Esiste l'eterofobia? (Forum di mercoledì 3 novembre 2010)

All'indomani delle esternazioni del Presidente del Consiglio italiano, che, come noto, ha affermato la superiorità del proprio discutibile stile di vita sull'omosessualità (maschile), si è tenuto presso il Centro Milk un dibattito, in programma da tempo ma singolarmente adatto alla giornata, su un concetto che raramente viene evocato : quello di eterofobia. Se interpretiamo le dinamiche della società alla luce del principio della fisica secondo il quale ad ogni azione corrisponde un'azione uguale e contraria, non faticheremo infatti a ravvisare, per esempio, tra alcuni neri, sentimenti analoghi a quelli provati dagli – ahinoi – numerosi xenofobi bianchi (nel nostro caso, "padani"), e, tra alcuni omosessuali, qualcosa di simile all'omofobia. Per comprendere meglio la natura di quest'ultima, abbiamo quindi ritenuto utile interrogarci sul fenomeno speculare, anche se indubbiamente assai meno pericoloso, di eterofobia. La questione non si risolve però qui, poiché, se del termine "omofobia" esiste una definizione più o meno condivisa, lo stesso non si può dire di "eterofobia", del quale abbiamo individuato almeno quattro possibili accezioni.

La prima concerne l'eterofobia come "paura del sesso opposto", una sorta di rifiuto risultante da un trauma, se non addirittura da una violenza, e in quanto tale potenzialmente più diffuso tra le donne che non tra gli uomini, e in particolare tra certe lesbiche, come hanno potuto confermare Rita e Luigia. Eterofobo è tuttavia – e passiamo qui alla seconda accezione del termine – anche il gay "terapeuta riparatore" che esclude a priori la possibilità che ad un uomo possano piacere le donne, negando così, implicitamente, l'esistenza stessa degli eterosessuali e relegandoli d'emblée, e in blocco, al rango di "omosessuali repressi". Si può leggere un ritratto (o piuttosto una caricatura, secondo Raffaele) di questo "tipo" umano, di cui i partecipanti al nostro forum non hanno escluso l'esistenza, nell' l'articolo seguente:http://dragor.blog.lastampa.it/journal_intime/2008/02/eterofobia-1.html.

Una ulteriore accezione di "eterofobia", la terza della nostra scaletta, può essere desunta dalle opinioni di medici psicologi vicini agli ambienti dell'integralismo cattolico, secondo i quali il concetto di "omofobia", oltre a non rinviare ad una patologia e tanto meno ad una "fobia" in senso proprio, viene usato come feticcio, e in malafede, dai militanti omosessuali per "colpevolizzare gli eterosessuali" – così il dott. Anatrella, autore della voce Omosessualità e omofobia, contenuta in Lexicon, Città del vaticano, LEV, 2003, di cui è possibile leggere degli stralci su http://www.siciliacristiana.eu/index.php?option=com_content&task=view&id=471&Itemid=174. Per quanto il termine non sia esplicitamente utilizzato in queste righe, è evidente la volontà di affermare l'esistenza, presso certi omosessuali "militanti" (quelli cioè che della propria condizione fanno un vanto) di una vera e propria eterofobia, intesa come tentativo di stigmatizzare i portatori di una sessualità "corretta".

Per concludere, abbiamo poi proposto di interpretare l'"eterofobia" come una forma di risentimento provata dall'omosessuale che si trovasse al cospetto di una coppia uomo/donna intenta a scambiarsi effusioni in pubblico, a compiere cioè un atto che per lui (o per lei) comporterebbe uno sforzo di gran lunga maggiore, se non dei rischi per la propria incolumità personale. È stata precisamente quest'ultima accezione a suscitare, più di tutte, l'interesse dei partecipanti. Sorvolando sulla componente dell'invidia, che non conosce identità di genere né orientamento sessuale, Zeno si è mostrato propenso a credere che dietro questa forma di eterofobia si celi, in realtà, dell'omofobia interiorizzata da parte di chi non si è davvero accettato fino in fondo e, pertanto, prova disagio di fronte alle manifestazioni di un'affettività "etero" (cioè "normale") che, suo malgrado, gli è irrimediabilmente preclusa. Fabrizio ha invece puntato il dito sulla tendenza di molti omosessuali, e segnatamente di molte coppie, ad autolimitarsi nell'espressione dei propri sentimenti : l'eterofobia, nell'accezione di cui ci stiamo occupando ora, non sarebbe altro che il riflesso di un timore radicato a mostrarsi per come si è alla luce del sole.

A fronte di una tale pluralità di significati, dovuta al fatto che il termine "eterofobia" non è ancora entrato nell'uso comune, riteniamo di poter adottare la definizione che Raffaele ha provato a dare del fenomeno, come sentimento proprio "di chi concepisce una società in cui gli etero o non sono ammessi (come le lesbiche ed i gay per l'omofobo) o sono relegati in fondo alla scala sociale (come le donne per il misogino". Con l'auspicio che le parole di Silvio Berlusconi non contribuiscano ad acuire tali sentimenti.


Daniele