Noi con l'Europa


Noi per una Nuova Europa con più diritti.
Perché non vogliamo che il gelido vento dell'est arrivi anche qui.

La crisi economica e soprattutto sociale che investe da oramai troppi anni il nostro continente, ha da tempo iniziato a generare mostri. I mostri dell'intolleranza, del razzismo, dell'omo­bi­transfobia.

Disoccupazione crescente, povertà, sofferenza del tessuto produttivo e industriale, con le conseguenti politiche di austerità, stanno portando molte persone a pensare che la principale, e forse l'unica colpa, di tutto questo sia indistintamente“l'Europa”. Una sorta di “Grande Fratello”, un mix di burocrazia cinica e spietata, che attraverso l'Euro, e sotto le direttive della cattiva e prepotente Germania, sta affamando l'intero continente.

In questa situazione, quelli che per anni erano stati gli slogan soltanto di gruppuscoli di estrema destra e di fanatici religiosi, ora si stanno diffondendo fra molti cittadini europei, diversi per classe e provenienza sociale, comprensibilmente stanchi, preoccupati e disillusi. Preoccupazione, disillusione e potremo dire anche paura, a fine 2013 hanno portato nelle piazze italiane un'ondata di proteste di cittadini, categorie produttive e movimenti vari, in uno strano, scomposto e confuso attacco, sia all'inerte classe politica che alle istituzioni europee.



Come però successe in uno dei periodi più bui della storia europea, cioè il periodo della Repubblica di Weimar in Germania (1918­1933), crisi economica pesante e disoccupazione alle stelle, portarono poi all'avvento di un periodo ancora peggiore: il Nazismo – la Seconda Guerra Mondiale e l'Olocausto.


La comunità lgbt* visse il periodo della Repubblica di Weimar come un periodo di “splendore” e relativa libertà, tra feste, apertura di nuovi locali e sale da ballo, e con un movimento politico che stava crescendo, grazie all'impegno diretto di alcuni grandi personaggi come il dott. Magnus Hirschfeld, facendo discrete e importanti rivendicazioni per l'abolizione di vergognose leggi omofobe ottocentesche (Paragrafo 175) e l'ampliamento dei diritti civili.

Nessuno di loro però vide l'addensarsi e l'avvicinarsi impetuoso delle nere nubi della tragedia. E in prossimità del 27 Gennaio, Giornata mondiale della Memoria, questo lo vogliamo ricordare.

Non troviamo così tanto strano che oggi a cavalcare gli umori antieuropei e spaccatutto di questi variopinti e variegati movimenti di protesta senza timone, siano le stesse forze politiche che per anni ci hanno governato con politiche economiche creative e fantasiose, con leggi “ad personam” e “ad castam” che hanno contribuito e aggravato la crisi economica, spesso negandola platealmente (i famosi ristoranti e aerei pieni di Berlusconi ­ NDR Nov. 2011), che hanno distorto e deviato i problemi, facendo leva sulla pancia, la memoria corta e l'elevata ignoranza dei cittadini con pericolose, mirate campagne contro immigrati e noi persone lgbt: un unico micidiale brodo di malcontento economico, celodurismo maschilista, razzismo e omo­transfobia per spostare l'attenzione dei media e fare il pieno di voti.

L'Europa delle banche e dei burocrati diventa la stessa Europa che “sostiene e promuove i matrimoni contronatura”, “che permette le adozioni dei minori a froci” ecc. ecc. ­per non citare che  alcuni degli innumerevoli slogan e prese di posizione che, conditi da pesanti offese, ci siamo sentiti rivolgere in questi anni da non pochi personaggi pubblici e di partito, da organi di informazione, web, radio e giornali, come ricorda la campagna recentemente lanciata da Arcigay: Spegniamo l'odio.

E' importante sostenere questa sacrosanta campagna, soprattutto la petizione ai Senatori e alle Senatrici della Commissione Giustizia, affinché approvino un testo di legge che sia un'arma realmente efficace nel combattere l'omo-bi-­transfobia, senza nessuna concessione a chi pensa che con l'approvazione di questa legge siano negati i fondamentali diritti d'opinione.

Non può essere considerato “opinione” l'incitamento all'odio e alla violenza e l'offesa a tantissimi cittadini e cittadine. Molti altri stati europei, che già applicano politiche sui diritti e sul rispetto delle persone lgbt, hanno da tempo approvato leggi contro l'omo-bi-­transfobia, un pericoloso concetto, che purtroppo notiamo trovare simpatie e complicità anche in molte persone e politici di centro­sinistra, i quali contribuiscono a tenere il freno a mano tirato sui diritti lgbt nel nostro paese.

Nel 2014 giungeremo ad una svolta e potremo capiremo in che tipo d'Europa ci ritroviamo: ci saranno le Elezioni Europee, con la non tanto remota prospettiva di ritrovarci un Parlamento Europeo pieno di fascisti, fondamentalisti religiosi e populisti di destra, che farebbero fare un salto indietro di decenni al nostro continente, su moltissimi temi, sopratutto quelli dei diritti delle persone, dai diritti lgbt a quelli delle donne, degli immigrati, della rappresentanza e della democrazia stessa, spingendo il baricentro del continente ad est, verso la Russia di Putin e la sua finta democrazia, che controlla i cittadini e vieta diritti umani e libertà fondamentali. Né ora né mai, vogliamo che quel gelido vento dell'est arrivi anche qui.

Vogliamo un'Europa sempre più inclusiva, veramente democratica e con sempre più diritti ed opportunità estese ai propri cittadini, vecchi e nuovi.

Milk Verona Lgbt Community Center (Circolo Arci)
www.milkverona.it - agoralgbtq.blogspot.it
#Eurpadirittilgbt  #Milkverona #Noomofobia #Memorialgbt

lgbt* = Sigla che sta per: Lesbian, gay, bisexual, transgender
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Vi proponiamo qualche articolo,  compresi alcuni di cui non condividiamo l'opinione e il contenuto, per una più approfondita riflessione:

SPEGNIAMO L'ODIO! Campagna Arcigay contro l'Omotransfobia.
http://www.arcigay.it/41723/omofobia­spegniamo­lodio­la­campagna­di­arcigay­finanziata­dal­consiglio­deuropa­appello­ai­senatori­per­lestensione­piena­della­legge­mancino/

OMOFOBIA IN EUROPA: L'Italia tra discriminazione e tolleranza
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09/03/omofobia­in­europa/699821/

OMOFOBIA SHOCK: E' il secondo reato in Italia dopo il razzismo – Queerblog
http://www.queerblog.it/post/118899/omofobia­shock­e­il­secondo­crimine­dodio­in­italia­dopo­il­razzismo

DIRITTI CIVILI E OMOFOBIA: LA VERA EMERGENZA
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/08/13/diritti­civili­e­omofobia­vera­emergenza/683572/

ALBA DORATA, BNP e FORZA NUOVA alleanza a MOSCA
http://www.noodls.com/view/6B891C7C06B5914A9B34DD7C5DF902C9A64DA56A8319xxx1385739981

TREDICI MOTIVI PER DIRE NO ALLA LEGGE CONTRO L'OMOFOBIA
http://www.lanuovabq.it/it/articoli­tredici­motivi­per­dire­no­alla­legge­sullomofobia­7952.htm

ALBA DORATA DORATA CONTRO I GAY
http://www.lettera43.it/politica/atene­i­neo­nazi­di­alba­dorata­contro­i­gay_4367568029.htm

AMNESTY INTERNATIONAL – Diritti Lgbtqi in Europa

http://www.amnesty.it/diritti­persone­lgbti­in­europa

LOVE IS RIGHT! Verona c'è!

Il Video con attori e attrici italiani per LOVE IS RIGHT
Verona e il Veneto ci saranno: Sabato 7 Dicembre a Roma ci sarà per la manifestazione LOVE IS RIGHT! Diritti senza compromessi! Perchè è tempo che anche il nostro paese riconosca fondamentale diritto alla felicità dei propri cittadini.

LOVE IS RIGHT!
ORE 15 - Piazza SS. Apostoli - Roma



Su Repubblica il bellissimo Video spot con diversi attori e attrici, testimonial della manifestazione.http://video.repubblica.it/cronaca/love-is-right-in-piazza-contro-l-omofobia/149066/147574?ref=HREC1-11

"Love is Right - Diritti senza compromessi". Il video promuove la manifestazione nazionale di sabato 7 dicembre in piazza dei Santi Apostoli, a Roma, per chiedere l'uguaglianza dei diritti per le persone gay, lesbiche e transessuali. Le associazioni che compongono il movimento Lgbt (Agedo, Arcilesbica, Arcigay, Certi Diritti, Equality Italia, Famiglie Arcobaleno e Mit-Movimento Identità Transessuale) hanno scelto di scendere in piazza per rivendicare un sistema di leggi che garantisca le libertà, l'autodeterminazione e i diritti civili.
Testimonial della campagna Claudia Gerini, Valeria Solarino, Giulia Michelini, Anna Falchi, Chiara Caselli, Marco Cocci, Giorgio Marchesi, Alessandro Tiberi, Fabrizio Falco, Filippo Nigro, Alessandro Roja, Michele Venitucci, Andrea Napoleoni, il regista del video è Marco Simon Puccioni

Due risposte di Papa Francesco

[0] http://www.huffingtonpost.com/2013/07/29/pope-francis-gays_n_3669635.html

Non leggo la stampa italiana, e quello che ha detto Papa Francesco, che ha suscitato tante polemiche, lo so dall'articolo [0].

Una cosa positiva credo vada riconosciuta: come osserva l'autore dell'articolo, mentre Benedetto 16° riteneva l'omosessualità un impedimento al sacerdozio, non è così per Francesco 1°, il quale dice che non se la sente di giudicare una persona che, pur gay, cerca sinceramente Dio.

Direi che è un colpo mortale a tutto il sottobosco di cialtroni, da Tony Anatrella in giù, che a dispetto della scienza continuano a sostenere che l'omosessualità è una malattia da curare. I fautori delle terapie riparative ora perdono la copertura in alto loco.

Certo, restano molte cose da fare per rendere la chiesa cattolica accogliente verso le persone LGBT, ma il primo passo, il non patologizzarle, è stato fatto. Un altro passo importante è stato fatto quando Papa Francesco, rispondendo alle domande su un prelato accusato di aver avuto una tresca gay una decina d'anni fa, ha osservato che, se le indagini avessero confermato le accuse, si sarebbe comunque trattato di un peccato, non di un reato come sarebbe stato ad esempio abusare dei bambini.

Quindi, Papa Francesco rifiuta di equiparare l'omosessualità alla pedofilia, e di criminalizzare l'attività (omo)sessuale tra adulti consenzienti - direi che sarebbe il caso di riproporre all'ONU la mozione per la decriminalizzazione universale dell'omosessualità, e vedere se la delegazione vaticana ora vota a favore e non più contro.

Questo certamente non risolve i problematici rapporti tra chiesa cattolica e movimento LGBT, e tra chiesa cattolica e stato laico in Italia, ma li riduce.

Una cosa che mi ha parecchio infastidito è leggere su Facebook l'insulto "cattochecche" rivolto agli LGBT cattolici che hanno apprezzato le frasi di Papa Francesco, e l'accusarli di essere la causa degli scarsi risultati ottenuti dal movimento in Italia.

Chi scrive queste cose mostra di pensare che la strategia del movimento LGBT non deve essere quella di raggiungere l'egemonia culturale, ovvero convincere il 90-95% di persone etero che l'eteronormatività è una rovina per tutti, e che più diritti per le persone LGBT vuol dire anche più diritti per gli etero - ma quella di creare un esercito di militanti dalla fede perfetta ed immuni da compromissioni con il Male.

Sarà Dio a premiarli con la vittoria poi? E che ci guadagniamo ad insultare delle persone LGBT per quello che sono anziché criticarle per gli eventuali errori che commettono? Questo è il mestiere degli omofobi, lasciatelo fare a loro.

Ciao, RL

Diverso vuol sempre dire diseguale

[1] http://www.ourdocuments.gov/doc.php?flash=true&doc=52&page=transcript

[2] http://it.wikipedia.org/wiki/XIV_emendamento_della_Costituzione_degli_Stati_Uniti_d'America

[3] http://www.law.cornell.edu/supct/html/historics/USSC_CR_0347_0483_ZO.html

[4] http://www.nytimes.com/interactive/2013/06/26/us/26windsor-doc.html?_r=0

[5] http://www.supremecourt.gov/opinions/12pdf/12-144_8ok0.pdf

[6] https://ecf.cand.uscourts.gov/cand/09cv2292/files/09cv2292-ORDER.pd

[7] http://caselaw.lp.findlaw.com/scripts/getcase.pl?court=US&vol=388&invol=1

[8] http://www.freedomtomarry.org/page/-/files/pdfs/mildred_loving-statement.pdf

Mi capita di trovarmi di fronte all’argomento per cui si potrebbe offrire alle persone LGBT l’unione civile in luogo del matrimonio – se l’unione civile ha i medesimi contenuti (diritti e doveri), non si può parlare di discriminazione, è il ragionamento.

Purtroppo, è un ragionamento a cui le corti costituzionali del mondo non credono più. Poiché l’argomento e la sua confutazione sono nati negli Stati Uniti d’America, cito la giurisprudenza americana.

Tutto cominciò nel 1896, quando la Corte Suprema USA sentenziò, nel caso Plessy v. Ferguson [1], che un treno con carrozze per i bianchi e carrozze per i neri non discriminava contro i neri se le carrozze per i neri erano uguali a quelle per i bianchi.

Che l’argomento fosse soltanto un modo per autorizzare la discriminazione razziale a dispetto del Quattordicesimo Emendamento della Costituzione USA [2] se ne era reso conto il giudice supremo Harlan nello scrivere la sua opinione di minoranza (sempre in [1]), giustamente passata alla storia.

Dopo la 2^ Guerra Mondiale l’argomento è stato però respinto; caso classico è stato nel 1954 Brown v. The Board of Education [3], in cui si discuteva se era lecito far frequentare a bianchi e neri scuole diverse, anche se di eguali caratteristiche.

La sentenza dice (non traduco le note):

(inizio)

Arriviamo quindi alla questione postaci: la segregazione dei ragazzi nelle scuole pubbliche solo sulla base della razza, anche se le strutture fisiche ed altri fattori “tangibili” possono essere uguali, privano i ragazzi del gruppo minoritario delle opportunità di ricevere eguale istruzione? Crediamo di sì.

In Sweatt v. Painter, supra, nel rinvenire che una facoltà di legge segregate per i negri non poteva offrir loro opportunità di eguale istruzione, questa Corte si è affidata in gran parte a “quelle qualità che non si possono misurare obiettivamente ma che contribuiscono alla grandezza in una facoltà di legge”. In McLaurin v. Oklahoma State Regents, supra, la Corte, richiedendo che un negro ammesso ad una scuola di specializzazione bianca venisse trattato come tutti gli altri studenti, ha nuovamente fatto ricorso a considerazioni impalpabili: “… la sua abilità di studiare, di entrare in discussione e scambiare opinioni con altri studenti, ed, in generale, di apprendere la sua professione”. Tali considerazioni valgono con maggior forza per i ragazzi delle scuole elementari e medie. Separarli da altri di età e qualifiche simili solo a causa della loro razza genera un sentimento di inferiorità al riguardo della loro posizione nella comunità che può influenzare i loro cuori e le loro menti in un modo che è assolutamente improbabile che si possa disfare. L’effetto di questa separazione sulle loro opportunità di istruzione è stato ben affermato da un pronunciamento nel caso del Kansas da parte di un tribunale che comunque si sentì obbligata a sentenziare contro gli attori negri: la segregazione dei ragazzi bianchi e di colore nelle scuole pubbliche ha un effetto dannoso sui ragazzi di colore. L’impatto è più grande quando è sanzionato dalla legge, in quanto la politica di separazione delle razze è usualmente interpretata come denotante l’inferorità del gruppo negro. Un senso di inferiorità influenza la motivazione di un ragazzo ad apprendere. La segregazione con la sanzione della legge, perciò, ha la tendenza a [ritardare] lo sviluppo educativo e mentale dei ragazzi negri ed a privarli di alcuni dei benefici che riceverebbero in un sistema scolastico razzialmente integrato. Qualunque sia stata la portata delle conoscenze psicologiche al tempo di Plessy v. Ferguson, questo pronunciamento è ampiamente sostenuto dall’autorità moderna. Ogni linguaggio in Plessy v. Ferguson contrario a questo pronunciamento è respinto.

Concludiamo che, nel campo dell’istruzione pubblica, la dottrina del “separati ma eguali” non ha posto. Strutture educative separate sono intrinsecamente ineguali. Perciò sosteniamo che gli attori ed altri in posizione analoga per cui sono state intentae le azioni, sono privati dell’Eguale Protezione della Legge garantita dal Quattordicesimo Emendamento a ragione della segregazione lamentata. Questa disposizione rende superflua ogni discussione sul se tale segregazione violi inoltre la clausola del Giusto Processo del Quattordicesimo Emendamento.

(fine)

Se Plessy v. Ferguson fu emessa a maggioranza (ricordo il dissenso del giudice Harlan), Brown v. The Board of Education fu emessa all’unanimità ed ha influenzato anche la giurisprudenza straniera (l’ha citata perfino l’Alta Corte di Giustizia israeliana nel 2000, quando ha sentenziato in Qa’adan v. Katzir che un “insediamento cooperativo” non può impedire ad una persona di farne parte solo perché araba).

La Corte Suprema USA non ha abolito soltanto il DOMA [4] la settimana scorsa, ha anche stabilito [5] che chi aveva fatto ricorso contro la sentenza della Corte Distrettuale Federale della California del Nord [6] che aveva abolito la Proposizione 8 in California non aveva titolo per farlo – doveva farlo il Governatore Jerry Brown, ma si è rifiutato.

Si tratta di un caso molto interessante, perché il diritto californiano, pur riservando il matrimonio alle coppie eterosessuali, consentiva alle coppie omosessuali di unirsi in “domestic partnership = unione civile”, con praticamente gli stessi diritti e doveri delle coppie coniugate.

Ciononostante, così argomentarono gli oppositori, la perfetta eguaglianza non poteva esserci perché socialmente non è la stessa cosa dire “noi due siamo sposati” e “noi due siamo in un’unione civile”, e l’allora presidente della Corte Distrettuale Vaughn R. Walker ha così concluso la sua lunga sentenza:

(inizio)

La Proposizione 8 non riesce a mostrare una qualsiasi base razionale per negare la licenza matrimoniale proprio ai gay ed alle lesbiche. Infatti, le prove mostrano che la Proposizione 8 non fa altro che incorporare e santificare nella Costituzione della California la nozione che le coppie di sesso diverso sono superiori a quelle del medesimo sesso. Poiché la California non ha alcun interesse a discriminare contro i gay e le lesbiche, e poiché la Proposizione 8 impedisce alla California di adempiere al suo dovere costituzionale di consentire il matrimonio a condizioni di eguaglianza, la corte conclude che la Proposizione 8 è incostituzionale.

(fine)

Dopo la sentenza della Corte Suprema USA lo stato della California ha ricominciato ad emettere licenze matrimoniali alle coppie lesbiche e gay – ed a sposarle.

Io e mia moglie abbiamo più volte discusso se esigere proprio il matrimonio od accontentarsi dell’unione civile. Il compromesso che propongo è che l’unione civile può essere un primo passo, giusto per convincere gli scettici che non casca il mondo se le coppie lesbiche e gay hanno un riconoscimento sociale, e tenendo conto che l’evoluzione costituzionale è sempre graduale: dalla sentenza del 1954 Brown v. The Board of Education a Loving v. Virginia, la sentenza del 1967 [7] che ha abolito il divieto di matrimonio interrazziale che vigeva in 19 stati USA sono passati 13 anni – e non perché nessun altro nel frattempo avesse fatto ricorso.

Però è solo un primo passo, che a me pare ora superfluo: L’Olanda è stato il primo paese al mondo ad aprire le unioni civili (1979) ed il matrimonio (2000) alle coppie omosessuali, ed è in miglior salute dell’Italia da tutti i punti di vista.

Tornando alla sentenza Loving v. Virginia [7], essa è stata citata dal giudice Walker nella sua sentenza sulla Proposizione 8 [6], per affermare che “il diritto costituzionale al matrimonio protegge la scelta che un individuo fa del coniuge indipendentemente dal genere”; Mildred Loving, la donna nera condannata insieme con il marito bianco Robert Loving, prima di morire, nel 2007 dichiarò [8]:

(inizio)

Credo che tutti gli americani, non importa la loro razza, non importa il loro sesso, non importa il loro orientamento sessuale, dovrebbero avere la medesima libertà di sposarsi. … Sono ancora una persona non politica, ma sono orgogliosa che il nome di Richard e mio sia in un caso giudiziario che può aiutare a rinforzare l’amore, l’impegno, l’equità e la famiglia, che molte persone, nere o bianche, giovani o vecchie, gay od etero cercano nella vita. Sostengo la libertà di sposarsi per tutti. Questo è tutto ciò che riguarda Loving ed amarsi” [“Loving” non è solo il cognome di Mildred e Richard – in inglese vuol dire anche “amarsi”].

(fine)

Pensate che chi sostiene che prevedere il matrimonio per gli etero e l’unione civile per gay e lesbiche non sia discriminatorio riuscirà a convincere i giudici costituzionali degli USA e del resto del mondo?

Raffaele Ladu

L'ontologia di Agere Contra





Agere Contra ha pubblicato l’articolo [1]; vi pregherei, prima di leggere la mia risposta, di leggere [0].

Il fulcro di [1] è questo brano:

(inizio)

Il punto decisivo per decidere se i sostenitori di questo nuovo diritto abbiano ragione o torto, se il nuovo diritto vada introdotto oppure no non è affatto l’uguaglianza, ma l’istituto matrimoniale considerato nella sua essenza e nei suoi fini. Si tratta, in altri termini, di accertare se le ragioni per le quali  la legge riconosce il matrimonio e la famiglia, distinguendoli non solo dalle unioni più o meno occasionali, ma anche dalla semplici convivenze di un uomo con una donna, valgano anche  per le unioni fra due persone dello stesso sesso. Hanno, quindi, perfettamente ragione i vescovi  nel richiedere che tutte le leggi  “rispettino la verità sul matrimonio”. Volendo, si può discutere quale sia la verità sul matrimonio, ma in base alle  funzioni e ai compiti del matrimonio e, quindi, della famiglia, che su di esso si fonda ed è la vera ragione per cui l’ordinamento giuridico può e deve interessarsi dell’unione fra due esseri umani (che altrimenti avrebbero tutto il diritto di pretendere che lo Stato non si occupi dei fatti loro). Funzioni e compiti che i vescovi americani individuano nell’impegno a “originare, promuovere e difendere la vita” e nel garantire “ad ogni bambino il diritto e la certezza di avere un padre ed una madre”. Chi non condivide è su questo piano che deve affrontarli dimostrando che hanno torto.

(fine)

Credo che questo brano tradisca un errore di ontologia: Agere Contra è convinta che il matrimonio sia un oggetto ideale, eterno ed increato al pari di Dio, con delle proprietà universalmente valide anche se al mondo non ci fosse nessuna persona da sposare; un matrimonio che violi queste proprietà sarebbe come uno spazio euclideo in cui non vale il Teorema di Pitagora – una cosa non solo inesistente, ma pure inconcepibile perché illogica.

Purtroppo, lo stesso racconto biblico pone l’istituzione del matrimonio come posteriore alla creazione di Adamo ed Eva, facendo del matrimonio un oggetto sociale, al pari della Torah e del denaro. Tocca quindi alle singole società stabilire le caratteristiche del matrimonio, esattamente come lo fa con le monete e le leggi.

Non è possibile applicare al diritto dimostrazioni rigorose come in matematica (perché le leggi sono oggetti sociali e non ideali), ma un principio basilare fu espresso così già dalla Nona delle Dodici Tavole (vedi [2]): “Privilegia ne irroganto = Non si creino privilegi”, a danno o vantaggio di qualcuno.

Con buona pace di Agere Contra, in Italia i coniugi hanno il dovere di mantenere, istruire ed educare i loro figli – ma non hanno il dovere di generarne, e non è una lacuna dell’ordinamento; infatti solo per il diritto canonico (cattolico) l’”esclusione dei figli”, cioè il non volerli generare, è motivo di nullità matrimoniale.

Gli altri doveri dei coniugi sono, per il diritto civile italiano (vedi [3]):

-          l’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi;
-          la fedeltà reciproca;
-          l’assistenza morale e materiale e la collaborazione;
-          la coabitazione e la contribuzione.

Tutti questi doveri li possono adempiere anche due coniugi del medesimo genere – perché negare a due persone quello che possono e vogliono fare, e non fa danno a nessuno (certamente non a me ed a mia moglie, felicemente sposati ed attivisti per il matrimonio egualitario)?

Raffaele Ladu

Palermo Pride 2013

Oggi Palermo si colorerà di arcobaleno. 22 Giugno 2013,
la grande parata del Pride nazionale di Palermo
www.palermopride.it

Religiosità LGBTQI e strumenti interpretativi

Ho dovuto rispondere ad una persona che non apprezzava (eufemismo) la militanza in un'associazione LGBT cattolica, ed ho pensato di estrarre dalla mia replica questi argomenti.

C'è sempre il pericolo, per dirla con rav Steven Greenberg, che la persona LGBT all'interno di un'organizzazione religiosa cooperi alla sua stessa umiliazione, ma non è detto che sia sempre così, anzi, il più delle volte in un'associazione religiosa LGBTQI le cose vanno come dice Amalia Ziv in quest'intervista:
Giornalista: “Nel libro lei scrive della prestazione di genere. Non è che tutte le nostre prestazioni di genere, o forse la maggioranza, sono basate su dei modelli oppressivi, o su dei modelli determinati da qualcuno?”
Ziv: “Sì, ma ripeto, possiamo solo lavorare su modelli già esistenti. Con questo collegamento possiamo risalire, ad esempio, alla critica lesbo-femminista delle ‘butch = camioniste’, che afferma che le camioniste riproducono i costrutti oppressivi della mascolinità.
Però, innanzitutto, le camioniste sono donne che si oppongono ai dettati sociali della femminilità e li sfidano in un modo che ha grande visibilità e perciò può anche costare parecchio. Inoltre, quando una donna fa il maschio, non è la stessa cosa di quando un uomo fa il maschio. Cioè, qui si crea qualcosa di diverso, ibrido. Queste sono donne che compiono una revisione non-standard di una norma mascolina. E le revisioni non-standard creano una nuova forma.”
Revised Standard Version è una popolarissima traduzione della Bibbia in lingua inglese; parlando di una Revised Non-Standard Version, la Ziv allude al fatto che non soltanto le norme di genere, ma anche le norme religiose possano essere rivedute in modo non standard, creando qualcosa di nuovo, e (si spera) meno oppressivo.

Judith Butler nel suo ultimo libro Strade che divergono. Ebraicità e critica del sionismo parla di come ogni norma etica o religiosa debba essere tradotta per rivolgersi a noi, e di come la traduzione possa caricarla di nuovi significati – e non è una cosa nuova, visto che al proposito vengono citati filosofi come F.D.E. Schleiermacher (1768-1834) e W. Benjamin (1892-1940).

Come potete vedere, le teorie queer non impongono di ritenere l'attivista religioso LGBTQI un ingenuo, un masochista od un pericolo, anzi! spiegano molto bene la funzione che svolge nel movimento.

Altro paradigma utile all'uopo è quello dell'interculturalità, che viene molto bene spiegato da Duccio Demetrio, che in quest'articolo cita lo scrittore libanese Hamid Maluf [in realtà si chiama Amin Maalouf] - due brani del suo libro L'identità sono illuminanti:
Da quando ho lasciato il Libano, nel 1976, per trasferirmi in Francia, mi è stato chiesto innumerevoli volte, con le migliori intenzioni del mondo, se mi sentissi più francese o più libanese. Prima o poi, a uno straniero questa domanda viene rivolta, e risponde invariabilmente ‘l’uno e l’altro’. Ciò che mi rende come sono e non diverso, è l’esistenza fra due paesi, fra due o tre lingue, fra parecchie tradizioni culturali ed è proprio questo che definisce la mia identità. Sarei più autentico se mi privassi di una parte di me stesso, quindi delle mie vicende, delle mie storie, che si sono compiute al di là del luogo, il Libano in cui sono nato. 
Naturalmente l’identità non si suddivide in compartimenti stagni, non si ripartisce né in metà, né in terzi. Non ho parecchie identità, con questo, ne ho una sola fatta di tutti gli elementi che l’hanno plasmata secondo un dosaggio particolare, che non è mai lo stesso da una persona all’altra.
Il secondo brano ricorda che:
In ogni uomo e donna si incontrano molteplici appartenenze, che a volte si contrappongono tra loro e lo costringono a scelte penose. Se ciascuno di questi elementi, cosiddetti identitari, può riscontrarsi in un gran numero di individui, non si trova mai la stessa combinazione in due persone diverse. Ed è proprio ciò che fa sì che ogni essere sia unico e insostituibile.
Aggiungendo quello che dovrebbe essere ovvio, ovvero che gli elementi identitari non sono puri, ma meticci in quanto tutte le culture sono frutto di ibridazione e subiscono o governano la propria evoluzione, ci rendiamo conto che la mente umana è intrinsecamente interculturale (Giuseppe Mantovani), e che l'interculturalità non serve solo ad entrare in rapporto con i migranti, ma anche con noi stessi, perché tutti quanti viviamo alla frontiera di più culture, tant'è vero che l'insieme delle componenti  identitarie viene definito da Duccio Demetrio "arcipelago identitario".

Alle persone religiose LGBTQI si applica in modo particolare la frase di Maalouf:
In ogni uomo e donna si incontrano molteplici appartenenze, che a volte si contrappongono tra loro e lo costringono a scelte penose.
Ma queste appartenenze non le dispensano dal creare un'identità unitaria, e lo strumento da usare è la narrazione autobiografica: ogni persona racconta in continuazione a se stessa ed agli altri chi è, e narrando non descrive solo se stessa, ma crea anche se stessa.

Su questo si innestano le teorie queer: quando Judith Butler sostiene che il genere è una norma che deve essere citata per creare il soggetto e renderlo intelliggibile a se stesso, vuol dire che il genere deve far parte dell'autobiografia dell'individuo; si può citarlo in modo non standard, per forzare le regole, ma non si può ometterlo né sceglierlo arbitrariamente.

La persona religiosa LGBTQI ha un compito molto difficile, a cui si aggiunge il fatto che molte persone che usano proficuamente l'interculturalità per entrare in rapporto con i migranti si dimenticano di usarla per entrare in rapporto con loro, ed applicano invece a loro la logica amico-nemico.

Potrei aggiungere questa considerazione sull'identità: ci sono due concezioni principali di essa, l'essenzialismo ed il costruttivismo.

Per l'essenzialista, l'identità è ciò che una persona è e non può fare a meno di essere. Questa concezione descrive molto bene le persone che mettono in grande risalto (o sono costrette a mettere in risalto) caratteristiche che non possono cambiare (come la razza), o possono cambiare solo con grande difficoltà (il sesso, la religione, la cittadinanza, l'etnia), ma è sempre meno adeguata ad un'epoca come la nostra in cui le persone hanno accesso a stimoli culturali e rapporti sociali molto più variegati che in passato.

Per il costruttivista, l'identità non è un prodotto, ma un processo; la persona non scopre la propria identità con il tempo (come vuole l'essenzialista), ma la costruisce entrando in relazione, con le persone e gli elementi culturali che ha a disposizione, e subendo i vincoli ed i limiti che incombono su un essere umano nato in un luogo e tempo storico.

L'interculturalità e le teorie queer si basano sul costruttivismo; e se nel creare la propria identità non contano solo gli ingredienti che si hanno a disposizione, ma anche e soprattutto come vengono lavorati, non ha senso giudicare una persona solo dagli elementi identitari che ha scelto o che ha ricevuto in retaggio - è un errore che non farebbe un buongustaio il giudicare un piatto solo dalla lista degli ingredienti, senza conoscerne dosi e modalità di preparazione.

Non tutti purtroppo se ne rendono conto, e si sentono perciò autorizzati a discriminare le persone che hanno degli elementi identitari a loro sgraditi; il divieto di divulgare "dati sensibili" ha anche questa giustificazione - impedire alle persone di ragionare in modo essenzialista quando la persona va invece valutata in modo costruttivo.

Mi sono sentito rinfacciare il non aver detto che faccio parte di un gruppo LGBT cattolico (sebbene fosse cosa assai nota) - e questa è la mia ragionata risposta. Potete immaginare quella istintiva.

Raffaele Ladu

La performatività del genere spiegata ai mici


C’è una dottoranda di nome Hannah McCann, cofondatrice del Judith Butler Fan Club, che ama sia i gatti che le teorie queer (il motto del blog è “Tutto quello che avreste voluto sapere sul genere ma avevate troppa fifa di chiedere”), ed ha realizzato il “fotoromanzo” che ho linkato sopra e riprodotto sotto, in cui Judith Butler spiega la “performatività” del genere dialogando con dei mici.

Le parole della Butler sono montaggi di citazioni del suo libro Gender Trouble (pubblicato in italiano con il titolo Scambi di genere), ed infatti sul petto della Butler vedete scritti i numeri di pagina da cui ogni citazione è tratta; le parole dei mici sono invece tutte farina del sacco dell’autrice del blog.

Io non sono bravo ad usare Photoshop, e quindi mi limito a tradurre i dialoghi (in calce al “fotoromanzo”) indicando a quale vignetta si riferiscono (l’autrice mi ha facilitato il lavoro numerando ogni vignetta); poiché sono io a tradurre, la mia traduzione può non corrispondere a quella dell’edizione italiana. Spero che questo non vi faccia danno.

Buona lettura e ciao, RL

Traduzione

  1. Leggere Judith Butler mi fa male al cervello. Che diavolo significa “performatività”?
  2. T’aiuto. Fammi partire dall’inizio.
  3. Allora, non c’è alcuna “’verità’ intrinseca” nell’identità di genere, perché il sesso “è già genere, sempre”.
  4. Già "all’inizio", non ti capisco. Perché non c’è un’essenza intrinseca nell’identità di genere?
  5. Perché il genere è il risultato della ripetizione di “stili della carne” che “si coagulano con il tempo”. Questo processo ci fa credere che ci sia una verità intrinseca naturale. “La costruzione ci forza a credere che essa sia necessaria e naturale”.
  6. Il genere si coagula.
  7. Fammi capire: se non c’è un’essenza intrinseca del genere, com’è che il sesso è già genere? Non abbiamo parti femminili e parti maschili, e questo è un fatto scientifico?
  8. Questa non è altro che la “matrice eterosessuale”.
  9. (il gatto tace, e l’immagine palesa quello che pensa)
  10. Beh, non è proprio così.
  11. Sto parlando di una “griglia di intelligibilità culturale” in cui sesso, genere e desiderio sono mantenuti in una dicotomia eterosessuale (ovvero, una struttura coerente in cui sesso -> genere -> desiderio dell’opposto).
  12. Come la griglia del film “Tron”?
  13. Beh … in questa griglia, la “coerenza” e la “continuità” di sesso, genere e desiderio sono le “norme d’intelligibilità”.
  14. E dacchè questa struttura si ripete, noi finiamo con il vederla come naturale. Ti ricordi il coagularsi? Questa è la performatività del genere: “anticipazione”, “ripetizione” e “rituale”. Il genere è un fare, non un essere.
  15. Ma allora, con il genere io devo solo ripetere, ripetere e ripetere con la monotonia della lavandaia?
  16. Attento! Guarda, bello mio, dove hai messo l’io: non c’è nessun autore dietro l’azione.
  17. Cosa?
  18. Il genere è performativo in quanto è produttivo. L’identità è un effetto (un prodotto) anziché una causa. “Non è né fatalmente determinata né del tutto artificiale ed arbitraria”. Non è teatrale.
  19. Ma, se non intendi la performatività come teatrale, perché usi l’esempio del drag nel capitolo 3?
  20. Ho semplicemente usato il drag come un esempio di parodia dell’identità di genere, una parodia “proprio della nozione di originale”. Non la prescrivo come una tattica sovversiva.
  21. Non so che dire, JB. Potremo mai rovesciare l’egemonia che descrivi?
  22. Non la possiamo rovesciare, ma quello che ho descritto è intrinsecamente aperto alla trasformazione.
  23. “La ‘realtà’ del genere … può essere fatta in modo diverso, e, davvero, meno violento”.
  24. “Continuo a sperare in una coalizione di minoranze sessuali che trascendano le semplici categorie dell’identità … che contrastino e dissipino la violenza imposta da restrittive norme corporali”.
  25. Grandioso!

La performatività del genere

Circolano molte idee sbagliate sulle “teorie queer”, sbrigativamente ribattezzate “ideologia del genere”, alle quali si attribuisce la credenza secondo cui il genere è una cosa puramente arbitraria.

Tenendo in mente questo, fa particolarmente male leggere articoli come questo:
  • Judith Butler, “Critically Queer”, in GLQ: A Journal of Lesbian and Gay Studies, Volume 1, no. 1. Copyright 1993, Duke University Press 
Di cui traduco un brano così come ripubblicato nel libro:
Alle pagine 22-24 (i corsivi sono dell'autrice).

La performatività del genere ed il drag

Come si legano (se si legano) le nozioni di resignificazione discorsiva e quella di parodia od impersonazione del genere? Se il genere è un effetto mimetico, è perciò una scelta od un artificio di cui ci si può disfare? Se non è così, come è emersa questa lettura di Gender Trouble = Scambi di genere? Ci sono almeno due ragioni per quest’incomprensione, una delle quali è opera mia dacché ho citato il drag come un esempio di performatività (preso allora, da alcuni, come esemplare, cioè l’esempio della performatività), ed un’altra che ha a che fare con le esigenze politiche di un crescente movimento queer in cui la pubblicizzazione della capacità di agire in modo teatrale è diventata assai centrale [6].
L’incomprensione della performatività del genere è questa: che il genere è una scelta, o che il genere è un ruolo, o che il genere è una costruzione che uno indossa, così come indossa gli abiti la mattina, che c’è un “uno” che viene prima del genere, un uno che va all’armadio del genere e decide consapevolmente di che genere sarà oggi. Questa è una descrizione volontarista del genere che presume un soggetto, intatto, prima che gli venga attribuito un genere. Il senso di performatività del genere che intendevo era ben altra cosa.

Il genere è performativo nella misura in cui è l’effetto di un regime di regolazione delle differenze di genere in cui i generi sono divisi e gerarchizzati sotto costrizione. Le costrizioni sociali, i tabù, le proibizioni, le minacce di punizione operano nella ripetizione ritualizzata delle norme, e questa ripetizione costituisce la scena temporalizzata della costruzione e della destabilizzazione del genere. Non c’è un soggetto che precede od attua questa ripetizione delle norme. Nella misura in cui questa ripetizione crea un effetto di uniformità del genere, un effetto stabile di mascolinità o femminilità, essa egualmente produce e destabilizza la nozione del soggetto, poiché il soggetto diviene intelligibile solo attraverso la matrice del genere. In verità, uno potrebbe interpretare la ripetizione proprio come ciò che confuta il concetto di padronanza volontaristica designata dal soggetto nella lingua [7].

Non esiste un soggetto che sia “libero” di star fuori da queste norme, o di negoziarle standone fuori; al contrario, il soggetto viene retroattivamente prodotto da queste norme nella loro ripetizione, proprio come loro effetto. Quella che potremmo chiamare “capacità di agire”, “libertà” o “possibilità” è sempre una prerogativa politica specifica che è prodotta dai varchi lasciati aperti dalle norme regolatrici, nel lavoro di interpellazione di tali norme, nel processo della loro autoripetizione. Libertà, possibilità, capacità di agire non hanno uno status astratto o presociale, ma sono sempre negoziate all’interno di una matrice di potere.

La performatività del genere non è una questione di scegliere di che genere uno sarà oggi. La performatività è una questione di reiterare o ripetere le norme che costituiscono una persona: non è la fabbricazione radicale di un sé dotato di genere. È una ripetizione obbligatoria di norme a priori e soggettivanti, di cui non ci si può sbarazzare a volontà, ma che operano, animano e costringono il soggetto dotato di genere, e che sono anche le risorse da cui si devono forgiare resistenza, sovversione e piazzamento. La pratica con cui si verifica il genere, l’incarnazione delle norme, è una pratica obbligatoria, una produzione forzata, ma non per questo completamente determinante. Nella misura in cui il genere è un compito, è un compito che non è mai adempiuto completamente secondo le aspettative, un compito il cui destinatario non abita mai alla perfezione l’ideale a cui ella od egli è obbligata/o ad approssimarsi.

Quest’incapacità di approssimarsi alla norma, però, non è la stessa cosa del sovvertire la norma. Non c’è alcuna promessa che la sovversione seguirà dalla reiterazione delle norme costituenti; non c’è garanzia che esporre lo stato naturalizzato dell’eterosessualità porterà alla sua sovversione. L’eterosessualità può aumentare la sua egemonia attraverso la sua denaturalizzazione, come quando vediamo delle parodie denaturalizzanti che reidealizzano le norme eterosessuali senza metterle in discussione. Ma talvolta proprio il termine che dovrebbe annichilirci diventa il luogo della resistenza, la possibilità di un significato politico e sociale abilitante: penso che lo abbiamo visto assai chiaramente nella stupefacente trasvalutazione che ha subìto il termine “queer”: Questa per me è l’attuazione di una proibizione e di una degradazione contro se stesse, la germinazione di un diverso ordine dei valori, di un’affermazione politica da ed attraverso proprio quel termine che in un precedente uso aveva per obiettivo finale lo sradicamento proprio di quest’affermazione.

Può sembrare comunque che si sia una differenza tra l’incarnare od eseguire le norme di genere e l’uso performativo del linguaggio. Sono questi due diversi significati di “performatività”, oppure convergono come modi di citazione in cui il carattere obbligatorio di alcuni imperativi sociali viene assoggettato ad una deregolamentazione più promettente? Le norme di genere operano richiedendo di incarnare certi ideali di femminilità e mascolinità, i quali sono praticamente sempre legati all’idealizzazione del legame eterosessuale. In questo senso, il performativo iniziale: “È una bambina!” anticipa l’arrivo finale della proclamazione: “Vi dichiaro marito e moglie”. Da qui viene anche la particolare squisitezza della vignetta in cui l’infante viene per la prima volta interpellata dicendo di lei: “È una lesbica!”. Anziché essere una barzelletta essenzialista, l’appropriazione queer del performativo scimmiotta e smaschera sia il potere vincolante della norma eterosessuale, che la sua espropriabilità.

Nella misura che il dare un nome alla “bambina” è transitivo, ovvero, inizia il processo per cui viene forzata una certa “bambinazione” [girling], il termine, o, semmai, il suo potere simbolico, governa la formazione di una femminilità attuata corporalmente, che non si approssima mai completamente alla norma. Questa è però una “bambina”, che è obbligata a “citare” la norma per qualificarsi e restare un soggetto valido [viable]. La femminilità quindi non è il prodotto di una scelta, ma la citazione forzata di una norma, una norma la cui complessa storicità non può essere dissociata da relazioni di disciplina, regolazione, punizione. Infatti, non esiste “uno” che assume una norma di genere. Al contrario, la citazione della norma di genere è necessaria per qualificarsi come “uno”, per diventare valido come “uno”, dove la formazione del soggetto dipende dal previo operare di norme di genere legittimanti.

È nei termini di una norma che impone una certa “citazione” perché si produca un soggetto valido, che bisogna ripensare la nozione di performatività del genere. Ed è precisamente in relazione a tale citazionalità obbligatoria che si deve spiegare anche la teatralità del genere. La teatralità non si deve mescolare con l’esibizione di sé o la creazione di sé. Infatti, nella politica queer, nel vero significato che è “queer”, noi leggiamo una pratica resignificante in cui il potere desanzionante del nome “queer” è rovesciato per sanzionare una contestazione dei termini della legittimazione sessuale. Paradossalmente, ma in modo anche assai promettente, il soggetto che viene “queerizzato” nel discorso pubblico con interpellazioni omofobe di vario genere si appropria proprio di questo termine [“queer”] o lo cita facendone la base discorsiva di un’opposizione. Questo tipo di citazione emergerà come teatrale nella misura in cui scimmiotta ed esagera la convenzione del discorso che inoltre rovescia. Il gesto iperbolico è cruciale per lo smascheramento della “norma” omofobica che non può più controllare i termini delle sue stesse strategie di abiezione.

Contrapporre il teatrale al politico all’interno dell’attuale politica queer, io direi, è impossibile: l’iperbolica esecuzione della morte nei “die-in” [manifestazioni in cui ci si getta a terra come morti, NdR], e l’”esplicitazione” teatrale con cui l’attivismo queer ha sabotato la distinzione ghettizzante [closeting] tra spazi pubblici e privati, hanno fatto proliferare dei siti di politicizzazione e coscienza del pericolo AIDS in tutta la sfera pubblica. Infatti, si potrebbe raccontare un bel ciclo di storie in cui è in gioco la crescente politicizzazione della teatralità per i queer (una cosa ben più produttiva, penso io, dell’insistere che nell’essere queer [queerness] i due sono opposti polari). Questa storia potrebbe includere tradizioni di cross-dressing, balli drag, prostituzione in strada [streetwalking], spettacoli di camioniste con femmine [butch-femme spectacles], lo slittamento tra la “marcia” (New York City) e la “parata” (San Francisco); i die-in di ACT UP, i kiss-in di Queer Nation, le serate in drag per l’AIDS (in cui inserirei anche quelle di Lypinska e di Liza Minelli, in cui ella, alla fine, fa Judy) [8]; la convergenza del lavoro teatrale con l’attivismo teatrale [9]; eseguire eccessiva sessualità lesbica che in modo efficace contrasta la desessualizzazione della lesbica, interruzioni tattiche di forum pubblici da parte di attivisti lesbiche e gay per attrarre l’attenzione e l’indignazione del pubblico all’incapacità del governo di finanziare la ricerca sull’AIDS ed il raggiungere chi ne soffre.

La crescente teatralizzazione dell'ira politica in risposta alla micidiale disattenzione dei politici sulla questione dell'AIDS è allegorizzata nella ricontestualizzazione di "queer", da suo luogo all'interno  di una strategia omofobia di abiezione ed annichilimento ad un'insistente e pubblica cesura di quest'interpellazione dall'effetto della vergogna. Nella misura in cui la vergogna è prodotto dello stigma non solo dell'AIDS, ma anche dell'essere "queer" [queerness], ove quest'ultima cosa è compresa attraverso una causalità omofoba come la "causa" e la "manifestazione" della malattia, l'ira teatrale è parte della resistenza pubblica a quest'interpellazione della vergogna. Mobilitata dalle ferite dell'omofobia, l'ira teatrale reitera queste ferite proprio attraverso un "acting out", uno che non si limita a ripetere od a recitare tali ferite, ma che impiega un'iperbolica manifestazione della morte e delle ferite per travolgere la resistenza epistemica all'AIDS ed alla sfrontatezza della sofferenza, od un'iperbolica manifestazione di baci per infrangere l'epistemica cecità ad un'omosessualità sempre più sfrontata e pubblica.

Note

[6] La teatralità non è per questo completamente intenzionale, ma avrei potuto rendere questa lettura possibile riferendomi al genere come "intenzionale e non-referenziale" in "Performative Acts and Gender Constitution = Atti performativi e costituzione del genere". Uso il termine "intenzionale" in uno specifico significato fenomenologico. "Intenzionalità" in fenomenologia non significa volontario o deliberato, ma, semmai, è un modo di caratterizzare la coscienza (od il linguaggio) come avente un oggetto, più specificamente, come diretta verso un oggetto che può o non può esistere. In questo senso, un atto di coscienza può intendere (presumere, costituire, percepire) un oggetto immaginario. Il genere, nella sua idealità, può essere inteso come un oggetto intenzionale, un ideale che è costituito ma che non esiste. In questo senso, il genere sarebbe come il "femminino", discusso da Cornell come una cosa impossibile in Beyond Accomodation.

[7] In questo senso, uno potrebbe utilmente interpretare la ripetizione performativa delle norme come l'operazione culturale della ripetizione-compulsione nel senso di Freud. Questa sarebbe una ripetizione non al servizio della padronanza del piacere, ma come quella che ne distrugge completamente la padronanza. È stato in questo senso che Lacan ne I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi argomenta che la ripetizione segna il fallimento della soggettivazione: quello che si ripete nel soggetto è proprio quello che non si padroneggia o non si può padroneggiare.

[8] Vedi Román [Román, David. "It's My Party and I'll Die If I Want To!": Gay Men, AIDS and the Circulation of Camp in U.S. Theatre." Theatre Journal 44 (1992): 305-27 - dalla bibliografia in calce all'articolo, NdR]
[9] Vedi Kramer; Crimp and Rolston; e Sadownick. I miei ringraziamenti a David Román per avermi indicato quest'ultimo saggio. [Seguono i riferimenti bibliografici - NdR]
  • Kramer = Kramer, Larry, Reports from the Holocaust: The Making of an AIDS Activist. New York: St. Martin's Press, 1989
  • Crimp and Rolston = Crimp, Douglas, and Adam Rolston, eds. AIDS DemoGraphics. Seattle: Bay Press, 1990
  • Sadownick = Sadownick, Doug: "ACT UP Makes a Spectacle of AIDS." High Performance 13.1, no. 49 (1990): 26-31.
Mi dovete scusare per l’astrusità del testo, ma non si può semplificare più di tanto un testo americano quando lo si traduce in italiano.

Come vedete, gli omofobi non leggono i teorici che vogliono confutare, bensì le persone che vogliono ingraziarsi; e quando queste ultime commettono un errore, non sono capaci di accorgersene e lo fanno proprio per decenni. L’articolo della Butler era stato pubblicato la prima volta nel 1993, eppure queste panzane continuano a circolare dopo vent’anni.

Un paio di esempi li ho citati qui:


e sono:
  • I difensori della teoria del genere sostengono l'idea che, prima di essere uomini o donne, noi siamo esseri umani. Si tratta di un sofisma illusorio e accondiscendente, dato che l'essere umano in sé non esiste. Incontriamo infatti persone umane che sono o uomini o donne. Non esistono d'altro canto altre identità oltre a queste (da p. 61 del libro ivi stroncato).
  • La teoria del genere afferma che non esiste una natura umana poiché l’essere umano sarebbe unicamente un risultato della cultura. Essa cerca di dimostrare che la mascolinità e la femminilità non sono che costruzioni sociali, dipendenti dal contesto culturale di ogni periodo (da p. 36 del libro ivi stroncato). 
A parte la curiosa contraddizione tra i due brani del medesimo autore (nel primo è scritto che “l’essere umano in sé non esiste”, nel secondo si condanna l’affermazione che “non esiste una natura umana”), il primo esempio viene facilmente confutato dal confronto con codesto articolo; il secondo, non solo da quest’articolo, ma anche dal capitolo del libro “Undoing Gender = La disfatta del genere” in cui nel 2004 Judith Butler ricorda la storia di David Reimer, nato maschio, castrato accidentalmente da piccolo, e che si tentò di trasformare in una femmina, con risultati tanto catastrofici da portarlo al suicidio – la Butler ammette che casi come questo confermano che il genere non è disincarnato.

E qui mi sovviene una storiella del Talmud, in cui (bBaba Mezi'a 84a) si racconta la triste storia (probabilmente inventata, anche se i due protagonisti sono storici - vedi anche le pp. 114-116 di Rabbinic Stories / Edited by Jeffrey L. Rubenstein) di rav Yohanan e Resh Lakish, vissuti nel 3° Secolo DC; il loro rapporto era con ogni probabilità omoerotico (nessun Talmid Haham se ne scandalizza, e Daniel Boyarin ne approfitta anzi per dire qui che l'omofobia non è intrinseca all'ebraismo, ma è nata per imitazione servile del cristianesimo), e lo rinsaldarono non andando a letto insieme (cosa assolutamente vietata), ma sposando Resh Lakish la sorella di Yohanan.

Resh Lakish era un brigante, ma per amore di Yohanan divenne uno studioso della Torah al pari di lui - sono considerati i due giganti della 2^ generazione degli amorei; quando purtroppo i due litigarono tanto aspramente che Resh Lakish ne morì di dolore, ad Yohanan diedero come compagno di studi Eliezer ben Pedat.

Questi si è fatto un nome tra gli amorei, ma ad Yohanan non piaceva, ed un giorno questi disse che rimpiangeva Resh Lakish, perché ogni volta che Yohanan diceva una cosa, Resh Lakish trovava 24 obiezioni a quello che diceva.

Ed Yohanan si arrabbiava? Nient'affatto, perché era stimolato a ribattere con 24 risposte, ed alla fine tutti e due avevano capito meglio il punto in questione.

Invece Eliezer ben Pedat, quando Yohanan diceva qualcosa, gli trovava una pezza d'appoggio. Ed ad Yohanan questo piaceva? No, perché la pezza d'appoggio la conosceva già, Eliezer non gli faceva un favore, ed anzi Yohanan si chiedeva se Eliezer non stesse insinuando che lui non sapeva quello che diceva.

Gli omofobi si comportano come Eliezer ben Pedat, e non hanno uno Yohanan che li rimetta al loro posto.

Raffaele Ladu

Arcigay risponde al giovane Davide

Arcigay a Davide, coraggio siamo fortunati a essere gay
Caro Davide, oggi sono stato ai funerali di Don Andrea Gallo a Genova. Don Andrea era un uomo che con infinita saggezza ha saputo unire la sua fede e il suo ruolo all’interno della Chiesa a una conoscenza e comprensione profonda del mondo e di tutti gli uomini. Don Gallo diceva “L’amore è un dono di Dio. Quando c’è l’amore non ci può essere niente di sbagliato, quindi rispettate i gay, gli eterosessuali e i trans”. 

Queste parole sono agli esatti antipodi del suicidio avvenuto a Parigi, lo scrittore che odiava gli omosessuali è stato lui stesso vittima di questa follia maligna che chiamiamo omofobia e che ha finito per divorare uno dei suoi divulgatori. Non c’è nulla di sbagliato in te, né c’è in te nulla da riparare, come vorrebbero farti credere tanti falsi terapeuti, subdoli divulgatori dello stesso odio del suicida francese. 

Caro Davide, sei stato fortunato a nascere gay. Così come sono fortunate tutte le persone omosessuali, bisessuali e trans, tutte portatrici di una diversità rispetto alla maggioranza che arricchisce e rende migliore la società in cui viviamo. E di questo devi essere orgoglioso. La nostra sfortuna sta semmai nel vivere in un paese che si rifiuta di capire la bellezza dell’amore anche quando questo amore è fra due uomini o due donne. Ti posso però dare una buona notizia, nonostante vaste sacche di intolleranza l’Italia è molto meglio di quanto possa sembrare: certamente più accogliente e inclusiva di dieci o venti anni fa. 

A restare ostinatamente sorda e ottusa è solo la classe politica che ci governa. Una classe politica incapace di vedere il carico di sofferenza che tu hai messo nella tua lettera, la stessa sofferenza di milioni di altre persone in questo paese, e che verrebbe attenuata se solo si percepissero segnali concreti da parte delle istituzioni. Una legge contro l’omofobia e una azione culturale e sociale adeguata contro le discriminazioni non è chiedere la luna, ma è cercare di portare anche il nostro paese fra i paesi civili. Su una cosa ti sbagli. Non devi chiedere commiserazione o carità cristiana. 

Devi esigere a gran voce dignità e rispetto. E uguaglianza nei diritti. A cominciare dal diritto di sposare la persona che ami e con cui vuoi vivere per la vita. Anche facendo nascere o crescere dei figli, perché ne hai la capacità, non meno di quanto ce l’abbiano le persone eterosessuali. Caro Davide, devi essere fiero di ciò che sei, ti auguro di trovare in te stesso la forza per urlarlo al mondo, e per reclamare i tuoi diritti a viso aperto e a testa alta. Sappi che non sei solo in questa lotta per un mondo migliore, che renderà più felice la tua vita e la vita di milioni di gay, lesbiche e trans italiani. 

Flavio Romani Presidente Arcigay – Associazione LGBT italiana

Laura Boldrini: Caro Davide, non ti lasceremo solo.

Laura Boldrini, presidente della camera, risponde al giovane Davide Tancredi, il 17enne gay che ha scritto a Repubblica.

Caro Davide, non ti lasceremo solo. L'omofobia diventerà presto un reato
di LAURA BOLDRINI*

Caro Davide, questa lettera te l'avrei scritta comunque, anche se non fossi presidente della Camera. Ho una figlia poco più grande di te, e t'avrei scritto come madre, turbata nel profondo dal tuo grido d'allarme, dalla solitudine in cui vivi, dal peso schiacciante che devi sopportare perché "non a tutti è data la fortuna di nascere eterosessuali". Scrivo a te per stabilire un contatto, e sento il dolore di non poter più fare lo stesso con una ragazza di cui stanno parlando in queste ore i giornali. La storia di Carolina fa male al cuore e alla coscienza: ha deciso di farla finita, a 14 anni, per sottrarsi alle umiliazioni che un gruppo di piccoli maschi le aveva inflitto per settimane sui social media. E consola davvero troppo poco apprendere che ora questi ragazzini dovranno rispondere alla giustizia della loro ferocia. 

Vi metto insieme, Davide, perché tu e Carolina parlate a noi genitori e ad un Paese che troppo spesso non sa ascoltare. Tu lo hai fatto, per fortuna, con le parole affilate della tua lettera. Lei lo ha fatto saltando giù dal terzo piano. Ma descrivete entrambi una società che non sa proteggere i suoi figli. Non sa proteggerli perché oppressa dal conformismo, incapace di concepire la diversità come una ricchezza per tutti e disorientata di fronte ai cambiamenti. Una società in cui - ancora nel 2013, incredibilmente - tu sei costrettoa ricordare che "noi non siamo demoni, né siamo stati toccati dal Demonio mentre eravamo in fasce". A te sono bastati i tuoi pochi anni per capire che "non c'è nessun orrore ad essere quello che si è, il vero difetto è vivere fingendosi diversi". Una società che non sa proteggere i suoi ragazzi dalle violenze, vecchie e insieme nuove, come quella che ha piegato Carolina: lo squallido bullismo maschile antico di secoli, che oggi si ammanta di modernità tecnologica e con due semplici click può devastare la vita di una ragazza in modo cento volte più tremendo di quanto sapessero fare un tempo, quando io avevo la tua età, i più grevi pettegolezzi di paese. 

Ti ringrazio, Davide, perché hai avuto il coraggio di chiamarci in causa, di mettere noi adulti di fronte alle nostre responsabilità. Le mie sono sì quelle di madre, ma ora soprattutto di rappresentante delle istituzioni. E ti assicuro che le tue parole ce le ricorderemo: non finiranno impastate nel tritacarne quotidiano, che ci fa sussultare di emozione per qualche minuto, e poi ci riconsegna all'indifferenza. Il compito del nostro Parlamento lo hai descritto bene tu, che pure hai molti anni in meno dell'età richiesta per entrarci: "Un Paese che si dice civile non può abbandonare dei pezzi di sé. Non può permettersi di vivere senza una legge contro l'omofobia, un male che spinge molti ragazzi a togliersi la vita". L'altro giorno, in un incontro pubblico contro la discriminazione sessuale, ho sentito ricordare il ragazzo che amava portare i pantaloni rosa, e che oggi non c'è più. A lui, a te, le nostre Camere devono questo atto di civiltà, e spero davvero che la legislatura appena iniziata possa presto sdebitarsi con voi.

Così come ritengo che sia urgente trovare il modo per crescere insieme nell'uso dei nuovi media. Le loro potenzialità sono straordinarie, possono essere e spesso sono poderosi strumenti di libertà, di emancipazione, di arricchimento culturale, di socializzazione. Ma se qualcuno li usa per far male, per sfregiare, per violentare, non possiamo chiudere gli occhi. Il problema, in questo caso, non è quello di varare nuove leggi: gli strumenti per perseguire i reati ci sono e vanno usati anche incrementando, se necessario, la cooperazione tra Stati. Ma sarebbe ipocrita non vedere la grande questione culturale che storie drammatiche come quella di Carolina ci pongono: i nostri ragazzi, al di là della loro invidiabile abilità tecnologica, fino a che punto sono consapevoli dei danni di un uso distorto dei social media? E noi adulti - le famiglie e la scuola - siamo in grado di portare dei contributi per una gestione più responsabile di questi strumenti? Vorrei che ne ragionassimo anche nei luoghi istituzionali della politica.

Hai chiesto di essere ascoltato, Davide. Se ti va, mi farebbe piacere incontrarti nei prossimi giorni alla Camera, per parlare di quello che stiamo cercando di fare. A Carolina non posso dirlo, purtroppo, ma vorrei egualmente conoscere i suoi familiari. Per condividere un po' della loro sofferenza, e perché altre famiglie la possano evitare.
(l'autrice è presidente della Camera)

Leggi la lettera di Davide

La Repubblica: Io, gay a 17 anni chiedo solo di esistere

CARO direttore, questa lettera è, forse, la mia unica alternativa al suicidio. Ciò che mi ha spinto a scrivere è la notizia di un gesto avvenuto nella cattedrale parigina. Un uomo, un esponente di destra, si è tolto la vita in modo eclatante sugli scalini della famosa chiesa per manifestare il proprio disappunto contro la legge per i matrimoni gay deliberata dall'Assemblea Nazionale francese.Nonostante gli insegnamenti dalla morale cristiana, io ritengo che il suicidio sia un gesto rispettabile: una persona che arriva a privarsi del bene più prezioso in nome di una cosa in cui crede, merita molta stima e riguardo; ma neppure questa considerazione riesce a posizionare sotto una luce favorevole quello che mi appare come il gesto vano di un folle. La vita degli altri continua anche dopo la fine della nostra. Siamo destinati a scomparire, anche se abbiamo riscritto i libri di storia. Morire per opporsi all'evolversi di una società che tenta di diventare più civile è ottusità e evidente sopravvalutazione delle proprie forze.Il Parlamento italiano riscontrando l'epico passo del suo omologo d'oltralpe ha subito dichiarato di mettersi in linea per i diritti di tutti. Una promessa ben più vana del gesto di un folle. Tutti sappiamo come il nostro Paese sia l'ultimo della classe e che non ci tenga ad apparire come il più progressista. Si accontenta di imitare o, peggio ancora, finge di farlo. La cultura italiana rabbrividisce al pensiero che
due persone dello stesso sesso possano amarsi: perché è contro natura, perché è contro i precetti religiosi o semplicemente perché è odio abbastanza stupido da poter essere italiano. Spesso ci si dimentica che il riconoscimento dei matrimoni omosessuali non significa necessariamente affidare a una coppia "anormale" dei bambini ma permettere a due individui che si vogliono bene di amarsi. In questo consiste il matrimonio, soprattutto nella mentalità cattolica. E allora perché quest'ostinata battaglia?Io sono gay, ho 17 anni e questa lettera è la mia ultima alternativa al suicidio in una società troglodita, in un mondo che non mi accetta sebbene io sia nato così. Il vero coraggio non è suicidarsi alla soglia degli ottanta anni ma sopravvivere all'adolescenza con un peso del genere, con la consapevolezza di non aver fatto nulla di sbagliato se non seguire i propri sentimenti, senza vizi o depravazioni. Non a tutti è data la fortuna di nascere eterosessuali. Se ci fosse un po' meno discriminazione e un po' più di commiserazione o carità cristiana, tutti coloro che odiano smetterebbero di farlo perché loro, per qualche sconosciuta e ingiusta volontà divina, sono stati fortunati. Io non chiedo che il Parlamento si decida a redigere una legge per i matrimoni gay  -  non sono così sconsiderato  -  chiedo solo di essere ascoltato.Un Paese che si dice civile non può abbandonare dei pezzi di sé. Non può permettersi di vivere senza una legge contro l'omofobia, un male che spinge molti ragazzi a togliersi la vita per ritrovare quella libertà che hanno perduto nel momento in cui hanno respirato per la prima volta. Non c'è nessun orrore ad essere quello che si è, il vero difetto è vivere fingendosi diversi. Noi non siamo demoni, né siamo stati toccati dal Demonio mentre eravamo in fasce, siamo solo sfortunati partecipi di un destino volubile. Ma orgogliosi di esserlo. Chiediamo solo di esistere.

DAVIDE TANCREDI

Lettera mandata al direttore de LA REPUBBLICA

Arcigay. Quirinale. Grande amarezza. Partito democratico incapace di interpretare il cambiamento


Arcigay. Quirinale. Grande amarezza. Partito democratico incapace di interpretare il cambiamento E’ grande l’amarezza per il risultato delle elezioni del Presidente della Repubblica. Stefano Rodotà esprimeva il meglio a cui si potesse aspirare per laicità, competenza, modernità di pensiero. L’infantilismo politico e regie occulte inconfessabili hanno prodotto il disastro che sta sotto gli occhi di tutti. E la responsabilità di questo disastro va tutta al Partito Democratico. Un partito in preda a un incredibile cupio dissolvi che lo ha portato a buttare via una delle personalità piú di pregio che veniva dalle sue stesse fila. E’ lo stesso partito che ci prometteva Pacs, Dico, Cus e poi nulla. E’ lo stesso partito che, non ascoltandoci, si faceva affossare una sua propposta di legge contro l’omofobia per incostituzionalità. E’ lo stesso partito che ci ha regalato i veti al matrimonio tra persone dello stesso sesso dei vari Binetti, Bindi, Fioroni, D’Alema e altri. Chiedevamo un cambio di rotta, non una retromarcia. A Giorgio Napolitano, comunque sia, esprimiamo i nostri migliori auguri per il suo mandato.

 Flavio Romani, presidente Arcigay

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