La croce e il potere / Giovanni Filoramo

E' un libro molto interessante, di cui darò un riassunto molto parziale - tranquilli, vi spiegherò perché.

Lo scopo del libro di Filoramo è spiegare le origini dell'intolleranza delle chiese cristiane in generale, e di quella cattolica in particolare, e lo fa concentrandosi sul periodo storico tra Costantino 1° e Teodosio 1°, tra l'Editto di Milano del 313 e quello di Tessalonica del 380 - ma molto interessante è anche la sua descrizione della religione tradizionale romana, e di come codesta riuscì ad accomodare (per citare Jean Piaget) tutti i culti con cui venne in contatto tranne quello cristiano (quello ebraico merita una menzione a parte).

Filoramo comincia spiegando che nell'antica Roma la religione non era un fattore identitario - ovvero, non è che una persona, facendo una scelta religiosa, implicitamente scegliesse il gruppo sociale di cui far parte; semmai accadeva il contrario: ogni famiglia, ogni contrada, città, provincia, eccetera, fino all'impero romano tutto, aveva le proprie divinità, e quindi solo per il fatto di nascere in una certa famiglia ed in un certo luogo si veniva inseriti in una serie di culti.

Compiere scrupolosamente gli atti di culto era ritenuto indispensabile per ricevere il favore degli dei; non era però ritenuto altrettanto indispensabile avere una "corretta opinione" ("ortodossia") su di loro, e perciò molti pagani erano in realtà scettici sull'esistenza degli dei a cui tributavano il culto, ed altri interpretavano i miti classici come allegorie filosofiche.

Il politeismo è più tollerante del monoteismo - si trova sempre il modo di accomodare un nuovo culto - e capitò talvolta che diversi culti fossero importati a Roma per decisione del Senato; un esempio interessante (ne parla il nostro concittadino Catullo) è il culto di Cibele, importato a Roma durante la Seconda Guerra Punica, per fornirle un alleato anche religioso contro Cartagine e tutto ciò che essa rappresentava.

Se molti cittadini romani poterono permettersi di venire "iniziati" al culto di divinità orientali come la già citata Cibele, Iside, Mitra, Arpocrate, eccetera, senza con questo abiurare al culto delle divinità tradizionali che dovevano adorare per nascita, e senza perciò suscitare preoccupazioni, non era così quando il cittadino intendeva passare ad una religione monoteistica.

La Bibbia dice che Israele ha un dio geloso; poiché però l'ebraismo è una religione etnica (secondo cui Dio ha scelto un popolo particolare a cui ha dato una Rivelazione particolare ed ha imposto precetti diversi da quelli che sono tenuti a rispettare gli altri popoli), che non aspira a diventare la religione di tutta l'umanità, i conflitti con la religione romana furono minimi - i romani impararono a non urtare la suscettibilità degli ebrei, i quali a loro volta pregavano e pregano tuttora per le autorità costituite nei modi previsti dalla loro religione - almeno finché la religione ebraica non divenne il pretesto delle rivolte del 66-70 e 132-135 dell'era volgare, con conseguenze estremamente spiacevoli.

Quando però un monoteismo aspira a diventare la religione di tutta l'umanità, mentre l'osservanza dei culti tradizionali (e di quello dell'imperatore) che questo monoteismo rifiuta è considerata indispensabile per la solidità dello stato e la "pax deorum = pace con gli dei", i conflitti diventano inevitabili; sostenere inoltre che i suoi aderenti sono cittadini di un altro mondo, e di questo sono solo ospiti, pone questo monoteismo in rotta di collisione con chi esige un pieno impegno sociale e politico in questo mondo.

Le persecuzioni non estirparono il cristianesimo, ed il breve periodo in cui Giuliano l'Apostata tentò di disfare quello che avevano fatto Costantino 1° ed i suoi successori, reinstaurando il paganesimo, convinse semmai i cristiani ad eliminare questo pericolo distruggendo completamente il paganesimo.

Ma la ragione principale dell'intolleranza cristiana sta nella ricerca di uniformità dottrinale - sconosciuta, tra l'altro, all'ebraismo da cui proviene (nessun ebreo ha mai negato ad un altro la qualifica di ebreo a causa di un dissenso sulla struttura della divinità; invece il convertirsi all'ebraismo e disapplicare i precetti può costare l'annullamento della conversione - a dimostrazione che per l'ebraismo la pratica è molto più importante della teoria).

Se ad una religione il potere civile non affida compiti particolari, le dispute teologiche o disciplinari, per quanto accese, rimangono affari interni alla chiesa ed ai fedeli; se però un imperatore come Costantino 1° affida non più al politeismo pagano ma al monoteismo cristiano il compito di mediare tra il secolo ed il divino, allora le divisioni interne rischiano di trasformarsi da religiose in politiche, e la religione, anziché unificare l'impero, lo disgrega.

E l'eretico od il non-cristiano non sono più semplicemente persone di diversa opinione, ma un rischio per la coesione sociale - vanno perciò trattati come rei di lesa maestà.

Tutto questo impose a Costantino (benché, come molti cristiani del suo tempo, fosse "catecumeno a vita", facendosi battezzare solo in punto di morte) numerose interferenze negli affari ecclesiastici, di cui la convocazione del Concilio di Nicea del 314, con lo scopo (fallito) di comporre l'eresia ariana, fu solo l'esempio più evidente - ed i suoi successori ebbero meno ritegno di lui.

Già con i suoi successori cominciò ad emergere una differenza tra Oriente ed Occidente nel modo di intendere i rapporti tra Stato e Chiesa: mentre l'imperatore in Oriente assunse una dignità superiore a quella di un vescovo, e finì con il sottomettere la chiesa al proprio volere (inaugurando uno stile di governo detto "cesaropapismo", caratteristico non solo dell'impero bizantino e di quello russo, ma anche dei paesi islamici, che in questo come in altri campi avrebbero imitato le istituzioni bizantine), in Occidente la chiesa si trovò spesso ad essere l'unica istituzione funzionante in un impero traballante - con il risultato che riuscì a rivendicare la supremazia sull'impero.

Nel riassumere il libro ho badato soprattutto al contributo del potere civile al crearsi di questo stato di cose, un po' perché non sono ferrato in teologia, ed un altro po' perché il potere civile riguarda tutti, ma la teologia cristiana solo chi fa parte della chiesa; Filoramo però dedica molto spazio anche ai vescovi ed ai teologi cristiani che ne hanno approfittato oppure teorizzato tutto questo - principalmente Atanasio, Ambrogio, Agostino; quello che scrivono in proposito risulta ora indigesto perfino alla maggior parte dei cattolici post-Vaticano 2° - il che non toglie che abbia fatto molto danno.

Tutto questo fa pensare che l'intolleranza cristiana sia tanto radicata (e con basi scritturali non trascurabili) che l'unica cosa che si possa fare sia mettere le chiese in una "sandbox", ovvero imporre una rigorosa separazione tra chiesa e stato, che impedisca a codesta intolleranza di nuocere anche a chi non riconosce l'autorità di codeste chiese - e senza che, di contro, chiese e fedeli abbiano da temere abusi da parte dello stato.

Raffaele Ladu