Pesante critica di Erica Fischer

Ho letto il libro
  • Aimee & Jaguar : romanzo / Erica Fisher ; traduzione di Louisette Palici di Suni. - Milano : TEA, 2007. - 327 p. : ill. ; 20 cm. - (TEAdue ; 1426). - ISBN 9788850211364 ; Prezzo 8,40 EUR
ed ho trovato molto bella la storia d'amore tra le due protagoniste - oltretutto, è una storia vera; mi ha un po' indispettito però l'atteggiamento di Erica Fischer, che pure ha voluto dar voce alla storia, verso Elisabeth Wunst, alias Aimée, l'unica superstite, in quanto di Jaguar, alias Felice Schwagerheim, arrestata dai nazisti perché ebrea, si sono perse le tracce nel campo di Bergen Belsen.
Ora, anch'io ho amato una donna ebrea, e mi sento provocato a prendere le parti di Aimée. Erica Fischer inizia il romanzo rimproverando Aimée di non aver preso le distanze dal nazismo prima di aver conosciuto Jaguar, e di avere sposato un nazista convinto, sebbene i suoi genitori fossero antinazisti ed uno dei suoi fratelli, concepito dalla madre nel corso di un adulterio, avesse un padre ebreo.
Al rimprovero riconosco qualche ragione (anche se la coerenza non è una cosa che si può chiedere ad una donna che dopo un marito, quattro figli, ed una serie di amanti maschi, trova il grande amore della sua vita in una donna - ed è solo allora che si rende conto di essere incompatibile con il nazismo), ma non a quello che si trova alla fine del romanzo, in cui Erica Fischer ammette di essere gelosa della propria identità ebraica e di non apprezzare il comportamento "giudaizzante" di Aimée.
Ella infatti parlava usando di tanto in tanto espressioni ebraiche, aveva frequentato una comunità ebraica e mandò dopo la guerra i propri figli ad una scuola ebraica; ella tutti i venerdì sera, al tramonto, accende(va) le candele del Sabato e, finché poteva permetterselo, teneva accesi due frigoriferi perché uno era dedicato alla carne e l'altro ai latticini.
Questo tipo di gelosia somiglia all'irritazione del genitore (o della genitrice) che quando vede il figlio giocare con le bambole, lo rimprovera così: "Se non sei una femmina, perché fai la femminuccia?", ed ha la stessa radice: l'essenzialismo.
L'essenzialismo fa credere che ogni persona o gruppo di persone abbia un'essenza immutabile, e che per essere un valido membro della società debba comportarsi secondo quest'essenza; la religione ebraica ortodossa incoraggia questo modo di pensare, in quanto ritiene il popolo ebraico un popolo speciale (goy qadosh = nazione sacra; 'am segullà = popolo particolarmente qualificato), e prescrive agli ebrei di comportarsi in modo diverso dai non-ebrei.
Da questo punto di vista, il comportamento di Aimée è assolutamente inopportuno agli occhi di Erica Fischer, in quanto costei non riconosce una "neshamà yehudit = anima ebraica" in Aimée, e perciò il suo comportamento giudaizzante crea una pericolosa confusione in sé e negli altri.
L'essenzialismo è una rovina quando diventa teoria politica, e vela anche gli occhi di Erica Fischer, che non si rende conto di quello che una sua correligionaria, la psicoterapeuta israeliana Dina Wardi, avrebbe capito subito: Aimée si sta comportando esattamente come tanti ebrei che hanno perso i loro cari nella Shoà e non hanno nemmeno una tomba su cui piangere!
Il libro è stato scritto nel 1993, e le ultime notizie di Jaguar risalgono alla fine del 1944 - per quasi cinquant'anni Aimée ha conservato tutto quello che era possibile della donna che amava (fotografie, appunti, cartoline, le sue lettere, il suo anello, i suoi documenti, ecc.), ed i suoi tentativi di farsi restituire quello che Jaguar aveva affidato ad altri sono tanto insistenti che la depositaria la insulta pensando che Aimée voglia raccogliere quella roba per avidità - cioè per venderla e guadagnarci sopra!
In realtà, Aimée ha chiuso quella roba in due borse, ed ha scritto un biglietto con il quale chiede che, qualora le succeda qualcosa, le due borse vengano recapitate a suo figlio Eberhard che vive in Israle: il suo scopo non era vendere ma conservare e tramandare.
Come molti ebrei che non hanno nemmeno una tomba su cui piangere la morte dei loro cari, Aimée non ha potuto elaborare il lutto per la morte di Jaguar, e tutti i suoi sforzi sono volti a conservare Jaguar dentro di sé, o meglio, a ricostruirla.
Infatti, nel libro non c'è scritto nulla che faccia pensare che Jaguar accendesse le candele ogni venerdì sera, o che osservasse la "kashrut" (ovvero, mangiasse solo cibi leciti), o la "tohorat ha-mishpachà" (le regole sui rapporti sessuali nella coppia), eppure Aimée, poiché la qualità più cospicua di Jaguar (l'hanno catturata i nazisti per questo, e per evitarlo le aveva offerto rifugio) era l'ebraicità, si atteggia ad ebrea osservante per far rivivere in sé l'amata.
Dina Wardi, nel suo libro "Memorial Candles : Children of the Holocaust" (scritto, guarda caso, nel 1993, e pubblicato in Italia da Bompiani con il titolo "Candele della memoria", ma da tempo immemorabile esaurito) osservava che uno dei modi di far rivivere i propri cari divorati dalla Shoà era attraverso i propri figli.
Il modo più semplice era attraverso l'imposizione del nome: nel libro di Dina Wardi era citato un paziente con sei prenomi - uno per ogni parente morto nella Shoà; poiché i quattro figli di Aimée erano già nati, e lei non ne voleva certo altri, costoro si assumono il ruolo di "nerot ha-ziqqaron = candele della memoria" in un modo più sofisticato.
Aimée li manda alla scuola ebraica, e quando ci sono le feste ebraiche li fa stare a casa dalla scuola pubblica - e gli insegnanti accettano la giustificazione senza far domande; il secondogenito, Eberhard, si innamora tanto della parte che gli viene assegnata che lui diventa un grande sionista e va a vivere in Israele - ma non si dice se si è convertito formalmente all'ebraismo.
Sarebbero state molto interessanti delle domande sulla vita sessuale di Eberhard, per vedere se la pressione a "reincarnare" Jaguar lo ha influenzato anche da quel punto di vista - ma per farlo sarebbe stato necessario rendersi conto che il dolore della non-ebrea Aimée e le sue conseguenze su figli e nipoti non sono meno importanti del dolore di uno degli ebrei superstiti alla Shoà, e delle sue conseguenze transgenerazionali, che fanno parlare in Israele di superstiti di seconda e terza generazione (ormai si può parlare pure della quarta).
Raffaele Ladu