in modo lascivo, ma come incarnazione di una bellezza ideale) – e non era un caso, ma un modo per attizzare sessualmente i tedeschi.

Nudi maschili nazisti
Sui pettegolezzi che giravano durante il regime sulla promiscuità praticamente imposta nelle organizzazioni giovanili naziste, basti riferire quello che disse la figlia di Otto Klemperer, che disse di aver visto in un ospedale nazista tante giovinette quattordicenni o gravide o con la gonorrea – ed un parente di Klemperer vietò decisamente alla figlia di entrare in una di codeste organizzazioni.

Da secoli era attribuita agli ebrei una sessualità anormale e pericolosa pure per gli “ariani”, ed i nazisti approfittarono di questo pregiudizio per stimolare l’odio contro di loro; in ogni caso, secondo Dagmar Herzog, se negli anni '50 la Germania Federale divenne un paese abbastanza puritano, fu anche per reazione al nazismo – il tedesco maschio o femmina faceva della sua morigeratezza una sorta di dichiarazione di antifascismo.

Invece, nel 1946 il Reader's Digest aveva dovuto osservare che i soldati americani maschi che avevano liberato l'Europa, ad ovest del Reno dovevano tirar fuori il portafoglio prima di una parte del corpo, ad est ... potevano presentarsi a mani vuote - il nazismo aveva insegnato alle donne tedesche a soddisfare i loro appetiti, e specialmente con gli aitanti maschietti in divisa.

Se vogliamo trovare la differenza tra Max Marcuse (un sessuologo ebreo della Germania di Weimar che proclamò quello che molti non hanno ancora capito, ovvero che “scopo dell’attività sessuale è il piacere”, e sarebbe stato particolarmente vituperato dai nazisti perché ricordava a chi non voleva procreare che non esiste solo la vagina) ed Adolph Hitler, che diceva che se lui voleva che un soldato morisse senza condizioni, doveva permettergli di amare senza condizioni, possiamo dire che per Marcuse il piacere delle persone era la cosa importante, mentre per Hitler era capitale la generazione di ariani di prima qualità. Ambedue volevano rendere il sesso più facile e piacevole, ma per ben diversi fini.

Raffaele Ladu