R/esistenze lesbiche nell'Europa nazifascista

P. Guazzo, I. Rieder, V. Scuderi (a cura di), R/esistenze lesbiche nell'Europa nazifascista, Verona, Ombre Corte, 2010, 190 pp.

 

Gli omosessuali, uomini e donne, figurano inequivocabilmente tra le vittime dimenticate della ferocia nazifascista, quelle che, al termine della Seconda Guerra mondiale, in virtù del loro status di criminali comuni che avevano in qualche modo "meritato" la punizione inflitta, non si videro nemmeno riconosciuto il diritto di reclamare un risarcimento per le sofferenze subite. Ma se i gay-non-ancora-gay, ritenuti più "pericolosi" dal punto di vista del mantenimento dell'ordine pubblico, sono stati oggetto di una persecuzione sistematica, fondata talvolta, come in Germania con il tristemente famoso Paragrafo 175, su leggi esistenti già prima dell'ascesa dei grandi regimi totalitari e all'occorrenza inasprite, per le lesbiche, per via della loro sessualità "poco credibile" (p. 84) e della loro condizione di donne che le relegava, ipso facto, ad un ruolo subalterno rispetto agli uomini, non si è generalmente ritenuto necessario intervenire penalmente per reprimere tali atti "contro natura", fatta eccezione per l'Austria con il Paragrafo 129 I b (I. Rieder, pp. 37-62). Il risultato è che, mentre per gli omosessuali maschi la persecuzione ha lasciato tracce documentarie di un certo rilievo, sul versante femminile la situazione risulta molto meno chiara : basti pensare alla classificazione operata nei campi di concentramento nazisti, dove ai gay come gruppo omogeneo viene assegnato, univocamente, il famigerato "triangolo rosa", mentre le lesbiche, in quanto "non-gruppo" (p. 87) vanno ricercate, volta a volta, tra le "asociali" (triangolo nero), tra le "politiche" (triangolo rosso) ma anche tra le ebree (stella gialla).

R/esistenze lesbiche nell'Europa nazifascista cerca quindi, in una prospettiva transnazionale che tocca in particolare la Germania, l'Austria, la Francia, l'Italia e la Spagna, di ricostruire le dinamiche della repressione del lesbismo dando voce, in egual misura, ai percorsi esistenziali di intellettuali e personaggi in vista, come Mopsa Sternheim (alla quale è dedicato un intero saggio di I. Rieder, pp. 152-166), e alle storie private di donne comuni, coinvolte in relazioni lesbiche talvolta finite agli onori della cronaca per il loro esito tragico (si pensi al caso di Vally M. e Ady H., diffusamente raccontato alle pp. 53-61) in altri casi invece, paradossalmente, protette dallo scoppio della guerra e dalla concomitante partenza degli uomini al fronte (pp. 35-36). Resistenti in senso stretto, alcune, e in senso lato, tutte : è quanto vuole suggerire il titolo di questa raccolta di saggi, dove la sbarra di R/esistenze indica che, in tempi di repressione, l'esistenza stessa rappresenta una forma di resistenza alla violenza perpetrata dall'esterno.

Come trovare spazi di sopravvivenza sotto regimi che negano all'individuo ogni libertà ? Una possibilità è costituita dall'alleanza tra lesbiche e omosessuali maschi, e non solo nella forma dei matrimoni di convenienza : nella Germania nazista che vietava persino di danzare con una persona del proprio sesso, esistevano ancora ristoranti come il Bart, residuo della vivace subcultura gay della Berlino di Weimar, dove il divieto veniva regolarmente infranto, salvo, in caso di pericolo e ad un segnale convenuto, sciogliere le fila e "ballare etero" (p. 34). Restavano possibili, entro certi limiti, compromessi con i vari regimi, ma per molte donne la strada dell'esilio appariva pressoché inevitabile, a maggior ragione quando, all'impossibilità di esprimersi in quanto lesbiche, si aggiungeva quella di realizzarsi in qualità di scrittrici : è il caso di tre intellettuali e incarnazioni del modello della Neue Frau, come Ruth Landshoff-Yorck, Christa Winsloe o Grete von Urbanitzky (V. Scuderi, pp. 63-79), per le quali, dopo il 1939, l'esilio diventa una condizione di vita irreversibile e si pone con urgenza il problema di tentare di esistere come autrici anche in una lingua straniera – il che avviene non senza difficoltà, e non sempre con i risultati sperati. Illusioni di libertà venivano inoltre prospettate alle lesbiche internate nei campi di concentramento nazisti : ritenute, rispetto agli omosessuali maschi, facilmente "curabili" e "recuperabili" ai fini della propagazione della razza germanica, venivano talvolta fatte l'oggetto di offerte di liberazione in cambio di un periodo di "rieducazione" di sei mesi da trascorrere in un bordello. L'esito di tale perversa offerta era scontato : consumate dalle malattie, queste donne, lungi dal raggiungere l'obiettivo, andavano incontro ad una morte certa (p. 94).

Almeno due dei saggi contenuti in R/esistenze lesbiche, quello di M.-J. Bonnet (pp. 80-103), che trae spunto da una pièce teatrale, Le Verfügbar aux Enfers, scritta nel campo di Ravensbrück da Germaine Tillion e dalle sue compagne nell'autunno del 1944, e quello di R. Osborne (pp. 127-151), si occupano dell'immagine del lesbismo nei campi di concentramento, luoghi per eccellenza di una disumanizzazione orchestrata dai gerarchi. Un'immagine non certo positiva, nemmeno tra le internate : particolarmente severa era la riprovazione, anche nelle carceri spagnole sotto il franchismo, delle "prigioniere politiche" militanti nel Partito comunista, desiderose di distinguersi dalle prigioniere comuni e propense a vedere in certi comportamenti "devianti" una forma di debolezza nei confronti dell'oppressione, alla quale andava invece opposta, secondo queste "monache rosse" (p. 145), la massima fermezza e integrità morale. Sta di fatto che, seppur mal vista, l'omosessualità, e il lesbismo nel caso specifico, non ha mai cessato di esistere né nelle carceri né nei lager, anzi, la sua ombra appare persino nei resoconti provenienti, per l'Italia, da istituzioni propriamente fasciste, quale fu l'Accademia di educazione fisica femminile di Orvieto (P. Guazzo, pp. 113-115).

Uno dei meriti di questo volume è senz'altro questo : non solo aiutare la memoria storica degli omosessuali (e non solo) di oggi gettando luce su categorie sociali ingiustamente ignorate dalla storiografia tradizionale, ma anche richiamare l'attenzione su documenti poco noti, quale che sia la loro natura (atti ufficiali, testi letterari, testimonianze o altro), che ci permettono di capire entro quali spazi, e con quali rischi, l'affettività omosessuale continuò, in quelle epoche buie, ad esprimersi, nonostante tutto.

 

Daniele