Recensione: Eva Cantarela, Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico.

Eva Cantarella
Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico.
BUR 2008 (3^ Edizione)


Il libro non è nuovissimo (la prima edizione è del 1988 e nel 2006 è stato aggiornato semplicemente aggiungendo un'appendice), ma comunque interessantissimo, tantopiù che, quando si parla di omosessualità nel mondo occidentale, è inevitabile far riferimento al mondo greco e romano.

Se attualmente l'omosessualità maschile e quella femminile vengono equiparate dal punto di vista sociale e giuridico, dacché uomini e donne sono titolari di eguali diritti, nel mondo classico ce se ne guardava bene.

Eva Cantarella comincia infatti spiegando che nella società greca più antica, quella che precedette la nascita della polis, e di cui rendono testimonianza i poemi omerici e le liriche più antiche, l'omosessualità maschile aveva un valore iniziatico, e veniva perciò socialmente regolamentata.

L'ideale era che un uomo adulto corteggiasse e seducesse infine un fanciullo adolescente (età tra i 12-17 anni); il rapporto che si creava non doveva essere soltanto erotico (in cui l'adulto era attivo ed il fanciullo passivo), ma anche pedagogico - in quanto l'adulto si faceva carico di iniziare il giovane alla vita ed al ruolo di cittadino.

All'uscita dall'adolescenza si trovava al giovane una moglie, ma era lecito se non raccomandato che il giovane adulto da iniziato divenisse iniziatore, ovvero trovasse dei fanciulli da amare (diciamo pure così) come lui era stato amato.

Raramente un rapporto omosessuale nato così durava oltre l'ingresso del più giovane nella vita adulta, anche se la storia ci ha tramandato notevoli eccezioni - la più bella mi è parsa la storia del drammaturgo Euripide con Agatone, che durò finché Euripide ebbe 72 anni ed Agatone 40.

La legge evitava di interferire troppo, salvo che in caso di violenza ed in altri due: cercava di impedire che i ragazzi frequentassero persone indegne (e rischiassero di esserne sedotti, perché in un caso del genere il rapporto diventava diseducativo), e vietava al maschio che si era prostituito di rivolgersi ad un'assemblea legislativa o giudiziaria, perché per denaro aveva rinunciato al ruolo maschile attivo, indispensabile per esercitare tutti i diritti di cittadino.

Ma verso il tramonto della civiltà greca classica, queste regole sociali ebbero sempre meno presa, e sempre più spesso i rapporti "pederastici" erano puramente passionali e scarsamente educativi. Questo provocò la reazione di Aristofane nel teatro, e di Platone nella filosofia, che cercarono di indurre i loro concittadini a ridare l'antico significato a questi rapporti.

Oltretutto, le gravi perdite dovute alla Guerra del Peloponneso resero prioritario l'incremento demografico, con conseguente svalutazione delle relazioni omosessuali, in quanto improduttive da questo punto di vista.

Per quanto riguarda le donne, ci fu un periodo, testimoniato dalle liriche di Saffo, in cui l'omosessualità femminile ebbe un valore iniziatico non dissimile da quello che aveva tra i maschi: allora infatti le donne non erano state ancora chiuse nel "gineceo" (le stanze della casa loro riservate), ed una donna che aspirasse ad un buon matrimonio doveva dimostrarsi colta e di buone maniere.

Le ragazze venivano perciò inviate nei "thiasoi", una specie di collegi in cui coltivavano la loro istruzione e la loro femminilità; in essi erano molto comuni i rapporti omosessuali tra le coetanee oppure tra le alunne e la loro maestra, che hanno ispirato alcune delle più belle liriche greche.

Oltre alle poesie di Saffo, va ricordato un "partenio" di Alcmane: questi era un maschio, ma gli fu chiesto di scrivere un canto nuziale adattandolo ad un matrimonio tra due alunne di un "thiasos", anziché tra un uomo ed una donna; il matrimonio non aveva valore legale, ma simboleggiava lo stretto legame che si era creato tra le ragazze, e che le loro amiche volentieri riconoscevano.

Non è un caso che le poesie di Saffo vengano universalmente apprezzate come poesie d'amore, anche da chi non apprezza l'omosessualità: meno socialmente vincolata dell'omosessualità maschile, e della stessa eterosessualità, l'omosessualità femminile fu forse l'unico orientamento sessuale che nella Grecia più antica permise al sentimento che chiamiamo amore di svilupparsi.

Il fatto che nella polis greca, nata dopo Saffo, le donne fossero chiuse in casa e confinate in un ruolo esclusivamente riproduttivo, portò alla fine dei "thiasoi" ed all'impoverimento delle relazioni sociali e sentimentali. L'omosessualità femminile divenne una cosa equivoca praticata solo di nascosto.

Nell'antica Roma le cose andavano abbastanza diversamente: il ruolo sessuale maschile romano è stato efficacemente sintetizzato come "virilità da stupro". Il paterfamilias romano poteva possedere carnalmente la moglie, le ancelle ed anche gli schiavi - purché suoi e non altrui.

Diverso era il caso dei concittadini romani: il cives romanus non doveva lasciarsi sodomizzare, ed incorreva nei rigori della legge chi acconsentiva, così come colui che violentava un cittadino romano.

Un curioso caso era quello dei liberti, cioè degli ex-schiavi. La legge imponeva loro di sostenere il loro patrono (cioè l'ex-padrone) che non potesse più procurarsi da vivere, come se fossero stati loro figli; ma imponeva anche quello che ai figli non si può chiedere - ovvero che lo soddisfacessero sessualmente.

A coloro che studiano stenografia si ricorda che essa fu inventata da un liberto di Cicerone chiamato Tirone, ma non sempre si dice loro che Cicerone lo lodava nelle sue lettere in modo inequivocabile - e forse questo diede un contributo decisivo al suo affrancamento.

Questo semplice quadro venne complicato però dall'influenza della cultura greca, che indusse molti adulti romani a stabilire con dei ragazzini romani anch'essi (e quindi protetti dalla legge) rapporti molto simili a quelli che usavano in Grecia - in cui il più vecchio corteggiava un ragazzino proponendosi a lui non solo come amante, ma anche come mentore.

Un esempio ben noto lo mostrano le poesie del poeta veronese Catullo dedicate a Giovenzio; ed anche gli elegiaci Tibullo e Properzio dedicarono i loro versi ai loro amanti. Ma anche a Roma il degrado sociale trovò un facile capro espiatorio nel diffondersi di un'omosessualità che non si conformava più al modello della "virilità da stupro" della Roma più antica, e di cui efficace testimonianza sono le satire di Marziale e Giovenale.

Se Cesare, Augusto ed i loro successori poterono facilmente conciliare successi militari (sinonimo di virilità), conquiste di donne, ed occasionali relazioni omosessuali in cui ricoprivano un ruolo passivo, e Nerone poté addirittura celebrare un matrimonio omosessuale con un certo Sporo (per carità di patria non parliamo di Caligola), con Costante e Costanzo la situazione cominciò a cambiare.

Nel 342 essi emanarono una costituzione che vietava agli uomini di prostituirsi nei bordelli, e la costituzione fu confermata nel 390 da Valentiniano, Arcadio e Teodosio, che previdero il rogo per i trasgressori.

Ma la condanna definitiva di tutti i comportamenti omosessuali maschili giunse solo con Giustiniano nel 533, per diretta influenza del cristianesimo.

E' stato notato - ed Eva Cantarella ne discute a lungo nel libro - che il cristianesimo poté affermarsi a Roma perché la sua morale sessuale assomigliava molto a quella che i romani avevano spontaneamente adottato, secondo la quale il sesso doveva essere praticato con moderazione e solo a scopo procreativo.

Ciononostante, senza il cristianesimo non sarebbe stato possibile per Giustiniano rovesciare la tradizione romana in materia di omosessualità maschile.

Per quanto riguarda quella femminile, i romani non ebbero la loro Saffo, e quello che ne sappiamo lo conosciamo solo dalle testimonianze maschili - fortemente prevenute perché il ruolo maschile romano prevedeva che fossero gli uomini soli a dare piacere. Le donne che a questo monopolio si sottraevano non venivano punite, ma socialmente ostracizzate, e l'omosessualità femminile veniva rappresentata come cosa equivoca praticata da donne "poco di buono".

Ritenere l'età classica il paradiso delle persone omosessuali sembra quindi, a giudizio di Eva Cantarella, poco più che un mito.



Raffaele Ladu