Religiosità LGBTQI e strumenti interpretativi

Ho dovuto rispondere ad una persona che non apprezzava (eufemismo) la militanza in un'associazione LGBT cattolica, ed ho pensato di estrarre dalla mia replica questi argomenti.

C'è sempre il pericolo, per dirla con rav Steven Greenberg, che la persona LGBT all'interno di un'organizzazione religiosa cooperi alla sua stessa umiliazione, ma non è detto che sia sempre così, anzi, il più delle volte in un'associazione religiosa LGBTQI le cose vanno come dice Amalia Ziv in quest'intervista:
Giornalista: “Nel libro lei scrive della prestazione di genere. Non è che tutte le nostre prestazioni di genere, o forse la maggioranza, sono basate su dei modelli oppressivi, o su dei modelli determinati da qualcuno?”
Ziv: “Sì, ma ripeto, possiamo solo lavorare su modelli già esistenti. Con questo collegamento possiamo risalire, ad esempio, alla critica lesbo-femminista delle ‘butch = camioniste’, che afferma che le camioniste riproducono i costrutti oppressivi della mascolinità.
Però, innanzitutto, le camioniste sono donne che si oppongono ai dettati sociali della femminilità e li sfidano in un modo che ha grande visibilità e perciò può anche costare parecchio. Inoltre, quando una donna fa il maschio, non è la stessa cosa di quando un uomo fa il maschio. Cioè, qui si crea qualcosa di diverso, ibrido. Queste sono donne che compiono una revisione non-standard di una norma mascolina. E le revisioni non-standard creano una nuova forma.”
Revised Standard Version è una popolarissima traduzione della Bibbia in lingua inglese; parlando di una Revised Non-Standard Version, la Ziv allude al fatto che non soltanto le norme di genere, ma anche le norme religiose possano essere rivedute in modo non standard, creando qualcosa di nuovo, e (si spera) meno oppressivo.

Judith Butler nel suo ultimo libro Strade che divergono. Ebraicità e critica del sionismo parla di come ogni norma etica o religiosa debba essere tradotta per rivolgersi a noi, e di come la traduzione possa caricarla di nuovi significati – e non è una cosa nuova, visto che al proposito vengono citati filosofi come F.D.E. Schleiermacher (1768-1834) e W. Benjamin (1892-1940).

Come potete vedere, le teorie queer non impongono di ritenere l'attivista religioso LGBTQI un ingenuo, un masochista od un pericolo, anzi! spiegano molto bene la funzione che svolge nel movimento.

Altro paradigma utile all'uopo è quello dell'interculturalità, che viene molto bene spiegato da Duccio Demetrio, che in quest'articolo cita lo scrittore libanese Hamid Maluf [in realtà si chiama Amin Maalouf] - due brani del suo libro L'identità sono illuminanti:
Da quando ho lasciato il Libano, nel 1976, per trasferirmi in Francia, mi è stato chiesto innumerevoli volte, con le migliori intenzioni del mondo, se mi sentissi più francese o più libanese. Prima o poi, a uno straniero questa domanda viene rivolta, e risponde invariabilmente ‘l’uno e l’altro’. Ciò che mi rende come sono e non diverso, è l’esistenza fra due paesi, fra due o tre lingue, fra parecchie tradizioni culturali ed è proprio questo che definisce la mia identità. Sarei più autentico se mi privassi di una parte di me stesso, quindi delle mie vicende, delle mie storie, che si sono compiute al di là del luogo, il Libano in cui sono nato. 
Naturalmente l’identità non si suddivide in compartimenti stagni, non si ripartisce né in metà, né in terzi. Non ho parecchie identità, con questo, ne ho una sola fatta di tutti gli elementi che l’hanno plasmata secondo un dosaggio particolare, che non è mai lo stesso da una persona all’altra.
Il secondo brano ricorda che:
In ogni uomo e donna si incontrano molteplici appartenenze, che a volte si contrappongono tra loro e lo costringono a scelte penose. Se ciascuno di questi elementi, cosiddetti identitari, può riscontrarsi in un gran numero di individui, non si trova mai la stessa combinazione in due persone diverse. Ed è proprio ciò che fa sì che ogni essere sia unico e insostituibile.
Aggiungendo quello che dovrebbe essere ovvio, ovvero che gli elementi identitari non sono puri, ma meticci in quanto tutte le culture sono frutto di ibridazione e subiscono o governano la propria evoluzione, ci rendiamo conto che la mente umana è intrinsecamente interculturale (Giuseppe Mantovani), e che l'interculturalità non serve solo ad entrare in rapporto con i migranti, ma anche con noi stessi, perché tutti quanti viviamo alla frontiera di più culture, tant'è vero che l'insieme delle componenti  identitarie viene definito da Duccio Demetrio "arcipelago identitario".

Alle persone religiose LGBTQI si applica in modo particolare la frase di Maalouf:
In ogni uomo e donna si incontrano molteplici appartenenze, che a volte si contrappongono tra loro e lo costringono a scelte penose.
Ma queste appartenenze non le dispensano dal creare un'identità unitaria, e lo strumento da usare è la narrazione autobiografica: ogni persona racconta in continuazione a se stessa ed agli altri chi è, e narrando non descrive solo se stessa, ma crea anche se stessa.

Su questo si innestano le teorie queer: quando Judith Butler sostiene che il genere è una norma che deve essere citata per creare il soggetto e renderlo intelliggibile a se stesso, vuol dire che il genere deve far parte dell'autobiografia dell'individuo; si può citarlo in modo non standard, per forzare le regole, ma non si può ometterlo né sceglierlo arbitrariamente.

La persona religiosa LGBTQI ha un compito molto difficile, a cui si aggiunge il fatto che molte persone che usano proficuamente l'interculturalità per entrare in rapporto con i migranti si dimenticano di usarla per entrare in rapporto con loro, ed applicano invece a loro la logica amico-nemico.

Potrei aggiungere questa considerazione sull'identità: ci sono due concezioni principali di essa, l'essenzialismo ed il costruttivismo.

Per l'essenzialista, l'identità è ciò che una persona è e non può fare a meno di essere. Questa concezione descrive molto bene le persone che mettono in grande risalto (o sono costrette a mettere in risalto) caratteristiche che non possono cambiare (come la razza), o possono cambiare solo con grande difficoltà (il sesso, la religione, la cittadinanza, l'etnia), ma è sempre meno adeguata ad un'epoca come la nostra in cui le persone hanno accesso a stimoli culturali e rapporti sociali molto più variegati che in passato.

Per il costruttivista, l'identità non è un prodotto, ma un processo; la persona non scopre la propria identità con il tempo (come vuole l'essenzialista), ma la costruisce entrando in relazione, con le persone e gli elementi culturali che ha a disposizione, e subendo i vincoli ed i limiti che incombono su un essere umano nato in un luogo e tempo storico.

L'interculturalità e le teorie queer si basano sul costruttivismo; e se nel creare la propria identità non contano solo gli ingredienti che si hanno a disposizione, ma anche e soprattutto come vengono lavorati, non ha senso giudicare una persona solo dagli elementi identitari che ha scelto o che ha ricevuto in retaggio - è un errore che non farebbe un buongustaio il giudicare un piatto solo dalla lista degli ingredienti, senza conoscerne dosi e modalità di preparazione.

Non tutti purtroppo se ne rendono conto, e si sentono perciò autorizzati a discriminare le persone che hanno degli elementi identitari a loro sgraditi; il divieto di divulgare "dati sensibili" ha anche questa giustificazione - impedire alle persone di ragionare in modo essenzialista quando la persona va invece valutata in modo costruttivo.

Mi sono sentito rinfacciare il non aver detto che faccio parte di un gruppo LGBT cattolico (sebbene fosse cosa assai nota) - e questa è la mia ragionata risposta. Potete immaginare quella istintiva.

Raffaele Ladu