Il lago dei sogni / Salvatore Niffoi

Ho letto il libro dopo aver udito un'intervista di Loredana Lipperini al suo autore, trasmessa da Fahrenheit il 25.03.2011.

E' un romanzo gradevole, anche se lo stesso Niffoi si rende conto di non essere autore di capolavori, almeno a giudicare da questo brano autoironico di p. 81, in cui il bibliotecario e becchino Ossoriu Concale (mi sono chiesto se questa doppia professione non fosse un'allusione alla Ghenizà del Cairo, di cui ho parlato in altra occasione) spiega alla protagonista del romanzo:
"Lascia perdere i trattati. Per capire bene il mondo e i cristiani, leggi solo i romanzi e, finché ti è possibile, solo classici. Lascia cantare i narratori moderni, che quelli sono ciarlatani che sputano il masticato, bamboline imputtanite che credono di parlare del mondo guardandosi la braghetta. Quelli li puoi leggere da vecchia, per confrontarli con i grandi e farti quattro risate. Prima, cara Itria, leggi tutti i classici francesi, russi, spagnoli e sudamericani. Dopo, vedrai, tutto il resto ti sembrerà acqua sporca, piscio d'asino che annaffia il deserto".


Nel romanzo ho notato però due pecche, di cui la prima mi consente di recensirlo su "Agorà": il malvagio per eccellenza del romanzo, Don Severino Nodosu, ha intrapreso la carriera ecclesesiastica perché segnato dall'umiliazione di avere un pene piccolo e non funzionale - tant'è vero che lo chiamano "mincitristu = minchia triste".


Ora, la descrizione dei suoi genitali mi fa pensare ad un caso di intersessualità, e forse Niffoi sarebbe riuscito a dare maggiore spessore al personaggio se avesse usato questa chiave di lettura, anziché quella del "complesso d'inferiorità"; ma questo avrebbe significato chiedere di più anche agli altri personaggi, che anziché perdersi nell'eterosessismo avrebbero dovuto capire che la dicotomia dei sessi è una finzione che va bene solo per il calcolo del codice fiscale.


Inoltre, credo che una menomazione genitale (chiamiamola così) sia un impedimento per il sacramento dell'ordine - quando Ossoriu Concale dice che un sacerdote deve avere "sos cozzones a postu = i coglioni a posto" non dice una volgarità, ma parafrasa Deuteronomio 23.1:


"L'eunuco, a cui sono stati infranti o mutilati i genitali, non entrerà nell'assemblea del Signore" [La Nuova Riveduta]
E San Tommaso d'Aquino, basandosi su un altro passo biblico (Levitico 21.17), concorda (Somma Teologica, Questione 39, Articolo 6): una menomazione che privi una persona del proprio decoro è un'impedimento; l'esempio del Dottor Angelico riguarda il naso, ma il passo biblico cita anche il sesso, e con ogni evidenza a Melagravida, il paese di una fiabesca Sardegna in cui è ambientato il romanzo, anche una menomazione genitale è indecorosa.


La seconda pecca mi ha fatto arrabbiare molto - è quest'osservazione del narratore a p. 136:
"Fernandina ... aveva ucciso il marito due volte, la prima quando gli teneva la braghetta chiusa negandogli l'amore che meritava ..."


Credo che questo vada oltre il maschilismo becero: l'amore non si merita, ma è un dono gratuito - se non si capisce questo, il catechismo è stato studiato invano.


Di una persona che sempre si nega al(la) su* partner si può pensare tutto il male che si vuole, ma non si è in credito verso di lei di nulla. Nemmeno il/la prostitut* è tenut* a soddisfare il/la cliente che l* ha pagat*.


Raffaele Ladu

“Giovani omosessuali in terra d'islam” al Milk Center

Si è svolta la scorsa domenica 20 marzo presso il Milk Center di Verona, nell'ambito della rassegna culturale "Noi e la religione" di febbraio-marzo 2011, una serata di dibattito dal titolo "Giovani omosessuali in terra d'islam", che ha visto l'intervento di due esperti conoscitori della realtà mediorientale: Paolo Ferrarini, appassionato di lingue e culture straniere, "amante dell'avventura" (come ama lui stesso descriversi) nonché autore del cd Paradigmi gnoseologici, e Luigi Turri, archeologo dell'Università di Verona che, dopo aver trascorso parte della propria adolescenza in Arabia Saudita, continua a frequentare assiduamente il Medio-Oriente, in particolare la Siria, per motivi di lavoro e di ricerca.

Nel tentativo di spiegare la concezione dell'omosessualità in terra islamica, il pensiero corre inevitabilmente al Corano, che, come la Bibbia, riferisce della storia di Lot e della distruzione di Sodoma: a tale episodio sono anzi dedicati numerosi passi in luoghi testuali sparsi, puntualmente segnalati da Luigi Turri e caratterizzati, volta per volta, da aggiunte o omissioni di dettagli, e soprattutto la colpa dei "sodomiti" è qui chiaramente identificata con la sodomia in senso stretto, mentre nel libro della Genesi, come ci ha spiegato il pastore Jonathan Terino della Chiesa valdese di Verona, nostro ospite a febbraio, si lascia intendere che la colpa sia legata piuttosto ad una violazione del dovere di ospitalità. Nel Corano, in ogni caso, non è prescritta una punizione specifica per chi si renda colpevole di atti "contro natura". Laddove vengono applicate, precisa ancora Luigi, le pene vengono quindi dedotte perlopiù per analogia: è lecito ricorrere alla lapidazione in quanto la stessa Sodoma è stata distrutta da una pioggia di pietre. Bisogna quindi cercare altrove le radici di quell'omofobia comunemente – e a torto - indicata come costitutiva della fede musulmana. Più che al Corano, occorre rivolgersi agli hadith, detti memorabili del Profeta, variamente interpretati e sulla cui autenticità esistono opinioni discordanti, e più in generale, secondo Paolo Ferrarini, ad un tratto comune ai tre monoteismi, passato dall'ebraismo nel cristianesimo e nell'Islam, vale a dire l'ossessione per la pratica della penetrazione anale, vero oggetto della riprovazione.

A ben vedere, l'amore fra uomini in sé e per sé, quando vissuto "platonicamente" nella castità, è in realtà abbondantemente presente nella letteratura araba e nei secoli non sembra aver mai costituito un problema, come dimostrano alcuni esempi e testimonianze segnalati dallo stesso Luigi. I poeti, Abu Nawas in primis, cantano regolarmente della passione per dei giovani ragazzi, mentre uno storico egiziano del XV secolo come Al Maqrizi giungeva ad affermare che "l'omosessualità è così stratificata che le donne devono vestirsi da uomo per ricevere uno sguardo dai loro pretendenti"! Tale situazione è del resto confermata dai resoconti di molti viaggiatori europei entrati in contatto, nel corso dei secoli, con questo Oriente dedito ad ogni sorta di vizi, compresi quelli "contro natura".

Paradossalmente, sono state proprio le potenze occidentali, un tempo decisamente più intolleranti nei confronti del comportamento omosessuale di quanto lo fosse l'Oriente di Maometto, ad introdurre una legislazione anti-sodomia in questi Paesi, che di per sé non avrebbero avvertito l'esigenza di risolvere un non-problema. Tali leggi, successivamente abrogate in Europa, come sappiamo, sono tuttavia rimaste in vigore, come retaggio del periodo coloniale, in numerosi Paesi africani e mediorientali, le due aree ad oggi più critiche in materia di persecuzione delle minoranze sessuali. I legami amichevoli o, al contrario, conflittuali con l'Occidente si ripercuotono sull'effettiva applicazione o meno di provvedimenti punitivi nei confronti dei trasgressori della morale sessuale: mentre l'Iran sembra farsi ben pochi scrupoli ad impiccare i colpevoli di sodomia (per quanto sia arduo, in questo caso, entrare in possesso di informazioni affidabili), in un Paese come l'Arabia Saudita, legato per varie ragioni alle potenze occidentali, il "reato" di sodomia non porta quasi mai, di per sé e in maniera automatica, ad una condanna a morte, ma viene solitamente abbinato ad accuse di altro genere (per esempio terrorismo), in modo tale da additare, agli occhi della popolazione locale, il comportamento omosessuale come criminoso evitando nel contempo di suscitare la disapprovazione della comunità internazionale.

Proprio in Arabia Saudita, e più in generale nei ricchi Paesi del Golfo, come ci ha spiegato Paolo Ferrarini, sembra vigere una doppia morale, una sorta di ipocrisia "istituzionalizzata" per cui qualunque comportamento è virtualmente consentito entro le quattro mura, e comunque nell'ambito di quella sfera privata che per la cultura islamica è inviolabile, mentre in pubblico il buon musulmano è tenuto a richiamare all'ordine chiunque trasgredisca non solo, evidentemente, le norme attenenti alla sessualità ma anche, per esempio, quelle relative al consumo di alcolici. È quindi tutt'altro che raro, soprattutto per chi dispone di notevoli risorse economiche, intrattenersi, anche sessualmente, con giovani ragazzi a pagamento.

Un conto è però praticare sesso omosessuale, un altro riconoscersi apertamente in un'identità cosiddetta "gay" - ammesso che questo sia possibile in realtà dove mancano modelli in cui identificarsi. Come ci ha raccontato lo stesso Paolo, viaggiare nei paesi mediorientali, dove l'emancipazione della donna non è ancora avvenuta, e ancor meno l'emancipazione dell'omosessuale, è come viaggiare, più ancora che nello spazio, nel tempo, e ritrovarsi a contatto con una realtà non dissimile a quella esistente in Europa ancora alcuni decenni fa, prima che si sviluppasse il cosiddetto movimento gay. Dichiararsi omosessuali, in Paesi dove resiste la mentalità del clan, equivale ad una perdita dell'onore con gravi conseguenze dal punto di vista sociale non solo per il soggetto direttamente coinvolto ma anche per tutta la sua famiglia: in Egitto, per esempio, dove una sorella non si può più sposare se del fratello si conosce l'omosessualità.

Un capitolo a parte andrebbe riservato all'omosessualità femminile, che viene perlopiù ignorata a livello legislativo, come del resto avveniva in Europa e nella stessa Germania nazista, dove il Paragrafo 175 si applicava ai soli omosessuali di sesso maschile. Le ragioni principali della mancata punizione (quantomeno in forma sistematica e regolamentata) del lesbismo possono, in entrambi i casi, essere ridotte a due: da un lato infatti, la lesbica, in quanto donna, si trova per questo stesso motivo in una posizione di inferiorità ed è soggetta al controllo da parte degli uomini, anche senza l'ausilio di leggi specifiche, dall'altro, la sua sessualità, non comportando la penetrazione, non viene nemmeno riconosciuta come vera e propria pratica sessuale. Per quanto riguarda nello specifico il mondo arabo musulmano, Luigi Turri ci ha fatto notare che, paradossalmente, il lesbismo è in certi casi e in giovane età addirittura incoraggiato, in quanto delle frequentazioni esclusivamente femminili garantiscono che una ragazza arriverà vergine al matrimonio – fermo restando che, per l'appunto, al dovere sociale del matrimonio e della procreazione non è possibile in alcun modo sottrarsi.

Il rapporto (spesso conflittuale) fra omosessualità e islam riguarda tuttavia anche l'Europa. Se infatti, da un lato, si sta facendo strada un movimento di persone che cerca di conciliare le proprie due identità – religiosa e sessuale – dall'altro sembra in crescita il fenomeno di omosessuali che, informati di quanto avviene in Paesi come l'Iran, stanno sviluppando sentimenti di islamofobia. Il caso dell'Olanda è in questo senso esemplare, e recentemente anche in Francia la stessa Marine Le Pen, figlia di Jean-Marie, storico leader del FN (Front National), partito xenofobo di estrema destra, sta iniziando a lanciare segnali all'elettorato omosessuale in funzione anti-islamica.

Su quest'ultimo argomento si è quindi chiusa la serata di dibattito con Luigi Turri e Paolo Ferrarini, il quale ci ha però proposto in conclusione, attraverso la visione di due videoclip, anche un assaggio della sua attività di cantante e musicista, su cui ha senz'altro influito l'esperienza dell'omosessualità (uno dei due brani era dedicato al ricordo del momento del coming out) ma che si è anche nutrita, e tuttora si nutre, dei numerosi viaggi, compresi quelli in queste terre mediorientali tanto ostili eppure, al tempo stesso, tanto affascinanti.


Daniele Speziari

Pesante critica di Erica Fischer

Ho letto il libro
  • Aimee & Jaguar : romanzo / Erica Fisher ; traduzione di Louisette Palici di Suni. - Milano : TEA, 2007. - 327 p. : ill. ; 20 cm. - (TEAdue ; 1426). - ISBN 9788850211364 ; Prezzo 8,40 EUR
ed ho trovato molto bella la storia d'amore tra le due protagoniste - oltretutto, è una storia vera; mi ha un po' indispettito però l'atteggiamento di Erica Fischer, che pure ha voluto dar voce alla storia, verso Elisabeth Wunst, alias Aimée, l'unica superstite, in quanto di Jaguar, alias Felice Schwagerheim, arrestata dai nazisti perché ebrea, si sono perse le tracce nel campo di Bergen Belsen.
Ora, anch'io ho amato una donna ebrea, e mi sento provocato a prendere le parti di Aimée. Erica Fischer inizia il romanzo rimproverando Aimée di non aver preso le distanze dal nazismo prima di aver conosciuto Jaguar, e di avere sposato un nazista convinto, sebbene i suoi genitori fossero antinazisti ed uno dei suoi fratelli, concepito dalla madre nel corso di un adulterio, avesse un padre ebreo.
Al rimprovero riconosco qualche ragione (anche se la coerenza non è una cosa che si può chiedere ad una donna che dopo un marito, quattro figli, ed una serie di amanti maschi, trova il grande amore della sua vita in una donna - ed è solo allora che si rende conto di essere incompatibile con il nazismo), ma non a quello che si trova alla fine del romanzo, in cui Erica Fischer ammette di essere gelosa della propria identità ebraica e di non apprezzare il comportamento "giudaizzante" di Aimée.
Ella infatti parlava usando di tanto in tanto espressioni ebraiche, aveva frequentato una comunità ebraica e mandò dopo la guerra i propri figli ad una scuola ebraica; ella tutti i venerdì sera, al tramonto, accende(va) le candele del Sabato e, finché poteva permetterselo, teneva accesi due frigoriferi perché uno era dedicato alla carne e l'altro ai latticini.
Questo tipo di gelosia somiglia all'irritazione del genitore (o della genitrice) che quando vede il figlio giocare con le bambole, lo rimprovera così: "Se non sei una femmina, perché fai la femminuccia?", ed ha la stessa radice: l'essenzialismo.
L'essenzialismo fa credere che ogni persona o gruppo di persone abbia un'essenza immutabile, e che per essere un valido membro della società debba comportarsi secondo quest'essenza; la religione ebraica ortodossa incoraggia questo modo di pensare, in quanto ritiene il popolo ebraico un popolo speciale (goy qadosh = nazione sacra; 'am segullà = popolo particolarmente qualificato), e prescrive agli ebrei di comportarsi in modo diverso dai non-ebrei.
Da questo punto di vista, il comportamento di Aimée è assolutamente inopportuno agli occhi di Erica Fischer, in quanto costei non riconosce una "neshamà yehudit = anima ebraica" in Aimée, e perciò il suo comportamento giudaizzante crea una pericolosa confusione in sé e negli altri.
L'essenzialismo è una rovina quando diventa teoria politica, e vela anche gli occhi di Erica Fischer, che non si rende conto di quello che una sua correligionaria, la psicoterapeuta israeliana Dina Wardi, avrebbe capito subito: Aimée si sta comportando esattamente come tanti ebrei che hanno perso i loro cari nella Shoà e non hanno nemmeno una tomba su cui piangere!
Il libro è stato scritto nel 1993, e le ultime notizie di Jaguar risalgono alla fine del 1944 - per quasi cinquant'anni Aimée ha conservato tutto quello che era possibile della donna che amava (fotografie, appunti, cartoline, le sue lettere, il suo anello, i suoi documenti, ecc.), ed i suoi tentativi di farsi restituire quello che Jaguar aveva affidato ad altri sono tanto insistenti che la depositaria la insulta pensando che Aimée voglia raccogliere quella roba per avidità - cioè per venderla e guadagnarci sopra!
In realtà, Aimée ha chiuso quella roba in due borse, ed ha scritto un biglietto con il quale chiede che, qualora le succeda qualcosa, le due borse vengano recapitate a suo figlio Eberhard che vive in Israle: il suo scopo non era vendere ma conservare e tramandare.
Come molti ebrei che non hanno nemmeno una tomba su cui piangere la morte dei loro cari, Aimée non ha potuto elaborare il lutto per la morte di Jaguar, e tutti i suoi sforzi sono volti a conservare Jaguar dentro di sé, o meglio, a ricostruirla.
Infatti, nel libro non c'è scritto nulla che faccia pensare che Jaguar accendesse le candele ogni venerdì sera, o che osservasse la "kashrut" (ovvero, mangiasse solo cibi leciti), o la "tohorat ha-mishpachà" (le regole sui rapporti sessuali nella coppia), eppure Aimée, poiché la qualità più cospicua di Jaguar (l'hanno catturata i nazisti per questo, e per evitarlo le aveva offerto rifugio) era l'ebraicità, si atteggia ad ebrea osservante per far rivivere in sé l'amata.
Dina Wardi, nel suo libro "Memorial Candles : Children of the Holocaust" (scritto, guarda caso, nel 1993, e pubblicato in Italia da Bompiani con il titolo "Candele della memoria", ma da tempo immemorabile esaurito) osservava che uno dei modi di far rivivere i propri cari divorati dalla Shoà era attraverso i propri figli.
Il modo più semplice era attraverso l'imposizione del nome: nel libro di Dina Wardi era citato un paziente con sei prenomi - uno per ogni parente morto nella Shoà; poiché i quattro figli di Aimée erano già nati, e lei non ne voleva certo altri, costoro si assumono il ruolo di "nerot ha-ziqqaron = candele della memoria" in un modo più sofisticato.
Aimée li manda alla scuola ebraica, e quando ci sono le feste ebraiche li fa stare a casa dalla scuola pubblica - e gli insegnanti accettano la giustificazione senza far domande; il secondogenito, Eberhard, si innamora tanto della parte che gli viene assegnata che lui diventa un grande sionista e va a vivere in Israele - ma non si dice se si è convertito formalmente all'ebraismo.
Sarebbero state molto interessanti delle domande sulla vita sessuale di Eberhard, per vedere se la pressione a "reincarnare" Jaguar lo ha influenzato anche da quel punto di vista - ma per farlo sarebbe stato necessario rendersi conto che il dolore della non-ebrea Aimée e le sue conseguenze su figli e nipoti non sono meno importanti del dolore di uno degli ebrei superstiti alla Shoà, e delle sue conseguenze transgenerazionali, che fanno parlare in Israele di superstiti di seconda e terza generazione (ormai si può parlare pure della quarta).
Raffaele Ladu

L'omosessualità nella società ebraica del mondo islamico


Brill è un editore olandese di interessanti (e costose) pubblicazioni accademiche di argomento religioso, tra cui figura l'Encyclopedia of Jews in the Islamic World [= Enciclopedia degli ebrei nel mondo islamico], pubblicata nell'anno di grazia 2010, di cui è disponibile una brochure esemplificativa. 
In questa brochure (pagine 23-25 del PDF – la numerazione interna delle pagine è 13-15) si trova l'articolo "Homosexuality in Jewish society [= L'omosessualità nella società ebraica]", redatto dallo studioso israeliano Yaron Ben Naeh, di cui ho già parlato in altra occasione.
L'articolo è interessante per quello che dice non solo degli ebrei, ma anche dei mussulmani in mezzo ai quali vivevano, e per questo mi permetto di tradurlo. Buona lettura. 
L'omosessualità nella società ebraica
di Yaron Ben Naeh
Sia l'ebraismo che l'islam proibiscono severamente i rapporti sessuali tra maschietti, ma erano ben poco coerenti a questo proposito, e pertanto c'era un apprezzabile iato tra i costumi e la letteratura teologica nel mondo islamico premoderno. I legami romantici e sessuali tra gli uomini erano un fenomeno abbastanza diffuso tra i mussulmani e, data l'ampiezza dell'acculturazione ebraica, non sorprende che lo fosse anche tra gli ebrei. La Ghenizà del Cairo [1] e la magnifica poesia ebraica di al-Andalus [2] forniscono prove documentarie e letterarie per il Medioevo, mentre le fonti ebraiche ed altre fonti dall'Impero ottomano, dall'Iran e dal Nordafrica lo documentano per i secoli dal 15° al 19°. In epoca successiva, l'esistenza di giovani danzatori ebrei che spesso si davano alla prostituzione omosessuale fu notata dall'Egitto all'Iran. L'attività sessuale umana è influenzata da ciò che la circonda, e che sia etichettata come "normativa" o "deviante" dipende dalle norme relative al luogo ed al tempo, dai contesti sociali e culturali, e dalla posizione sociale dell'individuo [3]. Lo studio dell'omosessualità tra gli ebrei dell'Impero ottomano e nelle terre dell'islam, ed anche l'atteggiamento della società ebraica, lo dimostra ampiamente. 
Come l'ebraismo (Levitino 18:22 e 20:13), l'islam proibisce severamente i rapporti sessuali tra maschietti (Corano 7:81, 26:165, 27:55, ed anche più esplicitamente negli hadith), ma in pratica la posizione ufficiale in proposito era ben poco coerente. Le rigorose regole della shari'a per provare l'adulterio ed i crimini sessuali impedivano quasi completamente a questi fatti di essere portati in tribunale, e non è per niente chiaro fino a che punto le pene ordinate dalla shari'a e dalla legge secolare (in arabo e turco: qanun) venivano inflitte. Le ricerche mostrano un visibile divario tra le norme morali dei libri di teologia ed i costumi correnti nelle società premoderne. I legami romantici e sessuali tra gli uomini erano un fenomeno alquanto diffuso nella civiltà islamica, in cui le donne erano quasi completamente assenti dalla sfera pubblica. Il desiderio sessuale e l'attrazione reciproca tra persone dello stesso sesso erano accettati come un'emozione naturale e non suscitavano sentimenti di colpa o vergogna. Nel contempo, non si riteneva appropriato parlare di questo fenomeno in pubblico od ammetterne l'esistenza. In queste società il genere era considerato una caratteristica naturale e fissa. L'identità maschile o femminile erano determinate dalla somma dei comportamenti sociali, compreso l'orientamento sessuale. La dominanza e la penetrazione erano segni di mascolinità, senza riguardo per il sesso biologico dell'oggetto del desiderio o per l'atto connesso, ed il bisogno degli uomini adulti per le grazie dei giovanotti non era negativamente stigmatizzato. Né c'era una divisione binaria tra eterosessuali ed omosessuali, o tra sessualità normativa e sessualità deviante.
Il ruolo sessuale era dettato in larga misura dalla posizione sociale. In generale, i rapporti carnali si avevano tra individui di ineguale posizione in termini di classe ed età, e prendevano la forma di rapporti sessuali con giovani e schiavi. Il sesso dell'oggetto della penetrazione dell'uomo non aveva importanza: giovane, uomo, o donna, schiavo o libero – erano tutte scelte appropriate. Dacché si vedeva la penetrazione come un atto che umiliava ed asserviva il partner passivo, spesso quest'ultimo diveniva oggetto di dileggio, ed un uomo che per scelta continuava ad impegnarsi nella passività anale veniva in effetti ritenuto deviante. Prima di sviluppare la barba sul volto, si riteneva che i giovinetti possedessero un'identità sessuale femminile, e pertanto erano oggetti abbastanza legittimi del desiderio sessuale maschile – e talvolta venivano pure preferiti (dal punto di vista estetico). I molti motivi omoerotici nella letteratura, nel misticismo islamico, la popolarità dei manuali sessuali ed i libri di immagini e di interpretazione dei sogni che trattavano dei rapporti sessuali tra persone del medesimo sesso rafforzano tutti la stessa impressione. 
L'espressione dell'amore tra maschi era un segreto di Pulcinella, ed i viaggiatori ed i diplomatici europei che venivano nelle terre dell'islam lo notavano con stupore. Le storie che descrivevano la diffusione delle relazioni omoerotiche in Oriente identificavano l'islam con il "sodomismo [Sodomism]" e con una sessualità immorale e degenerata e, così facendo, contribuirono alla demonizzazione ed alla delegittimazione del minaccioso ed odiato nemico islamicl (v. Daniel, pp. 141-145).
Data l'acculturazione degli ebrei nel mondo islamico, non ci sorprende che i costumi e le pratiche della società che li ospitava esistessero nella società ebraica. Ad onta del vincolo di silenzio e della maniera intima dell'atto, sono sopravvissute centinaia di racconti che spiegano in dettaglio l'esistenza di relazioni sessuali tra i maschi ebrei (non si hanno documenti sulle relazioni lesbiche) e testimoniano di un fenomeno largamente dimenticato. 
Il Medio Oriente medievale ed al-Andalus
La Ghenizà del Cairo fornisce alcune delle prove più antiche per l'esistenza del fenomeno tra gli ebrei nell'Oriente islamico durante il Medioevo. S. D. Goitein teorizzò che la pratica della pederastia filtrò dall'élite dominante a più ampi segmenti della popolazione, e che il posto degli schiavi fu preso dai giovinetti poveri. Egli punta a numerosi documenti dai quali si può indurre che le relazioni con i giovinetti non erano rare, sebbene venissero esplicitamente condannate e si prendessero delle misure per prevenire incontri sessuali di questo tipo (p. e., le restrizioni al trovarsi insieme da soli uomini adulti e ragazzi al pellegrinaggio [arabo: ziyara] al tempio di Dammuh, a sudovest di Fustat [4]). 
Il fenomeno della pederastia ha raggiunto un'espressione senza precedenti nella splendida poesia ebraica che nacque dalla stretta familiarità e dall'interessamento per la poesia araba in al-Andalus. In particolare, il genere delle "canzoni della gazzella" lodava le virtù del giovane imberbe (arabo: amrad) descritto come una "gazzella" od un "cerbiatto" (ebraico: tzvi) e metteva in mostra le pene dello struggimento che soffriva il poeta asservito dall'amore per il bel ragazzo. Come hanno dimostrato Schirmann e Roth, è difficile accettare l'argomento di Allony, Pagis ed altri secondo cui questo era soltanto un tropo letterario che non rispecchiava affatto la realtà sociale. Oltre al corpus della poesia ebraica omoerotica, c'è la prova della letteratura halakhica e di altra letteratura che condanna i comportamenti scorretti. Huss sostiene che la società ebraica andalusa medievale, e quella mediorientale permettevano delle rappresentazioni positive dell'amore omoerotico a certe condizioni. Ritiene questo un risultato della caratteristica simbiosi con l'ambiente islamico. Le relazioni omoerotiche tra gli ebrei continuarono nella penisola iberica anche dopo la Reconquista, ma non apparvero più nella letteratura e solo di rado appaiono negli scritti rabbinici.
L'Impero ottomano ed il mondo arabo all'inizio e durante l'era moderna 
Le fonti ebraiche e straniere che risalgono ai secoli 15°-19° tracciano un quadro che mostra chiaramente che le relazioni sessuali tra uomini erano tanto comuni nell'Impero ottomano ed in Nordafrica da non essere confrontabili con le analoghe attività in Europa. La testimonianza delle fonti sull'attività sessuale maschile è confortata dai sempre crescenti resoconti in tutta la regione, nei secoli 18° e 19°, sulla morale e sulle trasgressioni sessuali, e sulla frequenza delle relazioni tra le persone del medesimo sesso. Come già detto, nel mondo islamico l'attrazione verso le persone dello stesso genere era considerata parte dell'assortimento dei comportamenti maschili generali e normali. Inoltre, le condizioni di vita, tra cui la facile disponibilità dei giovinetti in una società che imponeva la separazione dei sessi ed il matrimonio tardivo per i maschietti, la rendeva una scelta attraente per incanalare i desideri sessuali.
Le attività descritte nelle fonti corrispondono alla struttura di relazioni asimmetriche sopraddette. Il più di quello che sappiamo riguarda le relazioni sessuali tra ebrei; però ci sono prove di legami sessuali con non-ebrei. Gli incontri avvenivano in case private, in mezzo alla natura, e soprattutto nei luoghi di ritrovo per gli uomini di ogni religione – caffè, taverne e bagni pubblici. Menzione speciale meritano i giovani danzatori maschili, molti dei quali tipicamente ebrei, con una significativa proporzione di essi che si davano alla prostituzione omosessuale. Dei danzatori ebrei prepuberi si sono trovati, spingendosi ad est, perfino in Iran, e, come osserva l'antropologo Laurence Loeb, "L'omosessualità è sempre implicita nelle discussioni sul ruolo del danzatore maschio". Il personale dell'Alliance Israélite Universelle fece grandi sforzi per salvare i ragazzi ebrei da quella che veniva descritta come "una vita di indolenza e dissolutezza". Damerini di compagnia [Boy companions] appaiono nel 19° secolo ed agli inizi del 20° in quasi tutti i maggiori centri urbani nello Yemen, in Iraq, in Egitto ed in Marocco. 
La mancanza di particolare attenzione dedicata ai rapporti sessuali tra maschietti comprova la posizione di Michel Foucault, che sostiene che fino all'età moderna, il rapporto omosessuale, così come diverse altre pratiche sessuali, non era considerato più grave di altre attività sessuali vietate come l'adulterio e lo stupro. La legge religiosa trattava un simile comportamento come ogni altro peccato; non lo riteneva un fenomeno morale e sociale distinto o particolarmente preoccupante. E solo nel 19° secolo si è cominciato a pensare all'omosessualità come ad una deviazione o ad un atto contro natura, ridando vita alla visione del trasgressore come di un deviante che appartiene ad una categoria umana separata distinta da caratteristiche specifiche.
Occupandosi della questione delle relazioni tra i generi, le comunità ebraiche emisero delle ordinanze religiose (ebraico: taqqanot) che intendevano prevenire le interazioni che potevano portare ad un'attività sessuale. Le restrizioni ai movimenti dei giovinetti erano il parallelo di quelle sui movimenti delle donne nella città mussulmana – l'oggetto del desiderio deve sparire dagli occhi del pubblico ed evitare di suscitare l'interesse degli uomini- Queste regole rafforzavano e completavano le ordinanze ufficiali [laiche] nate per comune consenso (ebraico: haskamot) ed altri strumenti normativi per sovrintendere e supervisionare la morale pubblica con mezzi informali, come l'istruzione, i sermoni e le prediche in sinagoga, ed i costante timore di pettegolezzi e mormorazioni. Ad onta della chiara proibizione biblica, e delle taqqanot comunitarie, i rapporti tra le persone dello stesso sesso erano frequenti. C'era un cospicuo divario tra il codice etico e morale emanato dai dotti studiosi dell'halakhah e dai giuristi, e la realtà e le norme della società in generale, che era ben conscia della frequenza di queste abitudini. Infatti, il pubblico preferiva affrontarle distogliendo lo sguardo o con una certa tolleranza che arrivava ad una quasi legittimazione di fatto, specialmente a proposito dei giovani e degli scapoli in cerca di uno sfogo. L'atteggiamento della società ebraica verso il fenomeno del rapporto omosessuale era pertanto simile a quello della società urbana islamica, e rifletteva l'influenza di quest'ultima cultura, come è stato il caso della Spagna mussulmana.
Bibliografia 
  • Allony, Nehemia. "The 'Zevi' (Nasib) in the Hebrew Poetry of Spain," Sefarad 23, no. 2 (1963): 311321.
  • Assis, Yomtov. "Sexual Behaviour in Medieval Hispano-Jewish Society," in Jewish History: Essays in Honour of Chimen Abramsky, ed. Ada Rappoport and Steven J. Zipperstein (London: Halban and Weidenfeld & Nicolson, 1988), pp. 2559.
  • Ben-Naeh, Yaron. "Moshko the Jew and His Gay Friends: Same-Sex Sexual Relations in Ottoman Jewish Society," Journal of Early Modern History, vol. 9, nos. 12 (2005): 79105.
  • Foucault, Michel. The History of Sexuality, trans. R. Hurley, 3 vols. (London: Penguin, 19901992).
    • Nota: della versione italiana dell'opera, dal titolo "Storia della sessualità", abbiamo due copie in biblioteca.
  • Goitein, Shelomo D. A Mediterranean Society, vol. 5 (Berkeley and Los Angeles: University of California Press, 1988).
    • Nota: una versione ridotta dell'opera, dal titolo "Una società mediterranea", è stata pubblicata in Italia da Bompiani.
  • Huss, Matti. "The Maqama of the Cantor: Its Possible Sources and Relation with Medieval Hebrew Homoerotic Literature," Tarbiẓ 72, nos. 12 (2003): 197244 [Hebrew].
  • Loeb, Laurence D. Outcaste: Jewish Life in Southern Iran (New York: Gordon & Breach, 1977).
  • Roth, Norman. "Deal Gently with the Young Man: Love of Boys in Medieval Hebrew Poetry of Spain," Speculum 57 (1982): 2051.
  • Schirmann, Jefim. "The Ephebe in Medieval Hebrew Poetry," Sefarad 15, no. 1 (1955): 5568.
Note del traduttore
[1] La Ghenizà del Cairo: l'uso ebraico vuole che tutti gli scritti che recano il "tetragramma" (Y.H.W.H), cioè il nome impronunciabile di Dio, non vengano distrutti, ma accumulati in un magazzino chiamato "Ghenizà = Deposito" di cui è dotata ogni sinagoga (nelle più piccole si riduce ad una scatola), in cui i testi deperiranno naturalmente senza che nessuno osi danneggiarli; se un maggiorente della comunità od un grande studioso passano a miglior vita, alcuni di questi testi chiusi nella Ghenizà possono avere l'onore di essere sepolti insieme con lui.
Immaginate che la comunità ebraica della capitale di un grande impero abbia relazioni commerciali e culturali che coprono l'intero mondo conosciuto (dal Marocco fino all'Asia centrale), e che le persone che devono sfoltire i loro archivi non si prendano la briga di controllare quali pagine contengano il tetragramma, ma consegnino tutti gli incartamenti alla sinagoga, e che il clima di questa capitale non faccia marcire le carte, ma le conservi per 12 secoli sia quelle nel magazzino che quelle nel cimitero ed avete un'idea di che cosa hanno trovato gli studiosi al Cairo a partire dal 1890 circa. 
L'opera di Shlomo Dov Goitein "A Mediterranean Society" citata nella bibliografia dell'articolo racconta la vita degli abitanti del Cairo (non solo degli ebrei) in età fatimide come appare dai 200 mila lacerti della Ghenizà; ne è stata pubblicata un'edizione ridotta in italiano col titolo "Una società mediterranea" e Goitein si dimostra in essa non solo un grande storico, ma anche un magistrale scrittore, ad onta di una traduzione non sempre all'altezza.
[2] al-Andalus: la Spagna mussulmana. E' tuttora considerata il luogo ed il tempo in cui la letteratura ebraica ha dato il suo meglio, ed è stata un crogiolo di cultura di enorme importanza anche per il mondo "cristiano". 
[3] Noi italiani lo sappiamo bene.
[4] Fustat è la parte più antica del Cairo, corrispondente alla fortezza bizantina di Babylon, nota ai turisti come "Cairo vecchio" o "Cairo copto". In effetti ci sono delle deliziose chiese copte, ed una cattedrale ortodossa bizantina ricavata in una delle torri della fortezza, ma val la pena visitare la sinagoga di Ibn Ezra, recentemente restaurata dal governo egiziano; una leggenda afferma che ci abbia pregato Mosé, ma di certo è che lì dentro si trovava la Ghenizà di cui alla nota [1].
Per quanto riguarda Avraham Ibn Ezra (1089-1164), è stato un grande studioso (tra i precursori della critica biblica) che l'altro è vissuto per qualche tempo a Verona - meriterebbe una via.

Raffaele Ladu