La Gioconda era un travestito


Per ricercatrice francese soggetto dipinto è Salai, suo amante
07 novembre, 20:39
di Aurora Bergamini

PARIGI - La Gioconda era un travestito: è la sentenza shock di una ricercatrice francese, Sophie Herfort, che ha pubblicato un libro proprio in coincidenza con la grande mostra aperta a Londra su Leonardo da Vinci. Se la Gioconda fosse davvero Lisa Ghedini, la moglie di Francesco del Giocondo, allora perché il dipinto non è mai appartenuto a quest'ultimo? E perché tra gli appunti del grande genio del Rinascimento non viene mai menzionato ne' questo quadro ne' chi lo ha commissionato? E ancora, perché il maestro toscano non si è mai voluto separare dal ritratto di Monna Lisa tanto da portarlo con se' in Francia, alla corte di Francesco I? A porsi queste domande è Sophie Herfort, giovane professoressa e ricercatrice in Scienze dell'arte all'Università Sorbona di Parigi, nel libro appena uscito oltralpe per le edizioni Michel Lafon, 'Le Jocond' (Il Giocondo), risultato di quattro anni di ricerche, tra Francia, Italia e Stati Uniti.

Salai, alias Gian Giacomo Caprotti, giovane allievo e musa di Leonardo, per la Herfort non fu semplicemente il modello della tavola, come aveva già ipotizzato il ricercatore italiano Silvano Vinceti, per la somiglianza nei tratti del volto tra il San Giovanni Battista (che ricorda appunto la fisionomia di Salai) e la Gioconda. Ne fu anche il vero soggetto. Era proprio lui che Leonardo si era divertito a rappresentare: il suo amante, vestito da donna, ovvero con quegli stessi abiti femminili, tra mantelline di pelliccia e autoreggenti rosa, che Salai indossava di solito fra le mura domestiche. Il quadro venne poi ulteriormente ''femminilizzato'', con il velo sui capelli e un decolleté più accentuato, per paura della censura: ''al tempo l'omosessualità era punita con il rogo - spiega all'ANSA la Herfort - e Leonardo era scampato nel 1477 una condanna per atti immorali per avere partecipato a una sodomia di gruppo con altri artisti''.

Non fu infatti Leonardo, ''un omosessuale discreto'' come lo definisce la ricercatrice, a dare il titolo all'opera, ma lo storico Giorgio Vasari, solo dopo la morte dell'artista, facendo una serie di considerazioni e correlazioni ''del tutto discutibili e confutabili''. ''L'amore folle e incondizionato di Leonardo da Vinci per il suo giovane assistente sono all'origine di una delle opere più celebri, ammirate e controverse della storia di tutti i tempi - afferma l'autrice - Le illustrazioni, gli schizzi preparatori e le corrispondenze private del genio italiano non lasciano spazio al dubbio: la Gioconda non è una donna. Quello che noi identifichiamo come l'ideale della bellezza femminile è un travestito''.

Leonardo conobbe per caso Salai il 22 luglio del 1490 a Oreno di Vimercate, alle porte di Milano, mentre cercava, in quanto pittore alla corte Ludovico Maria Sforza, il cavallo perfetto da scolpire in onore di un potente condottiere milanese. Rimase ammaliato dalla bellezza di questo ragazzino che lavorava tra le vigne - all'epoca aveva solo 10 anni, mentre Leonardo ne aveva 38 - e lo comprò per un pugno di fiorini. Fu il suo benefattore per i trent'anni a venire: lo ospitò a casa sua, lo fece lavorare per lui e diventò la sua musa universale, diavolo e angelo, dalla bellezza androgina, che racchiudeva in se' il femminile e maschile, la figura ideale. E soprattutto lo amò alla follia, gli concesse tutti i capricci (Salai era spendaccione e goloso, osserva l'autrice), Quando nel 1516 Leonardo, sessantenne, venne chiamato come pittore ufficiale alla corte di Francesco I, l'allievo irriverente, avendo già ottenuto la sua parte di eredità, non si sentì obbligato a seguirlo. ''Ma Leonardo che era ossessionato dal suo amante, portò con sé la Gioconda e il San Giovanni Battista - conclude la Herfort - così Salai, il suo sguardo, il suo sorriso, continuarono a seguirlo''.

(Dall'ANSA)

Programmare la diseguaglianza

La settimana scorsa è stato presentato alla Camera il "Decreto Sviluppo", che tra le tante norme contiene una modifica all'articolo 537-bis del Codice Civile, per cui il testatore può dividere la "legittima" verso i figli non più in parti uguali, ma la metà può distribuirla come vuole.

La più ovvia delle osservazioni (vedi i link [1][2] e [3]) è che la norma giova direttamente a Silvio Berlusconi, che potrebbe decidere di favorire i due figli di primo letto contro gli altri tre - ed usare magari questo come arma di pressione nella causa di divorzio con Veronica Lario.

Altre persone però dicono di ricavarne beneficio, e sono gli imprenditori riuniti nell'AIDAF, la quale da molto tempo propone una cosa del genere (vedi [4]); se questo discolpa in parte Berlusconi (che può dire di non aver pensato solo a se stesso), non toglie un grave inconveniente della proposta.

Ad ogni sistema familiare si accompagna un "contenuto ideologico" (per citare il libro [5]), nel senso che i sistemi in cui i figli ereditano in parti uguali incoraggiano a pensare che tutte le persone hanno i medesimi diritti (perché ereditano in parti uguali) e doveri (perché ogni erede paga i debiti del de cuius in proporzione a quanto ha ereditato).

I sistemi in cui l'eredità viene ripartita tra i figli in modo diseguale incoraggiano invece a pensare che le persone sono intrinsecamente diseguali; e nei casi in cui l'eredità venga attribuita con il sistema del "maggiorascato" (ovvero uno solo dei figli - di solito il maschio più anziano - eredita tutto), si incoraggia a divinizzare gli eletti ed a disumanizzare i reietti.

Ed infatti Courbage e Todd notano che il nazismo tedesco, lo sciovinismo giapponese ([6], ma vedi anche [7]), e l'etnocentrismo che in Ruanda portò al genocidio poterono attecchire e fare molto danno perché Germania, Giappone e tribù ruandesi praticavano appunto il "maggiorascato".

Il danno maggiore questo sistema familiare lo fa quando non è possibile per i figli lasciare la famiglia d'origine fino alla morte del patriarca, perché questo crea una situazione di sottomissione autoritaria ad un capo che non hanno scelto; quando invece la legge e la tradizione lo consentono, sono possibili la libertà e la democrazia.

Un esempio classico è l'Inghilterra: lì era considerato normale che l'uomo sposato lasciasse la famiglia d'origine, con l'aiuto economico di quest'ultima; però il padre poteva disporre dell'eredità a suo piacimento, col risultato che il sistema politico inglese era democratico, ma non egualitario.

Un sistema egualitario (almeno per i maschietti) ma non democratico era dato da Francia, Russia e Cina: divisione dell'eredità in parti uguali, ma con obbligo di risiedere insieme con il patriarca fino alla sua morte. E queste sono state le caratteristiche delle rivoluzioni di quei paesi - eguaglianza senza libertà.

Le società in cui la ripartizione delle eredità tra i figli è in parti eguali incoraggiano a pensare in modo universalistico, ovvero a soluzioni che valgano per la generalità degli esseri umani - allo stesso modo in cui in una famiglia siffatta qualsiasi soluzione deve funzionare egualmente bene per tutti i figli e coeredi.

Invece, quando è possibile manipolare le quote ereditarie, diventa concepibile pensare a soluzioni che funzionino solo a prezzo dell'esclusione o dello sfruttamento di alcune persone - di quelle che si è già deciso che conteranno poco o punto.

E questa è la politica del centro-destra in Italia. Questa modifica delle regole ereditarie non è semplicemente un regalo a Berlusconi ed a tutte le famiglie di imprenditori che non hanno saputo impostare l'educazione dei loro figli preparandoli ad una gestione collegiale dell'impresa di famiglia - è il miglior riassunto del modello di società che ha in mente Berlusconi.

Inoltre, paradossalmente, questa misura ci costringe a rimpiangere che il primato non sia automaticamente attribuito al primogenito, indipendentemente dal sesso.

Infatti in Italia il rapporto fra i sessi [7] è, alla nascita, di 1059 maschi ogni 1000 femmine - il che significa che la probabilità che il proprio primogenito sia femmina (e quindi, nella nostra ipotesi, a lei vada il governo dell'azienda), è del 48,57%.

Poiché le signore hanno minor mortalità dei maschietti, se la probabilità fosse calcolata sulle persone di età tra i 15 ed i 64 anni, il rapporto tra i sessi sarebbe di 103 maschi per 100 femmine - ovvero che l'azienda di famiglia passi grazie al "maggiorascato" in mano ad una femmina sarebbe del 49,26%.

Nel paese che, secondo [8], nel 2011 si è trovato al 74° posto nella classifica mondiale delle diseguaglianze di genere, quante probabilità ci sono che il titolare di un'impresa familiare privilegi spontaneamente una figlia femmina nella successione? Ben inferiori, temo.

Inoltre, visto che spesso si sceglie non il figlio/la figlia più abile, ma il/la più rassicurante, anzi, il/la più stereotipicamente "normale", la possibilità che un(a) figli* non etero sia privilegiato nell'eredità sarà almeno pari al 5-10%, che è la prevalenza di lesbiche e gay nella popolazione italiana?

Il provvedimento di Berlusconi è una licenza per discriminare, e copre inoltre l'imprevidenza di chi non è stato capace di educare la propria famiglia alla gestione collegiale, come hanno fatto invece i fondatori di multinazionali come Samsung, Wal-Mart, Ford, eccetera.

Raffaele Ladu

Cristianesimo, tolleranza, omosessualità / John Boswell

Del libro ho letto la versione originale americana, perché la sua traduzione italiana da molto tempo è fuori catalogo, e si può riassumere dicendo che le interpretazioni tradizionali dei passi del Primo e Secondo Testamento che condannerebbero l'omosessualità non sono affatto a prova di bomba; nel caso dell'ebraismo (considerazione mia), i rabbini si sono sempre vantati di cercare tutti i pretesti per evitare le condanne a morte, qualunque fosse l'accusa, quindi le condanne per atti omosessuali, qualunque fosse l'interpretazione data al libro del Levitico, devono essere state pochissime, se mai ce ne sono state.

Per quanto riguarda il cristianesimo, fino al 1100 circa le condanne dell'omosessualità si confondono con quelle di altri tipi di trasgressione sessuale, e l'argomento del "contro natura", che pure discende dallo stoicismo e dal neoplatonismo, non viene mai praticamente usato.

La condanna dell'omosessualità è appannaggio di poche persone, tra cui spicca Giovanni Crisostomo, dottore della chiesa noto anche per la ferocia del suo antisemitismo - però Boswell evita di stabilire un parallelo tra il suo antisemitismo e la sua omofobia, anche se in altre parti del libro non esita ad osservare come tra il 1100 ed il 1200 tanti odi si siano attizzati a vicenda.

Ciò non vuol dire che il primo millennio del cristianesimo, e l'età romana che lo ha preceduto, siano stati un periodo felice per le persone omosessuali: l'atteggiamento della società nei loro confronti è sempre stato mutevole, e Boswell, per darne conto, tenta una suddivisione che lui stesso riconosce grossolana, tra società "rurali" e società "urbane".

Nelle società "rurali" l'unica istituzione sociale che funziona è la famiglia: ogni persona conta in quanto membro di una famiglia; l'imposizione con mezzi anche feroci della castità femminile ha lo scopo di impedire la nascita di persone che possono rivendicare un posto in una famiglia - ma con il dubbio che non se lo meritino.

In questo quadro la riproduzione è il dovere principale di un individuo, e l'attività sessuale fatta per amore o per il piacere è inconcepibile; se poi è statisticamente rara (come nel caso dell'omosessualità), diventa solo per questo sospetta.

Nelle società "urbane" esistono delle istituzioni che possono occuparsi di chi non ha una famiglia (divorziate, orfani, single, ecc.) e l'individuo conta come persona e non come parte di un gruppo; in queste società c'è più spazio per l'amore nelle relazioni, e l'omosessualità è vista come espressione della propria individualità e non come renitenza alla riproduzione.

Boswell ovviamente cerca di esplorare la mutevolezza degli atteggiamenti europei verso l'omosessualità, ed osserva che la decadenza dell'impero romano riportò gran parte della società imperiale dallo stadio (se così si può chiamare) "urbano" a quello "rurale", e che la ripugnanza verso l'omosessualità del tardo impero romano (che portò anche alla sua proibizione sotto Teodosio 1°, reiterata da Giustiniano) può avere avuto ragioni più sociologiche che religiose.

Stoccata particolarmente pungente è quando osserva che i padri della chiesa meno disponibili verso l'omosessualità erano di origine rurale, non urbana - ed il fatto che nell'elenco figurino Ambrogio ed Agostino permette di stabilire un contatto con il libro "La croce e il potere / Giovanni Filoramo".

Invece, la Spagna mussulmana fu un paese molto "urbano", in cui fiorì una grande letteratura omoerotica, tra i mussulmani come tra gli ebrei; ed una letteratura omoerotica sarebbe fiorita anche in tutta l'Europa cristiana verso il 1000-1100, quando lo sviluppo economico fece rifiorire le città e la cultura "urbana".

La reazione omofoba che iniziò verso la metà del 1100 sembra aver avuto due origini: da una parte il potere civile desiderava controllare più da vicino il comportamento dei sudditi, e cominciava ad avere i mezzi per farlo; dall'altra la chiesa si sentiva sempre più minacciata, da tre nemici in particolare: ebrei, eretici, mussulmani.

Che i mussulmani fossero sessualmente (e gaiamente) più liberi dei cristiani, è abbastanza noto; un po' meno noto è che agli eretici fu affibbiata la patente dei "sodomiti", non è del tutto chiaro se a torto od a ragione.

Gli eretici più "pericolosi" erano i catari (od albigesi), che furono sterminati in una crociata; poiché era possibile ricondurre i catari della Provenza ai bogomili della Bulgaria, da "bulgaro" nel senso sia di "eretico" che di "sodomita" derivano le parole "buggerare" (in italiano), "buggery" (in inglese), "bougre" (in francese).

Sebbene anche molti cattolici compissero in realtà atti omosessuali, fu molto facile dare ad intendere che la "sodomia" era una cosa degna solo degli eretici e dei mussulmani, e condannarla per questo. Per quanto riguarda gli ebrei, subirono un'accusa peggiore - quella di rapire, salassare ed uccidere bambini cristiani per una parodia del sacrificio pasquale.

Ora la chiesa si è resa conto di aver sbagliato contro ebrei, eretici e mussulmani - ma non ha ancora tratto la relativa conclusione verso gli omosessuali, che furono perseguitati soprattutto per "consolidare le fila" in vista dello scontro con questi tre "nemici dottrinali".

Ah, una cosa che mi ha divertito molto è questa: gli anni a cavallo tra il 1100 ed il 1200 videro in tutta Europa la promulgazione di numerosi codici di leggi, nei quali apparvero per la prima volta provvedimenti contro la "sodomia".

Notevole eccezione sono tre codici di area tedesca: il Sachsenspiegel del 1233 circa, lo Schwabenspiegel del 1275, e le Costituzioni Melfitane (Liber Augustalis) del 1231, compilate per ordine di Federico 2° Hohenstaufen, alias "Stupor Mundi".

Quest'uomo era una delle persone più colte d'Europa, fondò la prima università statale e laica europea (quella di Napoli che porta il suo nome, nel 1224), il pluralismo culturale e religioso della sua corte (in cui si parlava anche arabo) era leggendario, ed alla sua fama contribuisce il non aver voluto perseguitare una minoranza assolutamente innocua.

Non ho potuto fare a meno di confrontare questi tre codici di area tedesca con la panzana di Heinrich Himmler secondo cui gli antichi germani affogavano gli omosessuali nelle paludi - se fosse stato vero, perché i loro discendenti si dimostrarono i più riluttanti di tutti a promulgare leggi omofobe nel Medioevo?

Raffaele Ladu

La croce e il potere / Giovanni Filoramo

E' un libro molto interessante, di cui darò un riassunto molto parziale - tranquilli, vi spiegherò perché.

Lo scopo del libro di Filoramo è spiegare le origini dell'intolleranza delle chiese cristiane in generale, e di quella cattolica in particolare, e lo fa concentrandosi sul periodo storico tra Costantino 1° e Teodosio 1°, tra l'Editto di Milano del 313 e quello di Tessalonica del 380 - ma molto interessante è anche la sua descrizione della religione tradizionale romana, e di come codesta riuscì ad accomodare (per citare Jean Piaget) tutti i culti con cui venne in contatto tranne quello cristiano (quello ebraico merita una menzione a parte).

Filoramo comincia spiegando che nell'antica Roma la religione non era un fattore identitario - ovvero, non è che una persona, facendo una scelta religiosa, implicitamente scegliesse il gruppo sociale di cui far parte; semmai accadeva il contrario: ogni famiglia, ogni contrada, città, provincia, eccetera, fino all'impero romano tutto, aveva le proprie divinità, e quindi solo per il fatto di nascere in una certa famiglia ed in un certo luogo si veniva inseriti in una serie di culti.

Compiere scrupolosamente gli atti di culto era ritenuto indispensabile per ricevere il favore degli dei; non era però ritenuto altrettanto indispensabile avere una "corretta opinione" ("ortodossia") su di loro, e perciò molti pagani erano in realtà scettici sull'esistenza degli dei a cui tributavano il culto, ed altri interpretavano i miti classici come allegorie filosofiche.

Il politeismo è più tollerante del monoteismo - si trova sempre il modo di accomodare un nuovo culto - e capitò talvolta che diversi culti fossero importati a Roma per decisione del Senato; un esempio interessante (ne parla il nostro concittadino Catullo) è il culto di Cibele, importato a Roma durante la Seconda Guerra Punica, per fornirle un alleato anche religioso contro Cartagine e tutto ciò che essa rappresentava.

Se molti cittadini romani poterono permettersi di venire "iniziati" al culto di divinità orientali come la già citata Cibele, Iside, Mitra, Arpocrate, eccetera, senza con questo abiurare al culto delle divinità tradizionali che dovevano adorare per nascita, e senza perciò suscitare preoccupazioni, non era così quando il cittadino intendeva passare ad una religione monoteistica.

La Bibbia dice che Israele ha un dio geloso; poiché però l'ebraismo è una religione etnica (secondo cui Dio ha scelto un popolo particolare a cui ha dato una Rivelazione particolare ed ha imposto precetti diversi da quelli che sono tenuti a rispettare gli altri popoli), che non aspira a diventare la religione di tutta l'umanità, i conflitti con la religione romana furono minimi - i romani impararono a non urtare la suscettibilità degli ebrei, i quali a loro volta pregavano e pregano tuttora per le autorità costituite nei modi previsti dalla loro religione - almeno finché la religione ebraica non divenne il pretesto delle rivolte del 66-70 e 132-135 dell'era volgare, con conseguenze estremamente spiacevoli.

Quando però un monoteismo aspira a diventare la religione di tutta l'umanità, mentre l'osservanza dei culti tradizionali (e di quello dell'imperatore) che questo monoteismo rifiuta è considerata indispensabile per la solidità dello stato e la "pax deorum = pace con gli dei", i conflitti diventano inevitabili; sostenere inoltre che i suoi aderenti sono cittadini di un altro mondo, e di questo sono solo ospiti, pone questo monoteismo in rotta di collisione con chi esige un pieno impegno sociale e politico in questo mondo.

Le persecuzioni non estirparono il cristianesimo, ed il breve periodo in cui Giuliano l'Apostata tentò di disfare quello che avevano fatto Costantino 1° ed i suoi successori, reinstaurando il paganesimo, convinse semmai i cristiani ad eliminare questo pericolo distruggendo completamente il paganesimo.

Ma la ragione principale dell'intolleranza cristiana sta nella ricerca di uniformità dottrinale - sconosciuta, tra l'altro, all'ebraismo da cui proviene (nessun ebreo ha mai negato ad un altro la qualifica di ebreo a causa di un dissenso sulla struttura della divinità; invece il convertirsi all'ebraismo e disapplicare i precetti può costare l'annullamento della conversione - a dimostrazione che per l'ebraismo la pratica è molto più importante della teoria).

Se ad una religione il potere civile non affida compiti particolari, le dispute teologiche o disciplinari, per quanto accese, rimangono affari interni alla chiesa ed ai fedeli; se però un imperatore come Costantino 1° affida non più al politeismo pagano ma al monoteismo cristiano il compito di mediare tra il secolo ed il divino, allora le divisioni interne rischiano di trasformarsi da religiose in politiche, e la religione, anziché unificare l'impero, lo disgrega.

E l'eretico od il non-cristiano non sono più semplicemente persone di diversa opinione, ma un rischio per la coesione sociale - vanno perciò trattati come rei di lesa maestà.

Tutto questo impose a Costantino (benché, come molti cristiani del suo tempo, fosse "catecumeno a vita", facendosi battezzare solo in punto di morte) numerose interferenze negli affari ecclesiastici, di cui la convocazione del Concilio di Nicea del 314, con lo scopo (fallito) di comporre l'eresia ariana, fu solo l'esempio più evidente - ed i suoi successori ebbero meno ritegno di lui.

Già con i suoi successori cominciò ad emergere una differenza tra Oriente ed Occidente nel modo di intendere i rapporti tra Stato e Chiesa: mentre l'imperatore in Oriente assunse una dignità superiore a quella di un vescovo, e finì con il sottomettere la chiesa al proprio volere (inaugurando uno stile di governo detto "cesaropapismo", caratteristico non solo dell'impero bizantino e di quello russo, ma anche dei paesi islamici, che in questo come in altri campi avrebbero imitato le istituzioni bizantine), in Occidente la chiesa si trovò spesso ad essere l'unica istituzione funzionante in un impero traballante - con il risultato che riuscì a rivendicare la supremazia sull'impero.

Nel riassumere il libro ho badato soprattutto al contributo del potere civile al crearsi di questo stato di cose, un po' perché non sono ferrato in teologia, ed un altro po' perché il potere civile riguarda tutti, ma la teologia cristiana solo chi fa parte della chiesa; Filoramo però dedica molto spazio anche ai vescovi ed ai teologi cristiani che ne hanno approfittato oppure teorizzato tutto questo - principalmente Atanasio, Ambrogio, Agostino; quello che scrivono in proposito risulta ora indigesto perfino alla maggior parte dei cattolici post-Vaticano 2° - il che non toglie che abbia fatto molto danno.

Tutto questo fa pensare che l'intolleranza cristiana sia tanto radicata (e con basi scritturali non trascurabili) che l'unica cosa che si possa fare sia mettere le chiese in una "sandbox", ovvero imporre una rigorosa separazione tra chiesa e stato, che impedisca a codesta intolleranza di nuocere anche a chi non riconosce l'autorità di codeste chiese - e senza che, di contro, chiese e fedeli abbiano da temere abusi da parte dello stato.

Raffaele Ladu

Savage risponde a Cain



Dan Savage è un "columnist" americano gay molto famoso (ha un blog, ma viene pubblicato in syndication da molte testate); e se una volta suscitava le ire di molti dicendo che la bisessualità non esisteva, qualcuno gli ha recentemente fatto capire che aveva torto.

Visto che uno dei candidati repubblicani alla Casa Bianca, Herman Cain, ha detto che “essere gay è una scelta”, lui ha risposto:
Caro Herman, 
se essere gay è una scelta, daccene la prova. Fai la scelta. Scegli di essere gay tu stesso. Mostra all’America come si fa, Herman, mostraci come un uomo può scegliere di essere gay. Ciucciami il cazzo, Herman. Dimmi quando e dove, e porto il mio cazzo, una troupe con la videocamera, mi sgonfi con un pompino, e vinci la discussione. 
Tuo per sempre,
Dan Savage
Savage ha aggiunto:
“Quando qualcuno sostiene che essere gay è una scelta, non sta solo insultando i gay (e mostrando la sua ignoranza della scienza dell’orientamento sessuale). Insulta gli etero. Se l’omosessualità è una scelta, così lo è anche l’eterosessualità. La scorsa notte alla CNN Herman Cain ha detto che essere etero è una cosa che un etero può prendere o lasciare. Herman Cain pensa che l’eterosessualità sia una cosa da cui un eterosessuale può fuggire, come una casa allagata od un pasto orribile. Gli etero dovrebbero arrabbiarsi quando sentono un etero dire cose del genere”.
A questo botta e risposta tra Cain e Savage si può aggiungere l'osservazione che si trova qui:


secondo cui Cain avrebbe detto che la differenza tra appartenere ad una minoranza sessuale ed una razziale è che nel primo caso puoi "lavar via" la tua appartenenza, nel secondo caso no.

Ammesso e non concesso che l'appartenere ad una minoranza sessuale possa essere "lavato via", ovvero si possa uscire da quella minoranza per scelta, colui che vuole diventare Presidente degli USA si rende conto che ci sono appartenenze da cui si può in teoria uscire, ma che sarebbe inumano pretenderlo?

  • Si può perseguitare chi ha un coniuge di un certo tipo, perché da l*i avrebbe potuto divorziare?
  • Si può perseguitare chi ha dei figli di un certo genere, perché avrebbe potuto abortirli?
  • Si può perseguitare chi appartiene ad una religione, perché tanto lui può convertirsi ad un'altra?
  • Si può perseguitare chi appartiene ad un popolo o un'etnia, nel caso quest'etnia o popolo abbiano un meccanismo che consenta a chi ne fa parte di abbandonarli?
  • Si può perseguitare chi coltiva ed esprime idee politiche, filosofiche, etiche di minoranza?
  • Si possono discriminare le donne, perché se dal punto di vista medico la transizione da femmina a maschio è possibile con discreti risultati, si può perciò supporre che chi si ostina a rimanere donna lo faccia per scelta?
Ci sono scelte che non si possono discutere, specialmente in un paese libero come l'America, e Cain se ne deve essere dimenticato.

Raffaele Ladu

Un deputato leghista si offende perché gli danno dell'omofobo

http://www.corriere.it/politica/11_ottobre_20/twitter-camera-rissa-ferrari-poliedri_9563bbc2-fb28-11e0-b6b2-0c72eeeb0c77.shtml

L'articolo riporta la prima rissa alla Camera dei Deputati italiana causata da un post su Twitter.

Pierangelo Ferrari, PD, posta su Twitter:

«L'on Polledri, Lega, ultracattolico e omofobo, interviene attaccando la Bce. Nel nome di CrediNord, la banca leghista fallita»

Massimo Polledri, Lega Nord, non ribatte su Twitter, ma va da Pierangelo Ferrari strillando:

"Mi hai dato del malato!"

Uno pensa che i nostri deputati finalmente abbiano aperto un libro di medicina e si siano resi conto che l'omosessualità non è una malattia, ma non è così per l'omofobia, e quasi se ne rallegra; ma con ogni probabilità è successo quello che hanno detto altri deputati - ovvero che Polledri ha equivocato, e la sua ignoranza è confermata.

Un anonimo utente Twitter ha commentato:

"Io la conosco la differenza tra omofobo ed omosessuale ... sono pronto per il Parlamento?"

Direi che lui è troppo intelligente per fare il politico. In Israele si commenta amaramente: una volta gli insegnanti per lodare un alunno dicevano che aveva la testa che ci voleva per fare il ministro - ora un simile apprezzamento può motivare una querela per diffamazione. Non è diverso in Italia.

Raffaele Ladu