Recensione: Margherita Graglia, Psicoterapia e omosessualità, Carocci Faber 2009


Il libro

Graglia, Margherita
Psicoterapia e omosessualità
Carocci Faber 2009

vuole essere una guida per lo psicoterapeuta che, uscito dall'università e dalla scuola di specializzazione con poche nozioni (e magari d'annata) sull'omosessualità, ha bisogno non solo di aggiornarsi intellettualmente, ma anche di reimpostare il proprio approccio verso l'omosessualità e gli omosessuali di ambo i sessi.

L'autrice si ritiene perciò obbligata nel primo capitolo (L'identità sessuale) a:
- chiarire la differenza tra identità di genere (sentirsi "maschi" o "femmine" - per semplicità ci limitiamo a questo), ruolo di genere (comportarsi da "maschi" o da "femmine"), orientamento sessuale (sentirsi attratti affettivamente e sessualmente dal proprio sesso, da quello opposto, o da entrambi) - non sono solo i profani a confondere il travestitismo con l'omosessualità, od a credere che il bimbo che gioca con le bambole manifesta precoci tendenze gay;

- precisare che l'orientamento sessuale non è un costrutto categoriale (o si è omo, o si è etero, o si è bi), e nemmeno unidimensionale: per esempio, una persona può avere comportamenti esclusivamente etero, ma anche delle fantasie e dei sentimenti omo;

- puntualizzare che poiché diversi studi danno importanza a diverse dimensioni dell'orientamento sessuale, questo spiega in parte le diverse stime della "prevalenza" dei gay e delle lesbiche - l'autrice stima che siano tra il 3 e l'8% della popolazione generale;

- avvertire che nessuna ricerca sulle cause dell'omosessualità ha portato a risultati incontrovertibili - e si potrebbe anche osservare che è molto strano che nessuno indaghi sulle cause dell'eterosessualità;

- ricordare infine che l'orientamento sessuale, per quanto parte importante del Sé di una persona, non è l'unica componente della propria identità personale; è un errore grave trascurarlo, ma altrettanto grave errore è appiattire la persona nel suo essere gay, lesbica o bi.

Il secondo capitolo (Dal paradigma della patologia a quello della variazione) è una rassegna storica delle teorie medico-psicologiche dell'omosessualità - una galleria degli orrori che vi consiglio di leggere a stomaco vuoto.

Il terzo capitolo (Prospettive contemporanee sulla salute GLB) [il libro non si occupa dei/delle trans] è il più interessante, in quanto spiega in modo chiaro e semplice le prove che la società eterosessista e spesso omofoba impone agli omosessuali, ma anche le risorse con cui loro possono far fronte; può sembrare strano, ma un paragrafo interessante (3.2.3. La resilienza) mostra come l'essere gay o lesbica possa essere vantaggioso rispetto all'essere etero.

I motivi elencati dal testo li riassumo così: l'essere una minoranza (sessuale, in questo caso) costringe a mettere in discussione gli stereotipi correnti ad a sperimentare nuovi modi di vivere, più autentici ed appaganti di quelli che la maggioranza (etero, in questo caso) ha costruito per se stessa, e che in qualche modo imprigionano anche lei.

Il quarto capitolo (La psicoterapia con pazienti GLB) mostra quali problemi tipicamente GLB possono essere portati in terapia - come la paura di svelarsi, il dubbio che essere gay o lesbica significhi essere meno donna o meno uomo, la necessità di reimpostare i rapporti con genitori, amici e figli; il capitolo affronta anche le peculiarità dei disturbi sessuali che possono accusare gay e lesbiche.

Secondo l'autrice, raramente i gay lamentano eiaculazione precoce (si lamenta più frequentemente l'eiaculazione ritardata), anche perché le tecniche erotiche più usate sono la stimolazione orale e manuale del partner, che non impongono una grande "durata" per soddisfarlo; durante il sesso anale si può provare un dolore che ha un nome specifico (anodispareunia), ed il disturbo sessuale più lamentato dai gay sembra la disfunzione erettile, specialmente mentre si accoglie nell'ano il membro del partner.

Per le lesbiche si era coniata l'espressione "lesbian bed death syndrome = sindrome della morte del letto lesbico", ma l'autrice tende a ritenerla un mito. Innanzitutto, la sessuologia sta cominciando solo ora a liberarsi dei suoi presupposti maschilisti ed eterosessisti, ed a rendersi conto che misurare la soddisfazione erotica contando gli orgasmi e trascurando le forme di intimità diverse dal rapporto sessuale è limitativo per i maschietti ed assolutamente inadatto alle donne.

Tenendo presente che le donne lesbiche raggiungono l'orgasmo più facilmente ed intensamente delle etero, e che prolungate effusioni, anche non finalizzate all'orgasmo, sono per loro assai appaganti, la palma della soddisfazione erotica non va certo alle donne impegnate in relazioni etero, le quali sono limitate dalla meno favorevole risposta sessuale maschile.

Inoltre, l'autrice fa notare che negli anni '70 si privilegiava l'impegno politico alla felicità privata - e la sfera sessuale non poteva che risentirne. Ora che la situazione è cambiata, il sesso ha ben superiore importanza anche nei rapporti tra donne, e la "morte del letto lesbico" potrebbe essere archiviata tra i disturbi del passato.

Il quinto capitolo (I terapeuti con i pazienti GLB) misura la strada che devono ancora fare i terapeuti per essere realmente accoglienti verso i pazienti GLB. I classici assunti dell'eterosessismo sono anche qui all'opera:

- si dà per scontato che il paziente sia etero;

- si presume che l'eterosessualità non abbia bisogno di spiegazioni, mentre l'omosessualità la si ritiene sempre motivata da una sventura;

- anche se è ormai vietato considerare l'omosessualità una patologia, ciononostante la si considera meno ottimale dell'eterosessualità;

- se il paziente gay o la paziente lesbica hanno la sventura di avere dei sintomi psicopatologici, rischiano di ricevere una diagnosi più grave ed una terapia più aggressiva di un analogo paziente etero (se vi consola, la stessa cosa era stata notata nei pazienti americani di colore rispetto ai pazienti bianchi);

- pochi terapeuti sembrano capire l'importanza dell'associazionismo LGBT, vedendolo come una forma di autoghettizzazione; questo mostra, a mio avviso, che non hanno capito che cos'è un orientamento sessuale - ne parlerò in altra sede;

- gli stereotipi introiettati dal terapeuta spesso velano la comprensione del o della paziente non etero - un esempio particolarmente sgradevole che viene riportato è quello della paziente che lamentava un calo della libido sbrigativamente attribuito al suo lesbismo, mentre imputati più convincenti sembravano gli psicofarmaci che le erano stati prescritti (e che, tra parentesi, sono nefasti anche per il maschietto etero, il paziente che hanno in mente gli autori di testi di psichiatria).

Due casi interessanti sono quelli del terapeuta omofobo per motivi religiosi (da evitare anche quando non tenta di "riorientare" il/la paziente), e quello del terapeuta gay o lesbico.

Infatti quest'ultimo terapeuta deve decidere se fare il coming-out con i suoi pazienti; ci sono scuole (come quelle freudiane) che vorrebbero che il terapeuta fosse uno specchio obbiettivo e che di sé rivelasse il meno possibile (e quindi nemmeno il proprio orientamento sessuale), ed altre possibiliste - il terapeuta deve valutare l'opportunità di questa rivelazione caso per caso.

Purtroppo, non tutti i terapeuti hanno fatto il coming-out nel loro ambiente professionale, e questo li può limitare assai; ci sono i casi comici, in cui il terapeuta sa che i colleghi sanno, e loro sanno che lui sa quello che sanno - ma nessuno apre bocca e tutti recitano una commedia degli errori di cui pagano le spese i pazienti.

Infatti, un caso tragico citato dall'autrice è quello dell'anziano gay rimasto da poco vedovo del suo partner, che, vivendo in un paese molto piccolo, non aveva conosciuto altri gay che lui, e si trovava per caso (caso pilotato, perché era stato consigliato da un'altra terapeuta che aveva mangiato la foglia) in analisi con un analista gay.

Sarebbe stato di gran giovamento per lui sapere che l'analista non lo considerava un marziano, perché sapeva per diretta esperienza che significava essere gay, ma l'analista non se la sentì di dire al paziente quello che aveva taciuto ai colleghi.

I terapeuti dichiaratamente gay e lesbiche sono una novità recente (l'Associazione Psicoanalitica Americana ha ammesso queste persone al training solo nel 1992), ma anche loro possono riferire spiacevoli casi di discriminazione all'interno delle loro scuole di psicoterapia.

E capita ancora che le persone che vogliono diventar terapeuti e che, per un motivo o per l'altro, si occupano di questioni LGBT, siano vittime di piccoli episodi di omofobia in quanto sospettate di essere gay o lesbiche. Sono cose che sarebbero più degne della scuola in cui ha studiato Renzo Bossi che di una scuola di psicoterapia!

Nessuno è perfetto, purtroppo, e non è nemmeno garantito che lo psicoterapeuta gay o lesbico sia l'ideale per il paziente gay o lesbico - il terapeuta potrebbe sovrapporre la propria esperienza a quella del paziente dando troppe cose per scontate.

Inoltre, alcune scuole di psicoterapia (come le freudiane) prescrivono che il terapeuta ed il paziente non si incontrino fuori dallo studio - che fare se i due si incontrano invece in un luogo di battuage, od in un locale LGBT, in un'occasione culturale, eccetera?

Il libro è ovviamente più complicato del riassunto che ne ho fatto; poiché però è lungo appena 158 pagine (più indici e bibliografia), ed i tecnicismi non sono troppi, vale la pena leggerlo.