Sì vuol dire sì

Mi permetto di tradurre un articolo comparso su "The Jewish Daily Forward", un venerando giornale ebraico-americano:
(quote)
Le ebree che decidono di essere troie come vuole lo stereotipo
Di Elissa Strauss
Il successo delle "Slutwalks" - le marce antistupro che sono nate come reazione al commento di un piedipiatti canadese, che disse che vestirsi da troie incoraggia le aggressioni sessuali, e si sono estese a tutto il mondo - ha stimolato un dibattito sull'uso della parola "slut = troia". Alcune, come Gail Dines e Wendy J. Murphy, del Guardian, si oppongono al termine, perché "la parola 'troia' è così profondamente radicata nella visione dicotomica patriarcale 'madonna/puttana' della sessualità femminile, da non poter essere riscattata."
Invece, Chloe Angyal di Feminsting [gioco di parole: "Femin(i)sting = fare la femminista"; "Femin-sting = Pungiglione femminile"] difendono l'uso del termine da parte delle attiviste, spiegando che il termine "Slutwalk" ha avuto un così enorme successo nel rendere le donne "arrabbiate ed attive, nonché ispirate" a non accettare più stronzate. Il dibattito è buono, ma, alla fine, non è nulla di nuovo per le donne ebree, che sono sempre state vittime degli stereotipi sulla loro sessualità. Io do ragione ad Angyal, di "Team Sluts = Troie in branco" - e vi spiego perché.
Per molte generazioni le "J.A.P. = Jewish American Princesses = Principessine Ebree Americane" furono viste come asessuate e/o frigide, uno stereotipo che ha fornito molto materiale all'umorismo ebraico. Per esempio: "Qual è la posizione preferita della J.A.P.? Di fronte a Tiffany!" Oppure: "Il marito di una J.A.P. stava facendo l'amore con la mogliettina quando lei, con grande sua sorpresa, si dimenò ed emise un gridolino di piacere. 'Mio Dio, tesoro!', egli gridò, 'Che è accaduto?' 'Che meraviglia,' rispose lei, 'Mi sono infine resa conto che quelle tende sarebbero più belle se fossero di color pesca!'"
Ma nell'ultimo decennio circa, siamo state trasferite all'altra estremità dello spettro, ed ora ci considerano delle vere e proprie troie.
In alcune cerchie le ebree sono viste come l'alternativa esotica, dallo spirito libero, con le tettone e le trecce selvagge alle simpatiche donne cristiane dai capelli lisci a cui è stata insegnata l'astinenza fino al matrimonio. Diverse definizioni alquanto creative della Principessina Ebraica Americana che si trovano nell'Urban Dictionary fanno riferimento alla nostra presunta promiscuità. Ed in tutti gli anni in cui flirtavo ho incontrato non pochi uomini non ebrei pronti a spiegare, facendo l'occhiolino, quanto erano convinti che le ragazze ebree fossero calde. La nostra reputazione è stata siglata quando Details ha pubblicato un "articolo di tendenza" sull'ascesa della calda ragazza ebrea. L'articolo spiegava:
In un recente sondaggio sul pornoblog Fleshbot, le "ragazze ebree" erano la seconda cosa più desiderata (la prima erano le "lentiggini"). E non è che le ebree furoreggino solo nel mondo XXX: nelle serie TV "Mad Men" e "Glee" seducono i non ebrei, ed agli appassionati di cinema fanno venire i coccoloni quando sentono dire che il film "Il cigno nero" di Darren Aronofsky mostra un rapporto tra le due JILF [Jewess I'd Like to Fuck = Ebrea che Mi Farei] Natalie Portman e Mila Kunis.
Per me, essere una J.A.P. "troia" mi ha offerto un modo di pensare alla mia sessualità che assomiglia a quello che incoraggiano le "Slutwalks". Mi ha aiutato a non associare la mia sessualità con la colpa o la vergogna, ma mi ha indicato un mondo di potere sessuale femminile in cui "sì vuol dire sì". Certo, venire ritenuta promiscua ha le sue connotazioni negative. Ma allo stesso tempo, e non senza ironia, può dare potere. Quando tutti gli altri pensano che tu sia sessuale, è molto più semplice dire: "Sì, certo, sono sessuata." Ed una volta che ti senti a tuo agio a dirlo, sei un passo più vicina al sentire di controllare la situazione.
(unquote)
Credo che l'ultima frase ("Ed una volta che ti senti a tuo agio a dirlo, sei un passo più vicina al sentire di controllare la situazione") vada interpretata al contrario: è quando si sente di controllare la situazione che si può agevolmente esprimere la propria sessualità e la propria trasgressività.
Negli USA è stato notato che le donne lesbiche si comportano in modo sempre più simile ai maschi gay, il che fa pensare che si siano trasformate in modo simile alle "J.A.P." di cui parla l'articolo - e questo è stato possibile perché anche loro hanno smesso di sentirsi inferiori ad altre donne.
E, ovviamente, "sì vuol dire sì" implica che "no vuol dire no".
Raffaele Ladu