E' uscito il numero zero di AGORA' - Nov 2010 Genn 2011

E' uscito il numero zero di AGORA' il Trimestrale del MILK - Verona Lgbt Community Center.
In questo Numero il programma di tutti gli appuntamenti e le iniziative al Milk Center da novembre 2010 e gennaio 2011.


- Cene e aperitivi al Milk


- L'attività dei gruppi e i corsi al Milk Center


- Gruppo donne "Le stelle vaganti"


- Antivirus Project: Lo spettacolo Teatrale al Camploy


- HIV: Gasp! e Sialon

- HIV: Best - Seminario sulla preparazione alle terapie



- Cinema LGBTQ al Milk Center


- Oberon: "The Library of the Faires" : Archivio/Biblioteca/Mediateca/Milkcenter


- Sportello Migranti LGBT


E' possibile ritirare AGORA' presso il MILK- Verona LGBT Community Center
Via A. Nichesola, 9 Verona (San Michele Extra)



INFO: 346.9790553 - 349.3134582
http://www.milkverona.it/

AGORA' è disponibile anche online, scaricabile in formato PDF ::Clicca qui::
Articolo pubblicato anche su Arcigayverona

Uno spunto da Stone Butch Blues / Leslie Feinberg


  • Stone Butch Blues / Leslie Feinberg - Milano : Il dito e la luna, 2004 - 362 p. ; 21 cm - Officine t, parole in corso ; 1 (( Trad. a cura di Margherita Giacobino e Davide Tolu )). – ISBN – 9788886633307

Non recensisco ancora il libro, perché delle sue 362 pagine ne ho lette finora solo 109; devo però dire che mi ha colpito moltissimo.

E' drammatico come l'Iliade, ed è quasi più educativo come lettura, perché l'Iliade mostra l'eroismo di cui sono capaci i maschietti, all'occorrenza; ma Stone Butch Blues mostra l'eroismo di cui hanno sempre bisogno tutte le donne indistintamente per sopravvivere. Se uno pensa che le donne siano deboli, questo libro lo smentisce già dalla seconda pagina.


Ci sono momenti erotici o semplicemente leggeri, ma sono quel tanto che basta per impedire al lettore di chiudere il libro per la disperazione, ed ai personaggi di farla finita. E' così la loro vita, purtroppo; può apparire blasfemo il paragone, ma mi ricorda una frase di Santa Teresa d'Avila, che avvertiva che chi veniva chiamato all'ascesi mistica poteva aspettarsi di ricevere da Dio solo il minimo indispensabile di consolazioni per tirare avanti in mezzo a grandi prove e sofferenze.


E' una vera vocazione quella dei personaggi del romanzo, che si manifesta in tenera età, e che non cade di fronte alle prove più dure - impersonate da poliziotti relegati al penultimo gradino della scala sociale, e che si sfogano vigliaccamente su persone ancora più svantaggiate di loro, guarda caso, le donne lesbiche e transgender.


Lo spunto che volevo trarre dal libro era questo: secondo vari siti americani, come
  1. http://lesbianlife.about.com/od/lesbiansex/g/StoneButch.htm
  2. http://en.wikipedia.org/wiki/Stone_butch
"stone butch" non è semplicemente la "camionista dalla dura scorza", bensì la lesbica che non solo è così mascolina da vestirsi sempre da uomo e da volere che si usi il "lui" quando si parla di lei (direi che sconfiniamo nel transgenderismo, e Leslie Feinberg ne è un esempio), ma che non vuole che le si tocchino i genitali, e che, più che godere del sesso in prima persona, ne gode facendo godere la partner.


Tra i maschietti esiste un fenomeno simile, chiamato pudicamente "eiaculazione ritardata" od "impotenza eiaculatoria", e chi ne soffre, pur penetrando il/la propri* partner, non riesce a goderne - la cosa diventa drammatica quando la coppia è etero e desidera un figlio.


Non è un fenomeno abbastanza frequente da incoraggiare studi seri e da scoraggiare teorie e terapie strampalate, ma dopo aver letto la scena dell'iniziazione sessuale della protagonista, Jess (*) Goldberg, che viene invitata da Angie a penetrarla con un dildo, ed aver notato che Jess si sente dire dopo l'atto cose simili a quelle che può sentirsi dire dal proprio partner chi soffre di eiaculazione ritardata, ovvero:


(quote)


Mi passò le dita tra i capelli. "Vorrei farti provare piacere come tu hai fatto con me. Ma tu sei già stone, vero?" Abbassai lo sguardo. Lei mi sollevò il mento e mi guardò negli occhi. "Non vergognarti di essere stone con una prostituta, tesoro. Anche il nostro mestiere lo è. E' solo che non devi nemmeno fissarti con il fatto di essere stone. Se trovi una femme di cui ti puoi fidare a letto e vuoi dirle che ti piace una cosa, o che vuoi essere toccata, non c'è niente di male. Capisci cosa intendo?"


(unquote)


penso che i sessuologi dovrebbero provare a confrontare i maschietti che soffrono di "eiaculazione ritardata" e le "stone butch", per capire se lo stesso fenomeno nasce da una scelta di vita simile.


Raffaele Ladu






(*) Una costante del libro è l'antisemitismo, di cui la protagonista ebrea è vittima. Ora essere ebrei è "hip" in America (ed in certa misura anche in Italia), ma negli anni '50 non era così. Come scrisse Bernard Lewis nel libro "Semiti e antisemiti" (edito prima da il Mulino e poi da Rizzoli), molti anni fa era considerato tollerabile in America avere un collega di lavoro ebreo, ma guai ad avere con lui rapporti al di fuori del lavoro!
Leslie Feinberg mostra esempi ben più scioccanti di antisemitismo nelle periferie urbane americane degli anni '40, '50 e '60, ma ce n'è uno che richiede un certo acume per essere notato: Jess, parlando del suo primo giorno di scuola, dice che la maestra le chiede se il suo nome è per caso il diminutivo di "Jessica", e quando la "stone butch in boccio" le risponde di no, la maestra commenta che non è un nome adatto a lei.
Qui non si consuma solo un sopruso ai danni del genere, ma anche dell'etnia: Jessica è un nome che forse è di conio biblico [= Isca, Genesi 11:29], ma appare per la prima volta nel Mercante di Venezia di Shakespeare, come il nome della figlia di Shylock, che non solo scappa di casa per sposare un cristiano (cosa già abbastanza ignominosa per un padre di famiglia ebreo), ma nel farlo deruba il padre di buona parte dei suoi averi, compreso l'anello che lui aveva dato alla [defunta] madre Lia al momento di sposarla, e che lei baratta per un macaco (proprio così: una scimmietta ammaestrata) - uno sperpero che viene risaputo in tutta Europa.
Non aveva bisogno dei soldi del babbo, se li ha buttati via così! E, poiché l'ebraicità è ereditata dalla madre, questo sperpero è un deliberato insulto a lei, al matrimonio con suo padre, ed a ciò che i genitori le hanno trasmesso - guarda caso, anche nel libro di Feinberg un anello ha un ruolo importante, in quanto unisce la protagonista alla tribù indiana dei Dineh, più nota come "Navajo".
Jessica non è quindi un gran nome per una ragazza ebrea, ma alla maestra non viene in mente niente di meglio. Forse per lei l'unica ebrea buona è l'ebrea pronta a farsi cristiana per un uomo, così come per molti dei maschietti del libro l'unica lesbica buona è quella che viene convinta da un uomo (il come ve lo potete immaginare - altrimenti, potete sempre leggere il libro) a diventare etero.
Oltre all'antisemitismo trovate pure il razzismo contro i neri - ma qui non posso dire nulla che non trovate già nel libro.

La masseria delle tribadi / Lola van Guardia

  • La masseria delle tribadi / Lola Van Guardia - Milano : Il dito e la luna, 2007 - 217 p. ; 22 cm. - Officine t, parole in corso ; 8. - ISBN – 9788886633444
Ho letto il libro citato, e devo dire che ne sono stato solo moderatamente colpito. Il libro è infatti leggero e divertente, strutturato come un romanzo giallo non privo di scene erotiche (tutte carine tranne una: anche a me piace la micia, ma quella a quattro zampe la coccolo e basta!), ma all'autrice manca il mestiere. La trama infatti ha qualche implausibilità, e la scrittura non scorre bene.
Lo giudicherei una buona idea tradita dalla sua implementazione; considerato che è stato scritto nel 2002, consiglierei all'autrice di prepararne un'edizione riveduta, approfittando dell'esperienza accumulata. Non è un giudizio molto generoso, ma non è nemmeno una stroncatura definitiva: il libro secondo me si può migliorare molto.
Raffaele Ladu

volevo dire che giovedì 23 dicembre dalle ore 20.00 alle 23.00 passerò un po’ di tempo con facebook ....vuoi unirti anche tu?

[leggi anche qui]

Ciao a tutti!.....volevo dire che giovedì 23 dicembre dalle ore 20.00 alle 23.00 passerò un po’ di tempo con facebook .

Chi si unisce nelle chiacchiere on – line? Sarà un trovarsi virtuale rispondendo ai messaggi di facebook Sarà un farsi gli auguri semplicemente tra amici“.
Il “frutto” della chiacchierata su facebook sarà la bicchierata LGBT di venerdì 24 - vigilia di Natale, l'augurio di un buon Natale per la famiglia allargata del Milk Center
Ci siamo dati appuntamento con un nuovo modo di collettivizzare le nostre idee e passioni: gli incontri su facebook della comunità LGBT di Verona e d'intorni. I cosiddetti appuntamenti su facebook , stanno riscuotendo un grande successo in tutto il mondo.
Ma noi vogliamo andare oltre

All'appuntamento virtuale di giovedì 23 segue la bicchierata di venerdì 24 dicembre.

Il prossimo appuntamento virtuale è previsto per il 01 di sabato pomeriggio 2011 per gli auguri di buon anno!
Abbiamo già raccolto moltissime adesioni, ora aspettiamo anche la tua!
La bicchierata si terrà a partire dalle h 21.00 , al Milk Center via Nichesola 9 San Michele Extra (VR) vicino a piazza del popolo.
L'idea della bicchierata richiamata da Facebook è nata con l'obiettivo di radunare il maggior numero di "utenti virtuali LGBT" in un luogo fisico e reale.

Dopo questa prima edizione, l'iniziativa è destinata ad allargarsi a macchia d'olio, fino a diventare un evento importante per tutti. Per partecipare bisogna solo munirsi di una bottiglia di vino, o della bevanda favorita (anche analcolica) – presso il bar del Milk Center, insieme a qualche bicchiere di plastica per condividerne il contenuto. Il resto viene da sé, e in un contesto così allegro è facile immaginarsi che non manchino le occasioni di convivialità e di amicizia.

Lo spirito ludico che anima queste "bicchierate" parte dalla necessità di incontrarsi dal vivo, per ristabilire un rapporto diretto tra le persone, nell'era in cui gli scambi virtuali e le relazioni mediate dai social network sembrano andare per la maggiore. In questo senso la bicchierata LGBT è assolutamente emblematica: sfrutta i canali virtuali, per alimentare relazioni "reali" che altrimenti rimarrebbero confinate alla rete.

Sono sicura che sarà un successo!
Dobbiamo solo far sì che questa iniziativa non venga ri-considerata alla luce dei  suoi "effetti collaterali" che sono una quantità di gente UBRIACA che si riversa sulle strade.

Come andrà a finire lo scopriremo tenendoci aggiornati su Facebook; se però ti trovi a passare per Verona, tieni a mente la data di giovedì 23 e venerdì 24 dicembre e, soprattutto, non dimenticate che abusare con l'alcool può trasformare una bella festa in una tragedia.
Un abbraccio da Luigia!

Les condamnés




"Condannati", recita il titolo del volume, da uno Stato che considera illegale l'espressione della loro sessualità, ed è questa circostanza ad accomunarli, ma ancora di più, come si evince dalle loro testimonianze, condannati dalla loro famiglia, dai loro amici, dai loro datori di lavoro e, più in generale, messi ai margini della società. Sono uomini provenienti da uno dei (purtroppo) ancora numerosi Paesi che criminalizzano l'omosessualità, e Philippe Castetbon ha avuto modo di entrare in contatto con loro tramite siti di incontri per gay. Ad ognuno di loro è stato chiesto di inviare i propri dati (l'iniziale del nome, l'età e la città di residenza), una testimonianza personale, una fotografia del proprio viso (variamente, e talvolta fantasiosamente, occultato) e una traduzione in lingua locale della frase "Dans mon pays, l'homosexualité est un crime". A tutto questo Castetbon ha poi aggiunto un'indicazione delle leggi in vigore nei rispettivi Stati in materia di omosessualità (osserviamo tuttavia che, nel caso dell'India, i tempi di realizzazione del volume non hanno evidentemente permesso di tenere conto della depenalizzazione avvenuta nel luglio 2009).
Ecco come nasce questo libro che, senza ambire, per ammissione stessa dell'autore, alla dignità di studio sociologico, ci permette di entrare nelle pieghe di esistenze quotidiane difficili, dove la discrezione e la dissimulazione – il silenzio – si pongono come condizione necessaria per la sopravvivenza. Quale comune denominatore di queste testimonianze, tutte rigorosamente alla prima persona (al singolare del singolo individuo omosessuale e/o al plurale dell'intera comunità dei gay del suo Paese), emerge infatti la considerazione che solo nascondendosi, solo conducendo una doppia vita è possibile esprimere la propria sessualità, approfittando magari degli spazi paradossalmente resi disponibili dalla rigida segregazione sessuale vigente in certe società islamiche. Così, in Bahrein (p. 18) è possibile per un uomo, purché non effeminato, portare avanti una relazione con un altro uomo senza destare troppi sospetti, e in Arabia Saudita (p. 14) camminare mano nella mano con il proprio compagno come è consuetudine fare, in quel Paese, anche tra amici. Porsi come apertamente omosessuali è invece fuori discussione, pena l'ostracismo: "la vita quotidiana di un gay non dichiarato è quasi normale", afferma T. del Burundi (p. 28), "quando però l'omosessualità diventa ufficiale, come nel mio caso, l'esistenza si trasforma in un inferno totale". La stessa regola vale in Sri Lanka, come conferma A. (p. 98): "finché resti zitto in merito alla tua omosessualità, non avrai troppi problemi nel mio Paese, ma non appena aprirai bocca e ne parlerai, tutti si prenderanno gioco di te e ti escluderanno dalla società".
Leggendo le loro testimonianze, sempre sofferte e commuoventi, sembra proprio che a spaventare maggiormente questi uomini siano le violenze e le pratiche di esclusione messe in atto dalla società nel suo insieme, più ancora che le eventuali punizioni inflitte dallo Stato. D'altronde, un Paese come l'Iraq, ufficialmente sprovvisto di una legislazione antiomosessuale specifica ma dove operano indisturbate, anzi addirittura sostenute dai capi spirituali, apposite squadre della morte, risulta più pericoloso di uno come la Mauritania, dove risulta in vigore una legge, di fatto non applicata, che punisce gli "atti contro natura" con la lapidazione pubblica dei colpevoli. Molto simile è il caso dello Yemen: "la morte è la pena prevista per le relazioni omosessuali", testimonia J. (p. 106) ma "siccome sono necessari almeno quattro testimoni del fatto, questa legge non è mai applicata". Laddove non vige la Sharia, vigono leggi importate dagli Europei durante il periodo coloniale e opportunamente conservate per volontà, tra gli altri, delle autorità religiose, come in Guyana o in Pakistan. In Papuasia-Nuova Guinea, ci dice L. (p. 90), "era normale per gli uomini avere relazioni omosessuali. Ma con l'arrivo del cristianesimo, ci dicono ora che è un peccato […] Prima che i bianchi portassero la loro cultura qui, la nozione di sesso illegale non esisteva".
Come ci si potrebbe aspettare, l'influenza della religione e degli esponenti delle varie confessioni religiosi, è frequentemente evocata nelle parole di questi condamnés. Stiamo imparando a conoscere in questi mesi il triste caso dell'Uganda, dove sta sempre più prendendo piede un'omofobia incoraggiata da capi religiosi locali (e americani) intenti a diffondere tra la gente l'idea che "i gay non sono né amati né accettati da Dio" (p. 84). Conosciamo anche meglio la situazione dell'Iran: "sono un iraniano gay", afferma A. di Teheran (p. 52), "chiuso in una prigione pericolosa, formata da quattro muri disgustosi: la legge, la cultura, la famiglia e la RELIGIONE [sic]".
Les condamnés ci permette quindi di penetrare nella vita quotidiana di omosessuali che si trovano malauguratamente a vivere in Paesi in cui, agli ostacoli ordinari che qualunque omosessuale nel mondo trova sul proprio cammino, se ne sommano altri dovuti ad una legislazione iniqua e ad un contesto culturale poco propenso (nel migliore dei casi) ad accogliere le diversità – questa diversità in particolare. Non solo, Les condamnés ci fa anche vedere i volti di questi uomini, che, in contesti sociali dove la cosiddetta scena gay è pressoché inesistente (fanno eccezione Paesi come il Mozambico o il Kenya, dove "esiste una grande visibilità dei gay", p. 58) possono mostrarsi per quello che sono, ancorché col viso coperto, solo in rete, e anche in questo caso non senza la paura di trovarsi a dialogare non con Philippe Castetbon ma con un poliziotto (p. 7). Per molti di loro, vale a dire per quelli che hanno effettivamente la possibilità di accedervi, Internet resta l'unica finestra di libertà, ed è proprio grazie a Internet che noi, dalla libera e laica Europa, possiamo oggi entrare in contatto con loro e imparare a conoscere un po' meglio le loro vite.

Daniele Speziari

Critica di Indigo Blue / Ebine Yamaji


Al Bookout di Pisa ho comprato, tra i tanti libri:

e l'ho considerato la più bella storia d'amore tra donne che ho letto.

In realtà si tratta di un triangolo tra Rutsu Nakagawa, una scrittrice che esprime le sue velate pulsioni lesbiche nelle sue narrazioni, Riuji, il suo editor ed amante, e Tamaki Yano, redattrice della rivista "Nerve" che, da fan della scrittrice ne diventa infine la compagna.

La storia si svolge su due piani - letterario ed esistenziale, in quanto l'evolversi della personalità e della scrittura di Rutsu procedono di pari passo; il racconto inizia con Tamaki che dice a Rutsu di aver capito che il protagonista di un suo racconto, "Una manciata di attimi", un illustratore che fa l'amore con una donna con le dita intrise del colore blu indaco (quello che dà il nome al fumetto) e le macchia piacevolmente il seno che accarezza, potrebbe essere una donna: viene infatti identificato come "Y", e non c'è nessuna indicazione grammaticale che ne chiarisca il genere.

Anche Riuji sospetta che ci sia una tematica lesbica latente nelle opere di Rutsu, e critica molto favorevolmente il romanzo che sta ora scrivendo Rutsu - la storia di una donna sposata che si scopre innamorata di una donna, ed è dibattuta tra questo nuovo amore e la fedeltà coniugale. Non sa che la storia sta parlando di loro due!

Le cose in realtà non sono così semplici: Rutsu, quando le viene chiesto se "Y", il protagonista di quel racconto, è davvero una donna, risponde che l'ambiguità è voluta, perché il personaggio stesso non sa come definirsi.

Nel fumetto Rutsu dice a Tamaki che è stato un segno del destino che quel personaggio si chiamasse "Y", e lei avesse per cognome "Yano"; Tamaki risponde che sono cose che dicono tutte le donne innamorate, ma c'è una scena che fa pensare
che Tamaki sia davvero l'incarnazione dell'ambigu* "Y".

Tamaki infatti dice una volta che vorrebbe avere un pene per penetrare Rutsu, e "sentirla meglio"; ed un'altra volta dice che preferisce fare il "cunnilingus" che riceverlo, ma che quella volta Rutsu glielo aveva fatto meravigliosamente.

Ora, chiunque può fare un "cunnilingus", ma per riceverlo occorre essere venute a patti con la propria femminilità. Non era soltanto Rutsu che faceva fatica ad accettare di essere lesbica; anche Tamaki faceva fatica ad accettare di essere donna - e le due amanti sono maturate insieme.

Ma questa maturazione ha un limite: nel romanzo che Rutsu sta scrivendo la protagonista sacrifica l'amore con la sua donna alla famiglia "tradizionale"; nella vita Rutsu trova il coraggio di fare "coming out" con Riuji e lasciarlo, sia come amante, che come editor.

Però ... in questa storia le femmine sono subordinate ai maschi: la scrittrice femmina Rutsu sottopone le sue opere al giudizio dell'editor maschio Riuji, e le volte in cui ci vuole qualcuno che offra una diversa prospettiva (gli anglosassoni dicono: "to think out of the box"), è Den, un altro suo amico maschio, sposato e padre di famiglia, ad offrirgliela.

La subordinazione più evidente sta nel fatto che Rutsu (lo dice lei stessa) non va a letto con Riuji per amore, ma perché lui le serve; la situazione è peggiorata dal fatto che Riuji, convinto di farle un favore, fa in modo di diventare il suo editor.

Questo però lo pone in una posizione di potere nei confronti di Rutsu, ed impone all'autrice Ebine Yamaji di modulare con attenzione il rapporto tra Riuji e Rutsu, per risparmiare a Riuji la nomea di stupratore o babbeo, ed a Rutsu la nomea di vittima o di meretrice.

A mio avviso ci riesce abbastanza bene: Rutsu non fa l'amore con Riuji per amore o desiderio, ma lo fa comunque per scelta; e Riuji si rende conto che Rutsu non risponde come tutte le altre donne che ha conosciuto biblicamente, ma non la costringe a nulla.

Però Riuji deve accollarsi comunque una buona dose di colpa: non avrebbe dovuto mettersi in una posizione di potere nei confronti di Rutsu (la deontologia di molte professioni vieta al professionista di avere rapporti sessuali con il proprio cliente, proprio per lo squilibrio di potere tra i due), ed i dubbi sulle reali sensazioni (e motivazioni) di Rutsu avrebbero dovuto fermarlo.

Temo che non sia raro il caso di una donna lesbica che ha rapporti di convenienza con un uomo (il motivo più semplice e nobile è quello di essere fecondata - tema che si ritrova in quest'altra graphic novel della medesima autrice:


che vale la pena leggere), e questo avrebbe dovuto rendere Tamaki comprensiva alla scoperta che Rutsu la tradiva con Riuji; ma lei invece si arrabbia moltissimo.

Penso che questa scenata sia servita non solo per dare alle lettrici una prova dell'amore che lega Rutsu e Tamaki, ma anche per discolpare Riuji: la scenata si giustifica soltanto se c'era veramente del sentimento tra Rutsu e Riuji, anche se in altre circostanze non li avrebbe portati a letto.

La storia finisce bene, ma c'è una cosa che vorrei aggiungere. Molti maschi etero hanno la fantasia di amare una donna impegnata in una relazione lesbica, e curiosamente il fumetto di Yamaji viene incontro alle loro fantasie; inoltre, la subordinazione delle donne Rutsu e Tamaki ai maschietti Riuji e Den li rassicura che questi amori non sovvertiranno i rapporti tra i sessi.

In "Love My Life" le cose vanno meglio: Eri sfugge al destino impostole dalla famiglia, ed anziché diventare una casalinga, od un avvocato come suo padre e suo fratello [non era la sua vera vocazione, ma soltanto una "protesta virile", cioè un tentativo di dimostrare che valeva non meno di loro], diventa una scrittrice di successo - anche la romanziera vive delle sue parole, come l'avvocato.

Curiosa è una cosa: Rutsu e Tamaki hanno dei cognomi (rispettivamente Nakagawa ed Yano), mentre Riuji e Den non li hanno. Mi sono chiesto perché, e credo che questo accada perché rappresentano l'"Animus" di Rutsu Nakagawa - come fossero le incarnazioni del "maschio eterno", e chi è eterno non ha genealogia né famiglia.

Il cognome "Yano" comincia con "Y" come quello dell'autrice, "Yamaji", il che fa pensare che Ebine Yamaji abbia fatto una storia quasi autobiografica, quali quelle che scrive Rutsu Nakagawa.

Tornando all'"Animus", in "Love My Life" è rappresentato dal padre della protagonista, un gay che ha sposato una lesbica perché entrambi desideravano un figlio, ed anche gli altri maschi della storia sono gay - penso che la storia abbia uno svolgimento migliore perché l'Animus qui non è eterosessista, e non condiziona altrettanto negativamente la protagonista.


Raffaele Ladu

Shonen ai

Una delegazione del Centro Milk di Verona si è recata domenica 14.11.2010 a Pisa per partecipare alla prima edizione del Bookout - Fiera del Libro LGBT.


L'obbiettivo principale era assistere al dibattito tra Paola Guazzo ed il rabbino capo di Pisa Luciano Meir Caro su "Ebraismo ed omosessualità"; purtroppo il rabbino è stato urgentemente convocato a Roma, non ha potuto trovare un sostituto , ed il dibattito si è ridotto alla presentazione del libro


R/esistenze lesbiche nell'Europa nazifascista / a cura di Paola Guazzo, Ines Rieder, Vincenza Scuderi - [Verona] : Ombre corte, 2010 - 190 p. ; 21 cm. - Documenta ; 11 - ISBN 9788895366647


già recensito qui.

Si è invece svolta regolarmente la presentazione del libro:


Una cosa interessante che ha detto Massimiliano De Giovanni, sceneggiatore di molti fumetti LGBT pubblicati dalla Kappa Edizioni, è che in Giappone esiste una copiosa produzione di manga del tipo Shonen ai, in cui si narrano storie d'amore tra uomini gay.


Il libro spiega bene la loro evoluzione storica, ma quello che val la pena di riportare di quello che ha detto De Giovanni è che questi fumetti sono opera di donne etero, e sono destinati a donne etero, presso le quali hanno un enorme successo.


De Giovanni rinviene in questi fumetti non tematiche gay, e neppure lesbiche, ma tematiche tipiche di donne impegnate in relazioni eterosessuali, ed ha aggiunto che in Giappone il ruolo femminile è molto subalterno (più che in Italia, a quanto pare), e che le donne giapponesi che scrivono e leggono questi fumetti vorrebbero probabilmente un partner maschile etero simile ai gay di questi fumetti: dolce, sensibile, raffinato ...


De Giovanni ha concluso dicendo che queste donne giapponesi sono molto più "Fag Hags = Frociarole" della protagonista di questo fumetto che lui ha sceneggiato:


e questo mi ha fatto tornare in mente quello che si era detto delle "Frociarole" a margine del convegno sull'"eterofobia" del 03.11.2010.


Erano stati descritti infatti due casi di "frociarole", che mi avevano fatto pensare che le "frociarole" fossero donne convinte che un rapporto uomo-donna in cui giochi un ruolo il desiderio sia necessariamente di subordinazione - il fatto che una delle due donne descritte fosse la dominatrice dei suoi partner capovolgeva la regola senza sovvertirla.


Nel rapporto donna etero-uomo gay l'uomo non desidera la donna, la donna non rinviene perciò in lui voglia di dominio, e questo rende il rapporto più sereno - non è colpito dalla maledizione espressa da questo versetto:


"Il tuo desiderio sarà verso il tuo uomo, ma egli ti dominerà" (Genesi 3:16).


Avevo concluso che le "frociarole" sono un sottoprodotto della meschinità dei rapporti uomo-donna nella società attuale, ed ho provato a sottoporre quest'idea a Massimiliano De Giovanni, che mi ha dato ragione, in quanto in un paese in cui i rapporti uomo-donna sono molto peggiori che in Italia (lo credevo impossibile, ma a quanto pare aveva ragione Napoleone a volere che la parola "impossibile" fosse cancellata dal vocabolario), il fenomeno è molto più radicato.


Non mancano i maschi etero autori di fantasie erotiche interpretate da donne lesbiche, fantasie rivolte a se stessi o ad altri maschi etero; così come non mancano i maschietti che cercano l'amicizia (non l'amore!) di donne lesbiche.


Credo che in entrambi i casi si esprima un profondo senso di inadeguatezza: in una fantasia erotica, il protagonista rappresenta l'autore, ed il fruitore (se diverso dal lettore) è invitato a mettersi nei panni di quel personaggio. Se un maschio si fa rappresentare da una femmina, vuol dire che si ritiene irrimediabilmente inadeguato.


Ed un uomo con una donna lesbica non ci può provare, quindi, nel migliore dei casi, vive con lei un rapporto di tipo madre-figlio. 


Non è il rapporto ideale per una donna (lesbica), ma ci sono quelle disposte ad averlo.

Raffaele Ladu