Diario di un gay in fuga

Ha pedalato più di 30 mila chilometri (9 volte il giro d'italia). Da Brescia all'Australia per scappare da una vita che gli sfuggiva e dai suoi tormenti di omosessuale. Sofferenze, gioie e paesaggi che adesso ha messo in un libro

 

Con il fisico che si ritrova potrebbe giocare pilone in una squadra di rugby. Invece Francesco Gusmeri, bresciano, 40 anni, occhi vispi e modi gentili, ha scelto la bicicletta per la sua percussione intercontinentale. Un giorno, il 15 maggio 2007, ha tirato fuori dal garage la Matarozza, la mountain bike di tutta la vita, ed è partito per l'Australia. L'ha fatto per una ragione molto semplice: essere felice. <<Per anni mi sono fatto risucchiare dall'illusione della palanche (soldi, in dialetto bresciano), della Bmw e delle sacrosante dieci ore di lavoro al giorno. Ma qualcosa non funzionava, sentivo che la vita mi sfuggiva come una saponetta. Così ho fatto saltare tutto per aria. E la bicicletta è stato il detonatore>>.

Un viaggio che somiglia a una fuga (raccontata nel suo libro Prendo la buci e vado in Australia, Ediciclo Editore, in uscita in questi giorni), perché il carico emotivo è sempre pesante quando c'è un uomo che pedala solitario. In cima all'Izoard come nel deserto cinese del Taklimakan. Nel carico di Gusmeri ci sono anche i tormenti di un omosessuale che ha sofferto a lungo per accettarsi e farsi accettare.

 

Lei è uscito di casa, ha preso la bicicletta e ha attraversato metà del pianeta. Che sensazioni ha provato la mattina della partenza?

<<Non sono dei momenti, dopo mesi di preparativi ti rendi conto di non essere pronto per niente. Sono partito sgomento, con un groppone in gola e una strana paura addosso. D'altronde quello è il momento dello strappo, per quanto voluto fa impressione. Anche l'arrivo mi ha giocato un brutto scherzo: più che aver conquistato qualcosa, avevo la sensazione di averla persa>>.

           

Come si fa a decidere di mollare tutto e partire per un viaggio di 30 mila chilometri?

<<Bisogna essere abbastanza disperati, desiderare la fuga più di tutto. Io vivo a Brescia, gli argomenti che vanno per la maggiore sono la figa e i motori. Già i ciclisti vengono guardati male, figuriamoci i ciclisti gay.

La nostra è una società rigida che non ti permette di essere te stesso. Se vuoi farlo prima o poi, arrivi a un punto di rottura. Per me, è stato il viaggio in Australia>>.

 

            Perche questa destinazione?

<<Non avevo il mito dell'Australia, era semplicemente il traguardo più lontano. Poi però Melbourne mi ha offerto una grande possibilità. Una volta arrivato, infatti, ho capito che in nessun Paese come quello avrei potuto avere una vita normale, libera dai condizionamenti. Ho sognato di fermarmi lì per sempre. Purtroppo mi è mancato il coraggio e sono tornato. Adesso ne sto pagando il prezzo>>.

 

In che senso?

<<Nel senso che il ritorno è stato traumatico, come immaginavo. Sapevo che mi sarei sentito un disadattato per un sacco di tempo, che non sarebbe stato facile trovare un nuovo lavoro e che la libertà sarebbe evaporata in poco tempo. E così è stato>>.

            

Ma allora che cosa resta di un viaggio del genere?

<<Un nuovo equilibrio, perché 30 mila chilometri in bicicletta ti cambiano soprattutto la testa. A quarant'anni mi ritrovo con un lavoro precario e meno soldi di dieci anni fa. Però sono più felice>>.

 

Tra i paesi che ha attraversato nel suo viaggio c'è anche l'Iran, dove l'omosessualità è vietata per legge. Che impressione le ha fatto?

<<L'omosessualità è un tabù, ma l'ospitalità e il calore che ho trovato in Iran sono tra i ricordi più belli di tutto il viaggio. Solo arrivare a Mashhad mi ha fatto un po' impressione poiché lì, qualche tempo prima, due ragazzi poco più che teenager erano stato impiccati nella piazza centrale, Edalat Square. La loro colpa? Essere omosessuali. E' uno dei pochi momenti in cui ho rivalutato la cultura occidentale. Che poi "occidente" cosa vuol dire ? Brescia e San Francisco non saranno mica la stessa cosa?>>.

 

Qual è stato il tratto più duro del suo viaggio?

<<Beh, forse il prezzo più duro è quello che mi sono risparmiato, sull'altopiano tibetano. Era ottobre, mi trovavo nel deserto del Taklimakan e le condizioni meteo erano già durissime. Quando montavo e smontavo la tenda, la temperatura era sempre sotto lo zero. In più, la bicicletta sfiorava i 70 chili di peso perché avevo ingenti scorte di salire a oltre 4 mila metri di quota. Quella deviazione, però mi è costata mille chilometri extra nel deserto>>.

 

In Cina è stato a casa di Giorgio Bettinelli, mitico vespista e giramondo, morto nel 2008. Che ricordo ha?

<<Bellissimo. Una persona vitale, curiosa, capace di trasformare il viaggio anarchico in uno stile di vita. Quando sono arrivato a casa sua, a Jinghong, stava insegnando a due splendide ragazze a giocare a biliardo. Era parecchio gasato, sembrava un adolescente scalmanato. Lo ammiro per il coraggio con cui ha portato avanti la sua scelta di vivere in modo avventuroso>>.

 

E quello che vede anche nel suo futuro?

<<Prima o poi, la febbre del viaggio mi tornerà. Ho già fatto qualche pensiero sull'Africa, ma anche le Americhe mi attirano. E magari questa volta troverò anche il coraggio di non tornare>>.

 

Da sport week del 4 giugno 2011

Simone Gennari