Judith Butler e Martin Buber



Leggiamoci questa storiella chassidica riportata da Martin Buber (la traduzione che ho fatto del testo che si trova qui non è detto che coincida con l'edizione italiana dell'opera):
Quando il fondatore dell'ebraismo chassidico, il gran Rabbino Israel Shem Tov, vedeva che una sventura minacciava gli ebrei, era sua abitudine andare in un certo luogo della foresta per meditare. Lì avrebbe acceso un fuoco, detto una preghiera speciale, il miracolo si sarebbe compiuto e la sventura evitata.
In seguito, quando il suo discepolo, il celeberrimo Maggid di Mezritch, ebbe l'occasione di intercedere al cielo per lo stesso motivo, egli si sarebbe recato nella foresta ed avrebbe detto: "Signore dell'Universo, ascolta! Non so accendere il fuoco, ma sono ancora capace di dire la preghiera". Ed il miracolo si sarebbe ripetuto.
Ancora più tardi, il Rabbino Moshe-Leib di Sasov, per salvare ancora una volta il suo popolo, sarebbe andato nella foresta a dire: "Non so accendere il fuoco. Non so la preghiera, ma conosco il posto, e questo deve bastare". Bastò, ed il miracolo fu compiuto.
Infine toccò al Rabbino Israel di Rizhin sventare la sventura. Seduto nella sua poltrona, con la testa fra le mani, parlò a Dio: "Non so accendere il fuoco, non conosco la preghiera, e non posso nemmeno ritrovare il posto giusto nella foresta. Posso solo raccontare la storia, e questo deve bastare".
E bastò - perché Dio fece l'uomo perché amava le storie.
E leggiamoci ora questo brano del libro di Judith Butler "Gender Trouble = Scambi di genere", tratto da pagina 191 dell'edizione originale (la traduzione è mia e non è detto che coincida con l'edizione italiana):
In che sensi, allora, il genere è un atto? Come in altri drammi sociali rituali, l'azione del genere richiede un'esecuzione [performance] che è ripetuta. Questa ripetizione è allo stesso tempo un re-agire [reenactment] ed un ri-provare [reexperience] un insieme di significati già stabiliti socialmente; ed è la forma mondana e ritualizzata della loro legittimazione. Sebbene ci siano dei corpi individuali che agiscono questi significati diventando stilizzati in modi di genere, l'"azione" è un'azione pubblica. Ci sono dimensioni temporali e collettive in queste azioni, ed il loro carattere pubblico non è senza conseguenze; in  effetti, l'esecuzione è compiuta con lo scopo strategico di mantenere il genere nella sua struttura dicotomica [binary frame] - uno scopo che non si può attribuire ad un soggetto, ma, semmai, va inteso come fondatore e consolidatore del soggetto.
Le somiglianze tra i due brani non sono affatto casuali: Judith Butler è ebrea, molto nota anche in Israele, in quest'intervista cita esplicitamente Martin Buber, e leggendo il suo libro uno si fa l'idea che il genere per lei sia molto simile alla visione che di Dio ha l'ebraismo ricostruzionista.
Se per i ricostruzionisti Dio non è una persona, ma semplicemente la somma delle forze e dei processi naturali che consentono all'umanità di raggiungere l'autorealizzazione e compiere un progresso morale, per la Butler il genere non esiste indipendentemente da noi esseri umani; però noi ci comportiamo come se esso esistesse, e perciò lo rendiamo "reale" nelle nostre vite individuali e sociali.
E la cosa più importante di questo comportamento è continuare a citare la storia che dimostra il nostro avere un certo genere (riassunta nel nostro certificato di nascita, nella sentenza di rettificazione del sesso oppure [in Germania] in quella di attribuzione di un alias) - allo stesso modo in cui per i chassidim amati da Buber la cosa importante non era il fuoco, non era la preghiera, non era il luogo in cui recarsi, ma la storia da raccontare!
Sebbene strida con la credenza in un dio personale tipica delle altri correnti ebraiche, definire Dio allo stesso modo in cui la Butler descrive il genere non è del tutto incompatibile con l'ebraismo - esiste infatti un brano talmudico che così commenta Isaia 43:12: "Se voi siete miei testimoni, allora sarò il vostro Dio. Ma se non siete i miei testimoni, allora, per così dire, non sarò il vostro Dio", di cui è difficile dare un'interpretazione non-butleriana, ovvero diversa dal pensare che Dio esiste soltanto nella misura in cui noi ci comportiamo come se lui esistesse.
Credo che B16, alias il filosoficamente accorto Papa Joseph Ratzinger, si sia subito reso conto del potenziale esplosivo delle teorie di Judith Butler, non solo per la tradizionale dicotomia di genere, ma anche per il teismo alla base delle tre religioni abramitiche - e per questo le abbia condannate con parole di fuoco.
Infatti il bersaglio polemico principale della Butler è la concezione ingenua secondo cui ci sono entità che esistono prima ed indipendentemente dalla cultura, e che perciò la riflessione umana deve prendere come dati di fatto; e per chi crede in una religione abramitica, il tipico esempio di ente che esiste prima ed indipendentemente da noi e dal nostro pensiero è Dio.
Ma se noi studiamo almeno superficialmente la Qabbalah teosofico-teurgica (quella  che inizia con lo Zohar), noi scopriamo che per chi ci crede (ci sono ebrei che rifiutano la Qabbalah) Dio ha una struttura interna, che il male del mondo rende accessibile alla speculazione (teosofia) ed all'intervento umano (teurgia).
Quindi, per la Qabbalah Dio non è un semplice dato di fatto - l'attività umana può  modificarne le caratteristiche; e l'intervento più semplice a portata del pio ebreo è premettere alla recitazione della preghiera del mattino la formula: "Per unificare il Santo, Benedetto Egli Sia, e la Sua Presenza; per unificare con timore ed amore il Suo Nome YH con WH [in modo che riuniti compongano il tetragramma YHWH], in perfetta unità ed in nome di tutto Israele".
Chi si è letto le considerazioni di Judith Butler sul sesso, secondo cui esso non è un dato naturale che si impone all'osservazione, ma una categoria costruita dal  pensiero medico in cui raggruppare diversi organi che [lo notano di più le donne degli uomini] operano spesso separatamente, si fa venire il sospetto che ella non abbia solo un grosso debito con Michel Foucault, ma anche una ipoteca impagabile con la tendenza ebraica, vecchia di quindici secoli almeno, a fare di ogni ente (compreso l'Eterno) l'oggetto non solo della speculazione ma anche dell'attività umana.
C'è anche un'altra affinità tra il genere secondo Butler ed il ruolo che doveva svolgere la divinità nella storiella citata da Buber: la dicotomia di genere avrebbe lo scopo, secondo gli eterosessisti di ogni ordine e grado, di garantire l'ordine del mondo e l'esistenza di un soggetto capace di articolare un discorso; ma qual era la più grande sventura che temevano i rabbini citati da Buber?
Normalmente pensiamo che la sventura peggiore per gli ebrei sia lo sterminio genocida di tipo nazista; ma i rabbini di Buber vissero prima che fosse concepita la soluzione finale (Israel Baal Shem Tov nacque nel 1699 ed Israel di Rizhin morì nel 1850), ed i pur gravi massacri che avvenivano in occasione dei pogrom non avevano l'intento di far scomparire il popolo ebraico in quel modo.
La sventura peggiore si chiama assimilazione, ovvero il fatto che gli ebrei smettano di pensare ed agire in modo diverso dai gentili [non-ebrei], e dimentichino perciò di essere ebrei; nel mondo contemporaneo, in cui il quarto esercito del mondo [quello israeliano] rende una ripetizione della Shoah assai improbabile, l'assimilazione è tornata ad essere la più grande paura degli ebrei religiosi.
Per loro, un mondo in cui gli ebrei sono assimilati, divenendo indistinguibili dai  gentili, non è meno disordinato di un mondo in cui i generi non sono più due e nettamente distinti, e penso che il rito di questi rabbini dovesse appunto impedire che nel mondo si realizzasse questo grave disordine.

Tra parentesi, non è solo il dio abramitico che rischia di essere scomodamente paragonato al genere secondo Butler: questo rischio lo corrono anche i popoli della terra, e quello ebraico in particolare.

Secondo il diritto internazionale, popolo è un gruppo di persone unite da un comune destino. Come si dimostra questa comunanza di destini? Semplicemente, occorre saperla raccontare.
Non sto distinguendo ora le storie "buone" da quelle "cattive", ma semplicemente constatando la situazione; se vi consola, vi dico però che gli statuti attuali della Regione Veneto (art. 2) e della Regione Sardegna (art. 15) usano rispettivamente le espressioni "popolo veneto" e "popolo sardo" senza che il governo centrale li abbia mai impugnati - ergo i veneti ed i sardi sono stati capaci di convincere il mondo intero di essere ciascuno un popolo.
Non basta raccontare questa storia una volta sola, perché, come disse Ernest Renan, far parte di una nazione è una scelta che si rinnova ogni giorno (allo stesso modo in cui l'essere di uno dei due generi previsti va dimostrato tutti i giorni); questo vale per tutti i popoli della terra, anche quello ebraico, ovviamente.
Ma esso ha agli occhi di alcuni una particolarità: la divina elezione, che consiste nella promessa di non essere mai annientato, e nel compito di elevare moralmente l'umanità.
Comunque sia descritto il meccanismo di quest'elezione, e qualunque siano le conseguenze teologiche che se ne traggono, quest'elezione attribuisce (agli occhi di chi ci crede, ovviamente) al popolo ebraico un'essenza particolare diversa da quella del resto dell'umanità.
La Butler si è trovata quindi nella sua famiglia, nella sua sinagoga, e nella sua scuola ebraica già pronto lo schema che divide l'umanità in due categorie esclusive: ebrei e gentili per la religione ebraica, maschi e non maschi per il maschilismo criticato da Luce Irigaray, soggetti universali [i maschi etero] e non-soggetti [il resto] per l'eterosessismo attaccato da Monique Wittig.
Una dicotomia finisce sempre con lo stabilire una gerarchia tra le due parti, anche quando (come nello Yang e nello Yin cinese) le due parti possono facilmente trasformarsi l'una nell'altra; e, come ho detto in altra occasione, quando si crea un copione di diseguaglianza ed oppressione, la scelta di chi viene scritturato per le singole parti è arbitraria.
Per questo l'antisemitismo, l'antiislamismo, ed altre forme di discriminazione ed intolleranza sono inaccettabili anche a livello politico: chi le tollera non può mai essere sicuro non essere chiamato a recitare la parte perdente del copione!
In entrambi i casi (esclusivismo ed eterosessismo) i rimedi sembrano questi (mi ispiro alla Butler, ma il paragonare i generi con i popoli, cosa utile perché i popoli ci danno un modello molto ben collaudato di performatività applicata alla politica, è opera mia):
1) rinunziare all'essenzialismo: si è ebrei o gentili, maschi o femmine perché si racconta e si recita a sé ed agli altri una storia che giustifica l'ascrizione ad una categoria, non perché si possegga o si sia privi di un attributo di origine esterna alla cultura ed alla società umana (la divina elezione od il fallo);
2) rinunziare alle dicotomie: esistono migliaia di popoli sulla terra, e l'umanità continua a proliferare; perché non dovrebbe accadere la stessa cosa se i generi si moltiplicassero?
3) accettare le ibridazioni: come una persona può essere italiana ed americana, italiana ed israeliana, veneta e sarda allo stesso tempo, senza per questo meritare accuse di slealtà, allo stesso modo una persona può adottare per se stessa elementi pertinenti a diversi generi senza che questo la renda socialmente meno valida;
4) adottare l'ironia (la Butler preferisce parlare di "risata" [laughter]), che impedisce di prendere troppo sul serio il ruolo di genere che si sta recitando, permette di esplorare scelte alternative, e pone le basi per sovvertire la fissità dei generi.
Certo, come non tutti riescono a far ridere recitando in un teatro israeliano, nella parte di Tevye il lattivendolo: "Ho capito, siamo il Tuo popolo eletto! Ma, visto quello che ci è costata quest'elezione, perché non eleggi un altro popolo una volta ogni tanto?", non tutti riescono a fare le drag queen in modo davvero divertente.

Però, bisogna provarci.


Raffaele Ladu